domenica 4 settembre 2011

Domenica 11 Settembre 2011 - XXIV Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal Libro del Profeta Siracide (Sir 27,33-28,9)

Rancore e ira sono cose orribili, e il peccatore le porta dentro. Chi si vendica subirà la vendetta del Signore, il quale tiene sempre presenti i suoi peccati. Perdona l’offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati. Un uomo che resta in collera verso un altro uomo, come può chiedere la guarigione al Signore? Lui che non ha misericordia per l’uomo suo simile,
come può supplicare per i propri peccati? Se lui, che è soltanto carne, conserva rancore, come può ottenere il perdono di Dio? Chi espierà per i suoi peccati?
Ricordati della fine e smetti di odiare, della dissoluzione e della morte e resta fedele ai comandamenti. Ricorda i precetti e non odiare il prossimo,
l’alleanza dell’Altissimo e dimentica gli errori altrui.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Romani (Rm 14,7-9)

Fratelli, nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore.
Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 18, 21-35)

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

COMMENTO ALLE LETTURE

Alla domanda di Pietro «Signore, quante volte dovrò perdonare a mio fratello se pecca contro di me?», Gesù risponde che il perdono cristiano è senza limiti («Settanta volte sette»), perché è unicamente il perdono senza limiti che assomiglia al perdono di Dio. È dal perdono di Dio che discende il nostro perdono verso il prossimo. Il perdono di Dio è il motivo e la misura del perdono fraterno. Dobbiamo perdonare senza misura, perché Dio ci ha già fatti oggetto di un perdono senza misura. È dalla gratuità del dono di Dio che nasce il perdono. Il perdono fraterno è conseguenza del perdono di Dio, ne è la risposta. Per capire il perdono devi dunque guardare in alto. Ma devi anche guardare nella profondità dell'uomo: non c'è amicizia senza perdono, né famiglia, né fraternità, né pace. Il perdono è necessario per vivere e relazionarsi, a tutti i livelli.
Il contrasto tra i due quadri della parabola non ha come scopo principale quello di far vedere la diversità del comportamento di Dio nei confronti di un uomo che sa perdonare e nei confronti di un uomo incapace di perdonare. Intende piuttosto far vedere quanto sia degno di condanna il servo che non perdona dal momento che egli fu per primo perdonato. Il servo è condannato perché tiene il perdono per sé, e non permette che il perdono ricevuto diventi gioia e perdono anche per gli altri. L'errore del servo è quello di separare il rapporto con Dio dal rapporto col prossimo. E invece è un rapporto unico: come fra Dio e l'uomo c'è un rapporto di gratuità, di amore discendente e accogliente, così deve essere fra l'uomo e i suoi fratelli.

La parabola del servo e del padrone ? che stiamo leggendo ? offre un messaggio praticabile? Certo la parabola non intende indicare una norma generale. Rivela anzitutto come Dio si pone davanti all'uomo. E sorprende che non si dica come ci si debba, a propria volta, porre davanti a Dio, ma si dica soltanto come porsi davanti al fratello. Probabilmente la parabola vuole sottolineare che l'amore di Dio non è anzitutto circolare, ma espansivo. È nella linea della gratuità, non della stretta reciprocità. Dio non si lascia rinchiudere nella stretta reciprocità. E, dunque, chi crede in Dio e parla di Dio, deve allargare lo spazio del perdono, non della ferrea giustizia. Della ferrea giustizia parlano già altri. Non è il caso di unirsi al coro!

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni