domenica 26 dicembre 2010

Domenica 2 Gennaio 2011- II Domenica dopo Natale

PRIMA LETTURA

Dal Libro del Siracide (Sir 24, 1-4. 12-16)

La sapienza fa il proprio elogio, in Dio trova il proprio vanto, in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria. Nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca,
dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria, in mezzo al suo popolo viene esaltata, nella santa assemblea viene ammirata, nella moltitudine degli eletti trova la sua lode e tra i benedetti è benedetta, mentre dice: «Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine, colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbee prendi eredità in Israele, affonda le tue radici tra i miei eletti”. Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato, per tutta l’eternità non verrò meno. Nella tenda santa davanti a lui ho officiato e così mi sono stabilita in Sion. Nella città che egli ama mi ha fatto abitare e in Gerusalemme è il mio potere. Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso, nella porzione del Signore è la mia eredità, nell’assemblea dei santi ho preso dimora».

SECONDA LETTURA

Dalla Lettera di San Paolo Apostolo agli Efesini (Ef 1, 3-6.15-18)

Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. Perciò anch’io [Paolo], avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Giovanni (Forma breve Gv 1,1-5. 9-14)

In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio:a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue
né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.

COMMENTO ALLE LETTURE

Nella seconda domenica dopo Natale, Paolo introduce il motivo della speranza: «Possa Dio illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamato». La speranza, a cui Paolo qui accenna, non si identifica con la speranza mondana, bensì la converte profondamente, rinnovandola.

La prima novità è di fondarla non sulle previsioni degli uomini (quasi sempre molto insicure) ma sulla promessa di Dio di cui ti fidi totalmente.

La seconda novità è di sperare ciò che Dio ci ha promesso, cioè il trionfo dell'amore e della sua verità, non il trionfo di chi sa quali altre cose. Dio non sostiene le nostre speranze inutili o illusorie. Ma veniamo al prologo di Giovanni. Piena di speranza è un'affermazione che a prima vista sembrerebbe il contrario: «La luce splende nella tenebra, ma la tenebra non l'ha accolta». Si osservino anzitutto i tempi verbali. Per la luce si ricorre al presente («splende»), per il rifiuto della tenebra al passato («non l'ha accolta»). La luce brilla sempre, appartiene alla sua natura illuminare. Questo è il significato del presente. Per la tenebra invece un verbo al passato, per dire che si tratta di un fatto storico, non di una necessità. Un fatto che potrebbe esserci e non esserci, perché dipende dall'uomo e dalla sua libertà. Questo significa che nessuno può far cessare la luce che proviene da Cristo. Essa brilla sempre, ovunque. La tenebra può rifiutarla, ma non spegnerla. Il verbo greco che Giovanni adopera ha due significati: non accogliere, ma anche non trattenere. Il dramma è profondo, ma lo spazio della speranza è sempre aperto. Nel prologo c'è un'altra affermazione che, ancora più profondamente, costituisce il fondamento della speranza cristiana: «Il Verbo si è fatto carne». Carne è l'uomo nella sua caducità e nella sua debolezza. Per comprendere la forza di questa affermazione di Giovanni basta confrontarla con un'affermazione del profeta Isaia (40,6-8): «Ogni carne è come l'erba...l'erba secca, il fiore appassisce, ma la Parola di Dio rimane per sempre». Per il profeta tra la Parola di Dio e la caducità dell'uomo c'è un ma, che indica tutta la distanza fra l'inconsistenza dell'uomo e la solidità di Dio. Nel prologo di Giovanni, invece, il ma è scomparso. La solidità della Parola di Dio si è fatta carne, ciò che permane ha assunto ciò che è caduco. Nel cammino di ogni uomo e dell'intera umanità si è inserita una presenza che salva dalla vanità e dall' impermanenza.Inizio modulo

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni

lunedì 20 dicembre 2010

Domenica 26 Dicembre 2010 - Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

PRIMA LETTURA

Dal Libro del Siracide (Sir 3, 2-6. 12-14)

Il Signore ha glorificato il padre al di sopra dei figli e ha stabilito il diritto della madre sulla prole. Chi onora il padre espìa i peccati e li eviterà e la sua preghiera quotidiana sarà esaudita. Chi onora sua madre è come chi accumula tesori. Chi onora il padre avrà gioia dai propri figli e sarà esaudito nel giorno della sua preghiera. Chi glorifica il padre vivrà a lungo, chi obbedisce al Signore darà consolazione alla madre. Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo durante la sua vita. Sii indulgente, anche se perde il senno, e non disprezzarlo, mentre tu sei nel pieno vigore. L’opera buona verso il padre non sarà dimenticata, otterrà il perdono dei peccati, rinnoverà la tua casa.

SECONDA LETTURA

Dalla Lettera di San Paolo Apostolo ai Colossesi (Col 3, 12-21)

Fratelli, scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie! La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori. E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre. Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come conviene nel Signore. Voi, mariti, amate le vostre mogli e non trattatele con durezza. Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 2,13-15. 19-23)

I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio». Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino».
Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

COMMENTO ALLE LETTURE

In questo brano evangelico Giuseppe ha un ruolo centrale. Per tre volte riceve una indicazione di cammino, ed egli la segue. Egli si caratterizza per la sua docilità e la sua obbedienza.

Anche nel mistero dell'incarnazione era entrato non di propria iniziativa. Anzi, inizialmente aveva voluto ritrarsi, ripudiando in segreto la sua promessa sposa. Troppo alto era il mistero. Solo quando Dio gli aveva fatto capire la propria volontà, aveva deciso di entrare insieme a Maria in quella incredibile vicenda.
È un uomo aperto all'inaudito, all'impensabile, al nuovo; aperto alla Parola, quale si manifesta momento per momento; per questo ricorda molto Abramo. Matteo lo caratterizza per la sua obbedienza pronta, senza discussioni, senza clamore. Non parla, agisce.

Non "comunica", si mette in cammino. Dopo questo fatto, non ne sentiremo più parlare. Giuseppe ha ormai svolto la sua missione nel piano di Dio, prenderà il suo ultimo cammino, forse preceduto - anche questo - da un sogno. I sogni punteggiano il cammino di Giuseppe. Nei suoi sogni la sua interiorità resta sveglia e attenta. Questi sogni non esprimono solo la sua personalità, quello che sente, etc...; ma lo mettono in contatto, tramite la parte più profonda di se stesso, con Dio, di cui l'angelo è tramite. E Giuseppe segue queste indicazioni di cammino, senza "se" e senza "ma": si lascia condurre.

Che cosa possiamo imparare da san Giuseppe?

Per prima cosa l'attenzione alla propria interiorità profonda, laddove Dio parla. Bisogna imparare a scendervi, e a distinguere in essa la voce di Dio. Solo incontrando me stesso non in superficie, ma ad un livello più vero, posso incontrare Dio. Impariamo poi la docilità, la scioltezza nell'assecondare le indicazioni di Dio. Devo cercare Dio attraverso i fatti della mia esistenza, i suoi alti e anche i suoi bassi. Lasciarmi portare, non pretendere che essi corrispondano alle mie pianificazioni, credere che in essi Dio agisce, essere duttile, flessibile, nella fiducia che Dio cammina con me.

San Giuseppe preghi per noi, e ci ottenga questi doni preziosi.

Da un’omelia di Don Marco Pratesi

domenica 12 dicembre 2010

Domenica 19 Dicembre 2010 - IV Domenica di Avvento

PRIMA LETTURA

Dal Libro del Profeta Isaia (Is 7, 10-14)

In quei giorni, il Signore parlò ad Acaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto». Ma Àcaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». Allora Isaìa disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele».

SECONDA LETTURA

Dalla Lettera di San Paolo Apostolo ai Romani (Rm 1, 1-7)

Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore; per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome, e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo –, a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo!

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 1,18-24)

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.
Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

COMMENTO ALLE LETTURE

Nella domenica immediatamente prima del Natale, Matteo racconta – con la sobrietà che lo caratterizza – come avvenne la nascita di Gesù.

Ma non dice soltanto questo.

Almeno altre due cose sono importanti.

La prima: il lettore noterà, immagino con sorpresa, che qui e nell'intera narrazione dell'infanzia di Matteo, Maria e Giuseppe non dicono una parola. Strano e bellissimo. Maria è presente in tutte le scene dell'infanzia ma non dice una parola e non compie un gesto, come in ombra. Non occupa mai il posto centrale. La sua posizione è accanto al figlio, condividendone la situazione e il destino, il rifiuto e l'accoglienza. La nota essenziale del discepolato evangelico, soprattutto quella di Maria, è di essere alla sequela, ma sempre all'ombra del figlio. Giuseppe agisce e di lui l'evangelista racconta la delicatezza di non diffamare Maria, ma anche Giuseppe, non dice una parola. È l'obbediente, non il protagonista. La sua grandezza sta tutta, e soltanto, nell'obbedienza al Signore e nell'essere al servizio del bambino e di sua madre.

Una seconda cosa, che ancor più ci interessa, è che Gesù è chiamato Emmanuele, cioè Dio con noi. Probabilmente questo è il senso del nome misterioso che Dio rivelò a Mosè nella visione del roveto. Tale, almeno, è l'interpretazione che ne dà il profeta Isaia: «Allora il mio popolo conoscerà il mio nome. Comprenderà che io dicevo: Eccomi qua».

Il nome di Dio è Eccomi qua.

Un nome semplice e consolante. Dio è uscito dalla sua lontananza e dalla sua invisibilità, facendosi visibile e concreto, raggiungibile. Venuto fra noi in forma umana, il Figlio di Dio vuole che si continui a cercarlo fra gli uomini e che lo si accolga come un uomo. Da quando il Figlio di Dio si è fatto uomo, non è più possibile un'altra ricerca di Dio, perché Dio non soltanto si è fatto uomo, ma è rimasto fra gli uomini.

A questo punto sorge la domanda: se Dio è con noi ed è rimasto fra noi, quali le condizioni per essere suoi discepoli e annunciatori? Può servire a questo scopo la lettura di Paolo che chiama se stesso: «Schiavo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, separato per annunciare il vangelo di Dio».

Schiavo suggerisce l'appartenenza e l'impegno totale ed esclusivo. Paolo ha un solo padrone, non tanti; ha un solo incarico, non molti. Apostolo è chi non ha un incarico personale da svolgere, né una parola propria da dire, ma un incarico ricevuto e una parola sentita. Separato per il vangelo significa separato dalla logica del mondo, ma non lontano dagli uomini né fuori dal mondo. Separato per essere più vicino, sempre disponibile ad aiutare il mondo.

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni

Domenica 12 Dicembre 2010 - III Domenica di Avvento

PRIMA LETTURA

Dal Libro del Profeta Isaia (Is 35, 1-6. 8. 10)

Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo. Le è data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron. Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio. Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi». Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto. Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa. Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto.

SECONDA LETTURA

Dalla Lettera di S. Giacomo Apostolo (Gc 5, 7-10)

Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina. Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 11, 2-11)

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui»

COMMENTO ALLE LETTURE

Agli inviati del Battista che vogliono rendersi conto della sua messianità («Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?»), Gesù non risponde direttamente, ma rinvia alle sue opere: «I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si scandalizza di me».

Si tratta di miracoli che ricalcano le profezie dell'Antico Testamento, e tra questi c'è persino la risurrezione dei morti. L'ultimo segno però (ai poveri è predicata la lieta notizia) non è un miracolo, e tuttavia è un segno più decisivo, che imprime una direzione ben definita a tutti gli altri, ponendoli al servizio di una concezione messianica sulla quale molti inciamperanno: «Beato colui che non si scandalizza di me».

Che Gesù sia un inviato di Dio è provato dai miracoli, ma è la sua predilezione per i poveri – come le sue umili origini e la via della Croce – che rivela la novità teologica della sua rivelazione di Dio. Questa novità qualifica l'attesa e la speranza cristiana, come suggerito anche nelle prime due letture. Il passo di Isaia precisa che la speranza non è semplicemente l'attesa di un risveglio spirituale, bensì anche l'attesa di un popolo nuovo e di una diversa convivenza, nella quale ci sarà un posto anche per i ciechi, i sordi, i muti e gli zoppi. Nessuno è escluso dalla gioia messianica.

Bisogna riconoscere però che questa non è un'attesa sempre facile. E' per questo che la lettera di Giacomo (seconda lettura) parla della pazienza del contadino e di Giobbe. Paziente è chi, come il contadino, attende il frutto del suo lavoro fino al tempo opportuno, che non spetta a lui determinare. Paziente è chi, come Giobbe, non si lascia modificare dalle avversità, ma rimane fermo e saldo nella sua ostinata speranza.

Dopo aver indicato le opere sulle quali riflettere e in base alle quali è possibile dare un giudizio su di Lui, Gesù esprime il proprio giudizio sul Battista. Lo fa rivolgendosi alle folle. La grandezza di Giovanni non consiste solo nell'austerità della sua vita e nella fortezza del suo carattere. Sta piuttosto nell'aver accettato il compito di preparare il terreno al Messia. Giovanni è venuto per rendere testimonianza a Gesù. Giovanni è grande, tuttavia il più piccolo nel Regno di Dio è più grande di lui. Un'affermazione, non facile da interpretare, ma che certamente vuol dire una cosa: l'appartenenza al Regno di Dio è la cosa più importante di tutte. Il Regno al primo posto, non perché le molte altre cose della vita non contano, ma perché possano trovare il loro giusto valore. Il discepolo deve essere profondamente convinto che il primato del Regno di Dio non ruba spazio all'uomo, ma lo allarga.

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni

lunedì 29 novembre 2010

Domenica 5 Dicembre 2010 - II Domenica di Avvento

PRIMA LETTURA

Dal Libro del Profeta Isaia (Is 11, 1-10)

In quel giorno, un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. Si compiacerà del timore del Signore. Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Percuoterà il violento con la verga della sua bocca, con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio. La giustizia sarà fascia dei suoi lombi e la fedeltà cintura dei suoi fianchi. Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. La mucca e l’orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso. Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare. In quel giorno avverrà che la radice di Iesse si leverà a vessillo per i popoli. Le nazioni la cercheranno con ansia. La sua dimora sarà gloriosa.

SECONDA LETTURA

Dalla Lettera di S. Paolo Apostolo ai Romani (Rm 15, 4-9)

Fratelli, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza. E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo. Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio. Dico infatti che Cristo è diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri; le genti invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto: «Per questo ti loderò fra le genti e canterò inni al tuo nome».

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 3, 1-12)

In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».
E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

COMMENTO ALLE LETTURE

E' già trascorsa una settimana del breve ma incisivo cammino d'Avvento. All'attesa per la seconda venuta di Gesù, fa eco da oggi, nella liturgia, l'attesa nella storia della salvezza per la sua prima venuta. L'attesa dei profeti, dei re, dei sacerdoti e dell'intero popolo di Israele sta per finire. Il signore sta per visitare il suo popolo e concedere un nuovo liberatore: il Messia.

Come allora riuscire a passare dal "vecchio" al "nuovo" con continuità? Come conservare il rapporto comunicativo tra Dio e il popolo senza creare drammi dovuti alla "visibilità" di Dio stesso ("chi vede me, vede il Padre")? Come indicare al popolo la strada da percorrere per entrare nel "nuovo"? Come riconoscere i segni e la presenza dello stesso Messia? Ecco Giovanni Battista, la porta attraverso la quale dal vecchio si passa al nuovo. L'ultimo grande profeta: tra i nati di donna nessuno è più grande di lui.

Si, Giovanni Battista proprio lui è chiamato a preparare il popolo ad accogliere il Messia. Ma già nella sua persona si vede che il nuovo non è più questione di forza fisica, ma di "debolezza"; non più di eserciti armati, ma di operatori di pace. Non più di liberazione da un nemico fisico, ma liberazione da un nemico invisibile che rende schiavi più degli altri. Come nella liberazione guidata da Mosé il popolo attraversò il deserto per entrare nella terra promessa, così ora Giovanni invita a partire dal deserto della propria vita per cambiare vita. Il deserto, dove vive e opera Giovanni, è il luogo della prova della fede e dell'incontro con Dio. Attraverso questa solitudine si capisce l'immensità dell'amore di Dio e si è pronti a cambiare vita per entrare nel nuovo, nel regno di Dio.

Anche a noi oggi Giovanni ci chiede di preparare la via del Signore in noi, di entrare nel deserto di noi stessi per raddrizzare i sentieri della vita in quella del Signore. Approfittiamo di questa seconda settimana d'Avvento per convertirci all'amore, alla giustizia, alla solidarietà. Presto! Bisogna "dare frutti". Possiamo farlo, perché Dio ci tende la mano.

Da un’omelia della Parrocchia.it

domenica 14 novembre 2010

Domenica 28 Novembre 2010 - I Domenica di Avvento


PRIMA LETTURA
Dal Libro del Profeta Isaia (Is 2, 1-5)
Messaggio che Isaìa, figlio di Amoz, ricevette in visione su Giuda e su Gerusalemme. Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e s’innalzerà sopra i colli, e ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri». Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli.
Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra. Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore.
SECONDA LETTURA
Dalla Lettera di S. Paolo Apostolo ai Romani (Rm 13, 11-14)
Fratelli, questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo.
VANGELO
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 24, 37-44)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
COMMENTO ALLE LETTURE
Le prime comunità cristiane vivevano nella fede del Cristo venuto e, insieme, nella certezza del suo ritorno. Lo scenario, dentro il quale veniva descritto il ritorno del Signore, è assai vario: si tratta sostanzialmente di un linguaggio, di fronte al quale le comunità si sentivano libere. Per comprendere pienamente la ragione e le modalità dell'attesa del Signore (alle volte persino impaziente) è bene partire da un'esperienza che i primi cristiani vivevano profondamente. Il Signore è già venuto ed è morto per noi, ma la storia sembra continuare come prima: ancora l'ingiustizia, la sopraffazione, la dimenticanza di Dio, il peccato. Da qui un modo cristiano originale di vivere nella storia: con un atteggiamento di vigilanza, fatto insieme di attesa e di impegno.
«Vigilate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà», così scrive Matteo. Qui vigilare non significa, come invece abitualmente nel mondo greco, lo svegliarsi per raccogliere tutte le proprie forze e per trovare in se stessi tutto il coraggio possibile, ma è uno svegliarsi per confidare in Dio e per aggrapparsi a Lui. Vigilare non è un rientrare in se stessi ma un uscire da sé per abbandonarsi al Dio. Si comprende come la parola vigilanza non dica direttamente qualcosa da fare, ma un modo di vivere e di guardare. Non si sa quando il padrone torna, e perciò non si può programmare né l'imminenza né il ritardo, come invece ha fatto il maggiordomo infedele che - contando sul ritardo della venuta del Signore - cominciò a «percuotere i suoi compagni e a bere e a mangiare con gli ubriaconi» (Mt 24,49). Qui sembra che l'assenza di vigilanza si segnali per due caratteristiche: una vita godereccia e il far da padrone sugli altri uomini. Qualche indicazione in più per comprendere meglio la vigilanza intesa dal Vangelo viene suggerita da alcuni termini che normalmente l'accompagnano. Per esempio, l'imperativo «guardate»: si tratta di guardare con attenzione, con concentrazione, senza lasciarsi distrarre. Vigilare è rimanere fermi nella parola del Signore, senza impazienze illusorie, senza dare ascolto a falsi profeti, persino senza lasciarsi incantare da «segni e portenti». L'imperativo del guardare con attenzione può comprendere anche la lucidità di non lasciarsi incantare dalla grandezza delle costruzioni dell'uomo, fossero pure costruzioni religiose! L'uomo vigile ne coglie la caducità: ai discepoli entusiasti della grandezza del tempio, Gesù ribatte che non resterà pietra su pietra.
Il Vangelo di Matteo suggerisce che la distrazione che distoglie dalla vigilanza non è necessariamente il piacere smodato, o la neghittosità, ma può essere anche il vivere senza sospetto. Come al tempo di Noè si mangia e si beve, si prende moglie e marito, senza accorgersi che il diluvio è imminente. Le troppe cose, anche se di per sé oneste, possono distrarre dalla questione fondamentale, sia nel senso di non rendere più avvertibile la venuta del Signore, sia nel senso di non accorgersi più del giudizio che è in atto nella storia e nella vita. Completamente immersi nelle preoccupazioni quotidiane si vive ignari del giudizio di Dio che incombe, persino senza avvertire che il mondo sta percorrendo una strada sbagliata.
Da un’omelia di Don Bruno Maggioni

Domenica 21 Novembre 2010 XXXIV Domenica del Tempo Ordinario


PRIMA LETTURA

Dal Secondo Libro di Samuele (2 Sam 5, 1-3)

In quei giorni, tutte le tribù d’Israele da Davide in Ebron e gli dissero: «Ecco noi ci consideriamo come tue ossa e tua carne. Gia prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha detto: Tu pascerai Israele mio popolo, tu sarai capo in Israele». Vennero dunque tutti gli anziani d’Israele dal re in Ebron e il re Davide fece alleanza con loro in Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re sopra Israele.

SECONDA LETTURA

Dalla Seconda Lettera di S.Paolo Apostolo ai Colossesi (Col 1, 12-20)

Fratelli, ringraziamo con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. E’ lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati. Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui.
Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose.
Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 23, 35-43)

In quel tempo, il popolo stava a vedere, i capi invece schernivano Gesù dicendo: «Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto». Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell’aceto, e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». C’era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei. Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!». Ma l’altro lo rimproverava: «Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male». E aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».

COMMENTO ALLE LETTURE

Il tema della regalità di Gesù è sullo sfondo di tutto il racconto lucano della passione: si pensi all'entrata di Gesù a Gerusalemme, all'interrogatorio di fronte al Sinedrio, alle accuse al processo di fronte a Pilato, alla crocifissione. Si può dire che la regalità di Gesù è l'oggetto del dibattito che guida tutto il racconto della passione. È infatti il punto terminale di uno sviluppo che inizia con l'entrata di Gesù a Gerusalemme che è certamente una scena regale ma che parla di un re umile e mansueto, povero. Luca dice chiaramente che Gesù fu accusato di essere re: «Sovvertiva la nostra nazione, proibiva di pagare i tributi a Cesare e diceva di essere il Messia Re». E a una domanda di Pilato Gesù stesso risponde di essere re, ma in un modo diverso dalle accuse. Siamo in grado di capire fino a che punto si spinga tale diversità. Gesù è un re condannato innocente. E agli occhi degli uomini la sua sembra una regalità da burla: gli uomini sono abituati a ben altri re e a ben altre manifestazione della regalità! Questo Gesù lo aveva fatto già capire in precedenza: «I re delle genti le signoreggiano e coloro i quali dominano su di esse si fanno chiamare benefattori. Ma non così voi" io sono in mezzo a voi come colui che serve» C'è dunque una radicale differenza fra la regalità del mondo e la regalità di Dio, fra le manifestazioni della prima e le manifestazioni della seconda. La scena della crocifissione raduna i motivi dispersi portandoli a compimento. Anzitutto la regalità di Cristo è affermata. Luca usa una costruzione enfatica: «Questi è il re dei giudei». È il motivo della condanna che vorrebbe significare, nella mente dei capi, la fine dell'assurda pretesa di Gesù: invece è l'affermazione inconsapevole che proprio lì, sulla Croce, la regalità di Gesù si manifesta in tutto il suo splendore. Gesù muore fra due condannati (lungo la sua vita egli fu sempre accusato di andare con pubblicani e peccatori): uno non comprende, prigioniero come tutti dello schema mondano della regalità («Non sei tu il Messia? Salva te stesso e noi»); ma l'altro intravede, dietro la debolezza della Croce, la potenza dell'amore che vi traspare: «Ricordati di me quando verrai nella tua regale maestà». Il motivo centrale ci è ora chiaro: la regalità di Gesù risplende nell'ostinazione dell'amore, nel rifiuto della potenza per salvare se stesso e per sottrarsi alla contraddizione. Si noti soprattutto l'insistenza su quel «salvare se stesso». Lo dicono i notabili («Ha salvato altri, salvi se stesso, se costui è il Messia», lo ripetono i soldati e lo riafferma il condannato. Ecco ciò che è inaudito: Gesù non si serve della sua potenza divina per salvare se stesso, per sottrarsi al completo dono di sé, per costringere coloro che lo rifiutano ad ammettere il loro torto. Gesù si abbandona totalmente all'apparente debolezza della non violenza e dell'amore. Dunque la regalità di Gesù è legata alla Croce. Ma si tratta sempre della gloria dell'amore, del trionfo della via della Croce. Risurrezione e ritorno di Gesù sono la rivelazione dello splendore e della forza vittoriosa che la via della Croce nasconde. È in questa prospettiva che va compresa l'affermazione di Luca, che cioè il Cristo, crocifisso e risorto, regna già ora: oggi. È una regalità oggi che si percepisce nella fede. Ed è una continuazione della via della Croce: la Chiesa e il discepolo se vogliono festeggiare la regalità del loro Signore devono ripercorrere la via della Croce.

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni

domenica 31 ottobre 2010

Domenica 14 Novembre 2010 - XXXIII Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal Libro del Profeta Malachia (Ml 3, 19-20)

Così dice il Signore: «Ecco, sta per venire il giorno rovente come un forno; allora tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia; quel giorno venendo li incendierà dice il Signore degli eserciti in modo da non lasciar loro né radice né germoglio. Per voi invece, cultori del mio nome, sorgerà il sole di giustizia».

SECONDA LETTURA

Dalla Seconda Lettera di S.Paolo Apostolo ai Tessalonicesi (2 Ts 3, 7-12)

Fratelli, sapete come dovete imitarci: poiché noi non abbiamo vissuto oziosamente fra voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato con fatica e sforzo notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi. Non che non ne avessimo diritto, ma per darvi noi stessi come esempio da imitare. E infatti quando eravamo presso di voi, vi demmo questa regola: chi non vuol lavorare neppure mangi. Sentiamo infatti che alcuni fra di voi vivono disordinatamente, senza far nulla e in continua agitazione. A questi tali ordiniamo, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di mangiare il proprio pane lavorando in pace.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 21, 5-19)

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, disse: «Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?». Rispose: «Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: “Sono io” e: “Il tempo è prossimo”; non seguiteli. Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine». Poi disse loro: «Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome. Questo vi darà occasione di render testimonianza. Mettetevi bene in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi; sarete odiati da tutti per causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà. Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime».

COMMENTO ALLE LETTURE

Leggendo questo brano del Vangelo di Luca è facile pensare esclusivamente, o quasi, agli avvenimento della fine del mondo che chiuderanno la storia umana: la fine del mondo, la vittoria del Signore, il giudizio ultimo.

E invece non si tratta soltanto di questo. Anzi, la prospettiva di questo discorso di Gesù è in un certo senso capovolto: a partire dalla certezza del suo ritorno glorioso e del giudizio finale, Gesù concentra l'attenzione dei discepoli sul presente nel quale vivono.

Sugli avvenimenti finali ai quali pure si allude, c'è poco da dire. Molto invece c'è da dire sugli avvenimenti che accadono prima, avvenimenti di sempre, già accaduti, che continuano ad accadere e che accadranno ancora: come affrontarli? È questo è il punto di vista centrale del nostro discorso. Si tratta di notizie e di avvertimenti. Le notizie: i falsi profeti pretenderanno parlare in nome del Signore e assicurare che la fine è vicina; ci saranno guerre e rivoluzioni; popolo contro popolo e regno contro regno; terremoti e carestie; ci saranno persecuzioni.

Dunque tre tipi di avvenimenti: eresie, persecuzioni (quest'ultima è la situazione sulla quale si insiste maggiormente), che certo non esauriscono il panorama della storia e delle sue contraddizioni, ma che Gesù considera come situazioni tipiche ricorrenti, situazioni che il discepolo deve essere pronto ad affrontare. Ed ecco in proposito gli avvertimenti: non lasciatevi ingannare, non seguiteli, non vi terrorizzate, mettetevi bene in mente di non preparare prima la vostra difesa.

Tutto qui. Ma non è poco. Questi avvertimenti invitano il vero discepolo a rimanere ancorato alla parole del suo Maestro. Le novità non lo attirano, né cede alle previsioni di chi pretende conoscere il futuro. Per orientarsi al vero discepolo bastano le parole di Gesù. In quanto alle guerre e alle paure che spesso angosciano gli uomini, il vero discepolo non fa illusioni e non cade in facili ottimismi, tuttavia è fondamentalmente sereno e fiducioso.

In quanto alle persecuzioni non si preoccupa della propria difesa, perché sa che a difenderlo sarà lo Spirito di Dio. E così trasforma la persecuzione in una occasione di testimonianza, in un luogo cioè dove può manifestarsi la forza di Gesù. La persecuzione, le divisioni, l'odio del mondo non sono i segnali di una immediata fine del mondo, bensì occasioni di testimonianza e di perseveranza.

Si attende il Signore perseverando e testimoniando, non fantasticando sulla vicinanza della fine del mondo.

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni

lunedì 25 ottobre 2010

Domenica 7 Novembre 2010 - XXXII Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA
Dal Secondo Libro dei Maccabei (2 Mac 7, 1-2. 9-14)
In quei giorni, ci fu il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re a forza di flagelli e nerbate a cibarsi di carni suine proibite. Il primo di essi, facendosi interprete di tutti, disse: «Che cosa cerchi di indagare o sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le patrie leggi». Allora il re irritato comandò di mettere al fuoco padelle e caldaie. Diventate queste subito roventi, il re comandò di tagliare la lingua, di scorticare e tagliare le estremità a quello che era stato loro portavoce, sotto gli occhi degli altri fratelli e della madre. Quando quegli fu mutilato di tutte le membra, comandò di accostarlo al fuoco e di arrostirlo mentre era ancora vivo. Mentre il fumo si spandeva largamente all’intorno della padella, gli altri si esortavano a vicenda con la loro madre a morire da forti, esclamando: «Il Signore Dio ci vede dall’alto e in tutta verità ci dá conforto, precisamente come dichiarò Mosè nel canto della protesta: Egli si muoverà a compassione dei suoi servi. » Venuto meno il primo, in egual modo traevano allo scherno il secondo e, strappatagli la pelle del capo con i capelli, gli domandavano: «Sei disposto a mangiare, prima che il tuo corpo venga straziato in ogni suo membro?». Egli rispondendo nella lingua paterna protestava: «No». Perciò anch’egli si ebbe gli stessi tormenti del primo. Giunto all’ultimo respiro, disse: «Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re del mondo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna». Dopo costui fu torturato il terzo, che alla loro richiesta mise fuori prontamente la lingua e stese con coraggio le mani e disse dignitosamente: «Da Dio ho queste membra e, per le sue leggi, le disprezzo, ma da lui spero di riaverle di nuovo»; così lo stesso re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza del giovinetto, che non teneva in nessun conto le torture. Fatto morire anche costui, si misero a straziare il quarto con gli stessi tormenti. Ridotto in fin di vita, egli diceva: «E’ bello morire a causa degli uomini, per attendere da Dio l’adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te la risurrezione non sarà per la vita».

SECONDA LETTURA
Dalla Seconda Lettera di S.Paolo Apostolo ai Tessalonicesi (2 Ts 2, 16 - 3, 5)
Fratelli, lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene.Per il resto, fratelli, pregate per noi, perché la parola del Signore si diffonda e sia glorificata come lo è anche tra voi e veniamo liberati dagli uomini perversi e malvagi. Non di tutti infatti è la fede.Ma il Signore è fedele; egli vi confermerà e vi custodirà dal maligno.E riguardo a voi, abbiamo questa fiducia nel Signore, che quanto vi ordiniamo già lo facciate e continuiate a farlo. Il Signore diriga i vostri cuori nell’amore di Dio e nella pazienza di Cristo.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 20, 27-38)
In quel tempo, si avvicinarono poi alcuni sadducei, i quali negano che vi sia la risurrezione, e posero a Gesù questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette; e morirono tutti senza lasciare figli. Da ultimo anche la donna morì. Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Gesù rispose: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui».

COMMENTO ALLE LETTURE
Lo scopo della domanda dei sadducei è di mettere in imbarazzo Gesù: cercano di mostrare che l'idea della risurrezione è ridicola ed è estranea alla Scrittura, una specie di superstizione popolare. Rispondendo, Gesù cita sorprendentemente un testo su Dio e non sulla risurrezione. Gesù conduce il discorso alla radice, cioè sulla concezione del Dio vivente e sulla sua fedeltà: se Dio ama l'uomo, non può abbandonarlo in potere della morte. Ma rispondendo ai sadducei, Gesù ne approfitta anche per correggere le idee di quei farisei, che concepivano la risurrezione in termini materiali: una donna ebbe sette mariti, nella risurrezione di chi sarà moglie? Gesù afferma che la vita dei morti sfugge agli schemi di questo mondo presente: è una vita diversa perché divina ed eterna: verrebbe da somigliarla a quella degli angeli. Gesù spiega che la risurrezione non significa in alcun modo un prolungamento dell'esistenza presente. La risurrezione non è la rianimazione di un cadavere. È un salto qualitativo. Si tratta di un'esistenza nuova, di un altro mondo. Ma in questa nuova esistenza è tutto l'uomo che entra, non solo l'anima. Luca parla di risurrezione, non di immortalità. Tanto più che Luca non cerca la ragione della risurrezione nelle componenti dell'uomo, ma fedele anche in questo alla tradizione biblica la fa risalire alla fede del Dio vivente. La promessa di Dio ci assicura che tutta la realtà della persona entra in una vita nuova, e proprio perché entra in una vita nuova, tale realtà viene trasformata.
Da un’omelia di Don Romeo Maggioni

lunedì 12 aprile 2010

Domenica 25 aprile 2010 – IV Domenica di Pasqua

PRIMA LETTURA
Dagli Atti degli Apostoli (At 13, 14. 43-52)
In quei giorni, Paolo e Barnaba, attraversando Perge, arrivarono ad Antiochia di Pisidia ed entrati nella sinagoga nel giorno di sabato, si sedettero. Molti Giudei e proseliti credenti in Dio seguirono Paolo e Barnaba ed essi, intrattenendosi con loro, li esortavano a perseverare nella grazia di Dio. Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola di Dio. Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono pieni di gelosia e contraddicevano le affermazioni di Paolo, bestemmiando. Allora Paolo e Barnaba con franchezza dichiararono: «Era necessario che fosse annunziata a voi per primi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha ordinato il Signore: Io ti ho posto come luce per le genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra». Nell’udir ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola di Dio e abbracciarono la fede tutti quelli che erano destinati alla vita eterna. La parola di Dio si diffondeva per tutta la regione. Ma i Giudei sobillarono le donne pie di alto rango e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li scacciarono dal loro territorio. Allora essi, scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Icònio, mentre i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.

SECONDA LETTURA
Dal Libro dell’Apocalisse di San Giovanni Apostolo (Ap 7,9. 14-17)
Io, Giovanni, vidi una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai» . E lui: «Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta, perché l’Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi».

VANGELO
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 10, 27-30)
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

COMMENTO ALLE LETTURE
Le poche righe del Vangelo di Giovanni proposte dalla liturgia domenicale non toccano direttamente il tema della risurrezione, anche se siamo nel tempo pasquale, ma vanno, per così dire, ancora più indietro, al mistero trinitario («Io e il Padre siamo una cosa sola»). Fra Gesù pastore e i suoi discepoli corre una profonda comunione: le pecore ascoltano la voce del pastore e il pastore conosce le sue pecore. Conoscere e ascoltare sono verbi che indicano un dialogo profondo, una comunione nell'esistenza, non soltanto nelle idee. La comunione fra Gesù e i suoi discepoli coinvolge l'uomo intero: idee, amore, comportamento.

Oltre a quanto detto, il passo di Giovanni sottolinea con forza l'idea dell'appartenenza: Gesù può dire le «mie» pecore e «il Padre me le ha date». Gesù è il Signore delle pecore, a lui appartengono e a nessun altro. Ed è da Gesù che le pecore ricevono la vita: «Io do loro la vita eterna». Ed è affermato infine, polemicamente, un dato consolante: nessuno può strappare a Gesù le sue pecore. È questo il motivo della sicurezza, sulla quale si fonda tutta la speranza del discepolo e della Chiesa.
Dopo aver commentato il brano in modo sintetico e nella sua globalità, penso utile almeno due precisazioni particolari.

La prima: due sono le note che caratterizzano, come dice Gesù, le sue pecore: ascoltare e seguire. Con una precisazione: ascoltare la sua voce e percorrere la strada che Egli stesso percorre. Dunque la comunità cristiana se vuole essere sale e luce anche in un mondo che cambia, come oggi si è soliti dire, non deve affannarsi in ricerche inutili e progetti diversi: la voce di Gesù è già risuonata e la direzione del suo cammino è già tracciata. Alla comunità cristiana è richiesta anzitutto la fedeltà della memoria, non anzitutto la genialità dell'invenzione.

E la seconda precisazione: Gesù dice di donare la vita. Affermazione già ripetuta qualche riga prima del nostro passo: «Offro la mia vita per poi riprenderla. Nessuno me la toglie, la offro da me stesso... Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio». Gesù, stando a queste parole, dona la sua vita in piena libertà e, al tempo stesso, per un comando del Padre.
Strana nozione di libertà. Strana per il mondo, ma non per il discepolo. Gesù ha più volte detto che la sua libertà non sta nel prendere le distanze dal Padre, ma nel fare in tutto al sua volontà.
Libertà e obbedienza al Padre (che è sempre l'obbedienza al dono di sé) coincidono.

Lo spazio vero della libertà è l'amore.

Fonte: LaChiesa.It

Domenica 18 aprile 2010 - III Domenica di Pasqua

PRIMA LETTURA
Dagli Atti degli Apostoli (At 5, 27-32. 40-41)
In quei giorni, il sommo sacerdote cominciò a interrogarli dicendo: «Vi avevamo espressamente ordinato di non insegnare più nel nome di costui, ed ecco voi avete riempito Gerusalemme della vostra dottrina e volete far ricadere su di noi il sangue di quell’uomo». Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: «Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avevate ucciso appendendolo alla croce. Dio lo ha innalzato con la sua destra facendolo capo e salvatore, per dare a Israele la grazia della conversione e il perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a lui».
Seguirono il suo parere e, richiamati gli apostoli, li fecero fustigare e ordinarono loro di non continuare a parlare nel nome di Gesù; quindi li rimisero in libertà. Ma essi se ne andarono dal sinedrio lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù.

SECONDA LETTURA
Dal Libro dell’Apocalisse di San Giovanni Apostolo (Ap 5, 11-14)
Io, Giovanni, vidi e intesi voci di molti angeli intorno al trono e agli esseri viventi e ai vegliardi. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia e dicevano a gran voce: «L’Agnello che fu immolato è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione». Tutte le creature del cielo e della terra, sotto la terra e nel mare e tutte le cose ivi contenute, udii che dicevano: «A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli» . E i quattro esseri viventi dicevano: «Amen». E i vegliardi si prostrarono in adorazione.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Giovanni (Forma breve Gv 21, 1-14)
In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.

COMMENTO ALLE LETTURE
Gesù appare ai discepoli tornati in Galilea al loro lavoro di pescatori. Diversi motivi si intrecciano in questo racconto.

Anzitutto l'interessante contrapposizione tra Pietro e il discepolo prediletto. Ambedue vedono lo sconosciuto sulla riva, però è il discepolo prediletto che riconosce per primo il Signore. Dall'altra parte è Pietro che prende l'iniziativa di andare a pescare (v. 3), corre per primo incontro al Signore (v. 7), trae a riva la rete piena di pesci (v. 8). Sembra dunque che l'evangelista voglia esaltare – da punti di vista differenti – ora l'uno, ora l'altro: il discepolo amato per la chiaroveggenza nel riconoscere il Signore, Pietro per la prontezza e la generosità nel servizio. La chiaroveggenza nell'amore e la prontezza del servizio sono due caratteristiche del discepolo di Gesù.

Ma un motivo ancora più interessante presente nella pericope è il racconto della pesca, il cui significato ecclesiale è molto chiaro. Il miracolo della pesca allude alla missione. La fatica notturna dei pescatori è stata data: Gesù aveva detto «senza di me non potete far nulla» (15,5). Ma con Gesù tutto cambia: rigettano la rete e questa volta la ritirano piena di centocinquantatrè grossi pesci. L'episodio è una parabola della futura missione: vuota senza Cristo, fruttuosa con lui. È la parola del Signore che riempie le reti, e sarà sempre la sua Parola che renderà efficace in ogni tempo la missione dei discepoli. La comunità cristiana non lo dimentichi mai.

Infine un terzo motivo importante: tutti riconoscono il Signore quando egli dice: «Venite a mangiare». Riconoscono il Risorto quando ripete uno dei gesti più simbolici di tutta la sua vita terrena: il servizio a mensa. Gesù distribuisce il pane e i pesci (21,13), un silenzioso memoriale della moltiplicazione dei pani e dell'ultima cena. Il Risorto si fa riconoscere nel gesto della dedizione, che è stata la verità del suo intero cammino. La nota della dedizione appartiene al Gesù terreno e al Signore risorto. È l'identità che lo accompagna in ogni sua condizione di vita e che rivela chi egli sia veramente.

Al brano sin qui commentato segue un dialogo fra Gesù e Pietro. È un testo molto noto. Affidandogli l'incarico di pascere il suo gregge, Gesù chiede a Pietro l'amore, non altro. Certo Pietro deve amare anche il suo gregge, deve guidarlo e servirlo. Ma la condizione per svolgere questo incarico è anzitutto quella di amare Gesù. Per servire gli uomini non basta guardare gli uomini e i loro bisogni, ma Gesù Cristo.

Fonte: LaChiesa.It

Domenica 11 aprile 2010 - II Domenica di Pasqua

PRIMA LETTURA
Dagli Atti degli Apostoli (At 5, 12-16)
Molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; degli altri, nessuno osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava. Intanto andava aumentando il numero degli uomini e delle donne che credevano nel Signore fino al punto che portavano gli ammalati nelle piazze, ponendoli su lettucci e giacigli, perché, quando Pietro passava, anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro.
Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti immondi e tutti venivano guariti.

SECONDA LETTURA
Dal Libro dell’Apocalisse di San Giovanni Apostolo (Ap 1, 9-11.12-13.17.19)
Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza resa a Gesù. Rapito in estasi, nel giorno del Signore, udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese: a E’feso, a Smirne,a Pèrgamo, a Tiàtira, a Sardi, a Filadèlfia e a Laodicèa. Ora, come mi voltai per vedere chi fosse colui che mi parlava, vidi sette candelabri d’oro e in mezzo ai candelabri c’era uno simile a figlio di uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro. Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la destra, mi disse: Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che accadranno dopo.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 20, 19-31)
La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Ge-sù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!» . Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi». Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!» . Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!». Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!». Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

COMMENTO ALLE LETTURE
La morte di Gesù lascia i discepoli in uno stato di confusione e d'abbandono. La vista di Gesù risorto, la sua semplice presenza, cambia tutto; "gioirono al vedere il Signore". Ogni volta che si presenta Gesù dice: "Pace a voi!", e questo è il bisogno di tutti. Da cosa scaturisce questa Pace? Dalla sua presenza. Anche oggi abbiamo bisogno di vedere il Signore, perché questo ci dà Pace. Ecco perché Gesù invita i suoi discepoli a raccontare la loro esperienza a chi non lo vede; non perché credano o si convertano, ma perché anch'essi ricevano quella Pace che aiuta a superare i momenti duri. Contempliamo la settimana di Tommaso. Tutti intorno a lui parlano di Gesù Risorto: Pietro, i discepoli, le donne, quelli d'Emmaus, tutti l'hanno visto tranne che lui. Tommaso vive momenti di rabbia e di tristezza, ma non se ne va, segno che non perde la speranza. Forse si fa qualche senso di colpa pensando ai motivi per cui era assente quando è venuto Gesù, oppure s'incavola ancora di più pensando che non è giusto, ma non se ne va. Capita di vivere questi stati d'animo. La domenica successiva Tommaso, vedendo Gesù e sentendosi proporre di mettere le mani nelle sue ferite, capisce che, non solo Gesù è vivo, ma che era presente quando era arrabbiato e durante tutta questa settimana. Capisce che gli sta sempre accanto e che prega per lui, che Gesù è al suo servizio più che mai. Ecco perché Tommaso è il primo tra gli Apostoli a chiamare Gesù "mio Signore e mio Dio".
Questa esperienza di Tommaso ci fa scuola. C'insegna che abbiamo bisogno di fratelli che ci aiutino con le loro testimonianze, quando non vediamo niente; ma abbiamo anche bisogno, ogni tanto, di toccare con mano, come del resto è stato per tutti i discepoli di Gesù. Sarà anche beato chi si fida e riesce a credere senza vedere, ma io invidio Tommaso, Giovanni che vede Gesù glorioso nel suo esilio a Patmos e tutti quelli che in qualche modo fanno esperienza della sua presenza nella loro vita. Non me ne faccio un senso di colpa perché la considero una santa invidia. Anche se ho toccato con mano anche io questa grande realtà che trasmette Pace, non mi basta mai e non mi basterà mai, per la vita eterna.
Rallegriamoci: siamo chiamati a contemplare una cosa bellissima e, il bello non stanca mai.

Fonte: LaChiesa.It

Domenica 28 marzo 2010 - Domenica delle Palme

PRIMA LETTURA
Dal Libro del Profeta Isaia (Is 50, 4-7)
Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso.

SECONDA LETTURA
Dalla Lettera di San Paolo Apostolo ai Filippesi (Fil 2, 6-11)
Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca (Forma breve Lc 23, 1-49)
In quel tempo, tutta l’assemblea si alzò; condussero Gesù da Pilato e cominciarono ad accusarlo: «Abbiamo trovato costui che metteva in agitazione il nostro popolo, impediva di pagare tributi a Cesare e affermava di essere Cristo re». Pilato allora lo interrogò: «Sei tu il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici». Pilato disse ai capi dei sacerdoti e alla folla: «Non trovo in quest’uomo alcun motivo di condanna». Ma essi insistevano dicendo: «Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea, fino a qui». Udito ciò, Pilato domandò se quell’uomo era Galileo e, saputo che stava sotto l’autorità di Erode, lo rinviò a Erode, che in quei giorni si trovava anch’egli a Gerusalemme. Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto. Da molto tempo infatti desiderava vederlo, per averne sentito parlare, e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui. Lo interrogò, facendogli molte domande, ma egli non gli rispose nulla. Erano presenti anche i capi dei sacerdoti e gli scribi, e insistevano nell’accusarlo. Allora anche Erode, con i suoi soldati, lo insultò, si fece beffe di lui, gli mise addosso una splendida veste e lo rimandò a Pilato. In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici tra loro; prima infatti tra loro vi era stata inimicizia. Pilato, riuniti i capi dei sacerdoti, le autorità e il popolo, disse loro: «Mi avete portato quest’uomo come agitatore del popolo. Ecco, io l’ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in quest’uomo nessuna delle colpe di cui lo accusate; e neanche Erode: infatti ce l’ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò, dopo averlo punito, lo rimetterò in libertà». Ma essi si misero a gridare tutti insieme: «Togli di mezzo costui! Rimettici in libertà Barabba!». Questi era stato messo in prigione per una rivolta, scoppiata in città, e per omicidio. Pilato parlò loro di nuovo, perché voleva rimettere in libertà Gesù. Ma essi urlavano: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato in lui nulla che meriti la morte. Dunque, lo punirò e lo rimetterò in libertà». Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso, e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta venisse eseguita. Rimise in libertà colui che era stato messo in prigione per rivolta e omicidio, e che essi richiedevano, e consegnò Gesù al loro volere. Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù. Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: “Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato”. Allora cominceranno a dire ai monti: “Cadete su di noi!”, e alle colline: “Copriteci!”. Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?». Insieme con lui venivano condotti a morte anche altri due, che erano malfattori. Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte. Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo, spirò. Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: «Veramente quest’uomo era giusto». Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto. Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo.

COMMENTO ALLE LETTURE: Cristo è morto, e di quale morte. Cristo ci ha amati, e di quale amore. Cristo ha liberato e salvato l'uomo. Divenuto figlio di Dio col battesimo, sarà chiamato,a condividere la felicità e la gloria di Dio.

Fonte: LaChiesa.It

domenica 7 marzo 2010

Domenica 14 marzo 2010 - IV Domenica di Quaresima

PRIMA LETTURA
Dal Libro di Giosuè (Gs 5, 9.10-12)
In quei giorni, il Signore disse a Giosuè: «Oggi ho allontanato da voi l’infamia d’Egitto». Gli Israeliti si accamparono dunque in Gàlgala e celebrarono la pasqua al quattordici del mese, alla sera, nella steppa di Gerico. Il giorno dopo la pasqua mangiarono i prodotti della regione, azzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno. La manna cessò il giorno dopo, come essi ebbero mangiato i prodotti della terra e non ci fu più manna per gli Israeliti; in quell’anno mangiarono i frutti della terra di Canaan.
SECONDA LETTURA
Dalla Seconda Lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi (2 Cor 5, 17-21)
Fratelli, se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. E’ stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 15, 1-3.11-32)
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». Allora egli disse loro questa parabola: Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: E’ tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» .

COMMENTO ALLE LETTURE
Il tema centrale della parabola è l'amore del padre. A lui non interessa che il figlio gli abbia dissipato il patrimonio. Ciò che lo addolora è che il figlio sia lontano e quando ritorna non bada neppure alle sue parole («Trattami come uno dei tuoi servi»): l'importante è che il figlio abbia capito e sia tornato. Ecco il motivo della sua gioia: «Questo mio figlio era morto ed è tornano in vita, era perduto ed è stato ritrovato». Questo è il volto del vero Dio, un volto molto diverso da come scribi e farisei supponevano, e come giusti e benpensanti alle volte continuano a supporre. Se prendiamo in considerazione la figura del figlio minore, allora ci accorgiamo che il suo peccato non è semplicemente consistito nel fatto che abbia chiesto la sua parte di eredità e l'abbia poi dissipata, lontano da casa, in una vita libertina. Questo comportamento non è che la conseguenza di una convinzione che gli si era radicata nell'animo, e cioè la convinzione che la casa fosse una prigione, la presenza del padre ingombrante e mortificante, e l'allontanamento da casa una libertà. Questo è il vero peccato del figlio minore. Il suo ritorno a casa trova il suo culmine non nel proposito di lavorare come un salariato per riparare il danno (anzi questo mostra che il figlio non ha capito ancora né la profondità dell'amore del padre né la profondità del suo peccato), ma semplicemente nell'aver capito che in casa si sta meglio. Questo infatti è quello che voleva il padre. Null'altro. La conversione è un ritorno. Non è un prezzo da pagare – non sta lì il nocciolo della questione – ma una mentalità da cambiare. A questo punto dobbiamo rileggere una terza volta la parabola dal punto di vista del figlio maggiore. Anziché condividere la gioia del padre, ne prova invidia. Come gli scribi e i farisei che mormorano contro Gesù, anch'egli pensa che il peccato sia consistito nel dilapidare le sostanze, non invece nel fatto di essersi allontanato da casa. E si capisce che anch'egli ragiona come il figlio minore. Infatti è rimasto in casa, ma convinto che lo stare in casa sia faticoso, sia un sacrificio, convinto anch'egli che fuori si sta meglio. È un figlio fedele, ma con l'animo del servo, incapace nel profondo di condividere la gioia del padre, perché non vede nel fratello che si è allontanato un povero da salvare, ma semmai un fortunato da punire.Non si sente figlio,grato e gioioso di essere in casa,già premiato per il fatto di essere in casa.

Fonte: LaChiesa.It - omelia di don B.Maggioni

martedì 2 marzo 2010

Domenica 7 marzo 2010 - III Domenica di Quaresima

PRIMA LETTURA
Dal Libro dell’Esodo (Es 3, 1-8. 13-15)
In quei giorni, Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?» . Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe» . Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio. Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Hittita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo. Mosè disse a Dio: «Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!» . Poi disse: «Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi». Dio aggiunse a Mosè: «Dirai agli Israeliti: Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione.

SECONDA LETTURA
Dalla Prima Lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi (1 Cor 10, 1-6. 10-12)

Non voglio che ignoriate, o fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nuvola e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. Ma della maggior parte di loro Dio non si compiacque e perciò furono abbattuti nel deserto. Ora ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono. Non mormorate, come mormorarono alcuni di essi, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per ammonimento nostro, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 13, 1-9)
In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù rispose: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Disse anche questa parabola: «Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest’anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai».

COMMENTO ALLE LETTURE
"Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo!" E un ammonimento severo. Non sempre la predicazione di oggi lo mette in evidenza, e la catechesi sembra averlo radiato dai suoi manuali. Ma allora, è o no il Vangelo che dobbiamo predicare? Questo ammonimento non è dello stesso Cristo? Fedele al suo Maestro, la Chiesa lo propone oggi alla nostra meditazione.
Che cosa significa convertirsi? Significa rispondere alla chiamata di Dio e fare una scelta: orientare decisamente la nostra vita nella direzione indicata da Cristo. Significa liberarsi dall'attrattiva dei beni di quaggiù per volgersi risolutamente verso Dio. Significa spezzare le catene della vana gloria, della gelosia, delle lusinghe del guadagno e della ricchezza, per camminare generosamente al seguito del Signore, preoccupati soprattutto di compiere la volontà di Dio. Significa sforzarci di mantenere le promesse del battesimo: rinunciare al peccato per vivere da figli del Padre.
Questa conversione è necessaria: senza questo sforzo di rinnovamento interiore, senza questo riordino, noi non potremo mai realizzare il nostro eterno destino: "Voi perirete!" - dice Cristo. Dobbiamo dare alle nostre attività un valore eterno, segnandole col marchio dell'amore: l'amore verso Dio, amato sopra ogni cosa; l'amore verso i fratelli, dedicandoci al loro servizio.
Questa conversione è urgente: "Il tempo passa, l'eternità si avvicina". Ci pensiamo? È una follia rimandare sempre al dopo la nostra conversione, chiudere l'orecchio ai richiami di Dio. Temiamo di stancare la sua pazienza! Il fico sterile sarà tagliato prima o poi. "Se noi sentiamo oggi la voce del Signore, non induriamo ancora a lungo il nostro cuore".

domenica 21 febbraio 2010

Domenica 21 febbraio 2010 - II Domenica di Quaresima

PRIMA LETTURA
Dal Libro della Genesi (Gn 15, 5-12. 17-18)
In quei giorni, Dio condusse fuori Abram e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza» . Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia. E gli disse: «Io sono il Signore che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questo paese». Rispose: «Signore mio Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?». Gli disse: «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un piccione». Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all’altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calavano su quei cadaveri, ma Abram li scacciava.
Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco un oscuro terrore lo assalì. Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un forno fumante e una fiaccola ardente passarono in mezzo agli animali divisi.
In quel giorno il Signore concluse questa alleanza con Abram: «Alla tua discendenza io do questo paese dal fiume d’Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate».

SECONDA LETTURA
Dalla Lettera di San Paolo Apostolo ai Filippesi (Fil 3, 17 - 4,1)
Fatevi miei imitatori, fratelli, e guardate a quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi. Perché molti, ve l’ho già detto più volte e ora con le lacrime agli occhi ve lo ripeto, si comportano da nemici della croce di Cristo: la perdizione però sarà la loro fine, perché essi, che hanno come dio il loro ventre, si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi, tutti intenti alle cose della terra. La nostra patria invece è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose. Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete saldi nel Signore così come avete imparato, carissimi!

VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9, 28-36)
In quel tempo Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quel che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all’entrare in quella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo». Appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

COMMENTO ALLE LETTURE
Il racconto evangelico della trasfigurazione, vuole essere una rivelazione rivolta ai discepoli: il suo oggetto è il significato profondo e nascosto della persona di Gesù e della sua opera. La nube, la voce, e la presenza di Mosè ci pongono in direzione della grande teofania del Sinai, modello di tutte le teofanie bibliche.
Con questo si afferma che Gesù è il nuovo Mosè, il profeta definitivo, e che in Lui giungono a compimento l'Alleanza e la legge. Altri tratti, come le vesti candide e il volto splendente, ci dicono che Gesù, incamminato verso la Croce, è in realtà il Signore. È proprio in questo Gesù incamminato verso la Croce che troviamo il compimento dell'Alleanza e della legge.
Ma dobbiamo essere più precisi, la trasfigurazione non intende semplicemente rivelare il futuro che attende Gesù, ma anche manifestare il significato profondo che la realtà di Gesù già ora possiede. In altre parole, la trasfigurazione non è soltanto la rivelazione in anticipo della futura risurrezione di Gesù, ma è una rivelazione di ciò che Gesù è già: il Figlio di Dio. Di più: la trasfigurazione non è soltanto una rivelazione dell'identità profonda di Gesù e della via della Croce. È nel contempo una rivelazione dell'identità del discepolo. La via del discepolo è come quella del Maestro, ugualmente incamminata verso la Croce e verso la risurrezione. E anche per il discepolo la risurrezione non è una realtà semplicemente futura, ma è già una realtà presente e anticipata. La comunione con Dio è già operante. E di tanto in tanto questa realtà profonda e pasquale, normalmente nascosta, affiora. Nel viaggio della fede non mancano momento chiari, momenti gioiosi all'interno della fatica dell'esistenza cristiana. Occorre saperli scorgere e saperli leggere. Il loro carattere è però fugace e provvisorio, e il discepolo deve imparare ad accontentarsi. Pietro desiderava eternizzare quell'improvvisa chiara visione, quella gioiosa esperienza: «Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia». È un desiderio che rivela un'incomprensione dell'avvenimento («Egli non sapeva quel che diceva»).
I momenti gioiosi e chiari disseminati nella vita di fede non sono il definitivo, ma soltanto una sua pregustazione: non sono la meta, ma soltanto un annuncio profetico di essa. La strada del discepolo è quella della Croce. Dio offre un'anticipazione, ma poi bisogna fargli credito, senza limiti. Come ha fatto Abramo.

Fonte: LaChiesa.It - da un’omelia di Don B. Maggioni