domenica 27 dicembre 2009

Domenica 3 gennaio 2010 - II Domenica dopo Natale

PRIMA LETTURA
Dal Libro del Siràcide (Sir 24,1-4.12-16)
La sapienza fa il proprio elogio, in Dio trova il proprio vanto, in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria. Nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca, dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria, in mezzo al suo popolo viene esaltata, nella santa assemblea viene ammirata, nella moltitudine degli eletti trova la sua lode e tra i benedetti è benedetta, mentre dice: «Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine, colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele, affonda le tue radici tra i miei eletti” . Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato, per tutta l’eternità non verrò meno. Nella tenda santa davanti a lui ho officiato e così mi sono stabilita in Sion. Nella città che egli ama mi ha fatto abitare e in Gerusalemme è il mio potere. Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso, nella porzione del Signore è la mia eredità, nell’assemblea dei santi ho preso dimora».

SECONDA LETTURA
Dalla Lettera di San Paolo Apostolo agli Efesini (Ef 1,3-6.15-18)
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. Perciò anch’io [Paolo], avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Giovanni (Forma breve: Gv 1,1-5.9-14)
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.

COMMENTO ALLE LETTURE
Nella seconda domenica dopo Natale Paolo introduce il motivo della speranza: «Possa Dio illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamato» (Efesini 1,18). La speranza, a cui Paolo qui accenna, non si identifica con la speranza mondana, bensì la converte profondamente, rinnovandola. La prima novità è di fondarla non sulle previsioni degli uomini (quasi sempre molto insicure) ma sulla promessa di Dio di cui ti fidi totalmente. La seconda novità è di sperare ciò che Dio ci ha promesso, cioè il trionfo dell'amore e della sua verità, non il trionfo di chi sa quali altre cose. Dio non sostiene le nostre speranze inutili o illusorie.
Ma veniamo al prologo di Giovanni. Piena di speranza è un'affermazione che a prima vista sembrerebbe il contrario: «La luce splende nella tenebra, ma la tenebra non l'ha accolta» (1,15). Si osservino anzitutto i tempi verbali. Per la luce si ricorre al presente («splende»), per il rifiuto della tenebra al passato («non l'ha accolta»). La luce brilla sempre, appartiene alla sua natura illuminare. Questo è il significato del presente. Per la tenebra invece un verbo al passato, per dire che si tratta di un fatto storico, non di una necessità. Un fatto che potrebbe esserci e non esserci, perché dipende dall'uomo e dalla sua libertà. Questo significa che nessuno può far cessare la luce che proviene da Cristo. Essa brilla sempre, ovunque. La tenebra può rifiutarla, ma non spegnerla.
Il verbo greco che Giovanni adopera ha due significati: non accogliere, ma anche non trattenere. Il dramma è profondo, ma lo spazio della speranza è sempre aperto. Nel prologo c'è un'altra affermazione che, ancora più profondamente, costituisce il fondamento della speranza cristiana: «Il Verbo si è fatto carne» (1,14). Carne è l'uomo nella sua caducità e nella sua debolezza. Per comprendere la forza di questa affermazione di Giovanni basta confrontarla con un'affermazione del profeta Isaia (40,6-8): «Ogni carne è come l'erba...l'erba secca, il fiore appassisce, ma la Parola di Dio rimane per sempre». Per il profeta tra la Parola di Dio e la caducità dell'uomo c'è un ma, che indica tutta la distanza fra l'inconsistenza dell'uomo e la solidità di Dio. Nel prologo di Giovanni, invece, il ma è scomparso. La solidità della Parola di Dio si è fatta carne, ciò che permane ha assunto ciò che è caduco. Nel cammino di ogni uomo e dell'intera umanità si è inserita una presenza che salva dalla vanità e dall'impermanenza.
Il Padre si è rivelato agli uomini nel figlio Gesù. In lui Dio ha assunto il volto dell'uomo e si è espresso con parole umane. Gesù si presenta come luce e vita, offre agli uomini la possibilità di diventare figli di Dio. La Parola si rivolge all'uomo impegnandolo ad una risposta.
(da un’omelia di Don Bruno Maggioni)
Fonte: LaChiesa.It

lunedì 21 dicembre 2009

Domenica 27 dicembre 2009 - Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

PRIMA LETTURA
Dal Primo Libro di Samuele (1 Sam 1, 20-22. 24-28)
Così al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele. «Perché diceva dal Signore l’ho impetrato» . Quando poi E’lkana andò con tutta la famiglia a offrire il sacrificio di ogni anno al Signore e a soddisfare il voto, Anna non andò, perché diceva al marito: «Non verrò, finché il bambino non sia divezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà là per sempre» .
Dopo averlo divezzato, andò con lui, portando un giovenco di tre anni, un’efa di farina e un otre di vino e venne alla casa del Signore a Silo e il fanciullo era con loro. Immolato il giovenco, presentarono il fanciullo a Eli e Anna disse: «Ti prego, mio signore. Per la tua vita, signor mio, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho chiesto. Perciò anch’io lo dò in cambio al Signore: per tutti i giorni della sua vita egli è ceduto al Signore» . E si prostrarono là davanti al Signore.

SECONDA LETTURA
DallaPrima Lettera di San Giovanni Apostolo (1 Gv 3, 1-2. 21-24)
Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio; e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quel che è gradito a lui. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti dimora in Dio ed egli in lui. E da questo conosciamo che dimora in noi: dallo Spirito che ci ha dato.
VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 2, 41-52)
I genitori di Gesù si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l’usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

COMMENTO ALLE LETTURE
Il ritrovamento di Gesù fanciullo nel tempio potrebbe sembrare un semplice episodio di vita familiare. E invece il suo significato è molto più profondo.
Il suo senso è tutto racchiuso nella domanda della Madre e nella risposta del Figlio.
Troviamo qui la prima parola di Gesù, l'unica nei racconti dell'infanzia. Una parola, per giunta, di cui i genitori non compresero il significato. Si tratta dunque di una parola inaspettata e dal significato molto profondo. A volte si sottolinea che con il suo gesto e le sue parole Gesù abbia inteso prefigurare il futuro distacco dalla famiglia e affermare la propria libertà e il primato della propria missione. È certamente un'interpretazione che ha molta parte di verità. Però resta ancora debole, in ogni caso ancora troppo all'esterno del mistero di Gesù. Dicendo «tuo padre», Maria pensava a Giuseppe. Dicendo «mio Padre», Gesù pensava a Dio. Il contrasto è significativo, quasi duro. Gesù afferma la sua origine dal Padre. E nella domanda rivolta ai genitori («Non sapevate che è necessario che io sia nelle cose del Padre mio?»), Egli svela la sua obbedienza senza riserve al Padre. Le «cose» del Padre mio è un'espressione generica, ma proprio per questo significativa. Le «cose» possono essere la casa, gli interessi, i desideri, la volontà, i progetti: un'espressione volutamente generica per suggerire la totalità. Ma è ancora più suggestiva l'espressione «essere in», che a volte si traduce con un semplice «occuparsi». In realtà «essere in» è ben più del semplice occuparsi: esprime un atteggiamento che tocca la persona e l'esistenza. Ma è in quel «è necessario» – che più avanti Gesù riprenderà per indicare la sua obbedienza fino alla Croce – che si nasconde il segreto più sconcertante della rivelazione di Gesù, quello più difficile da capire. «Ma essi non compresero» annota l'evangelista. Che cosa non hanno compreso? L'appartenenza di Gesù al Padre? La sua separazione dalla famiglia? O quel «è necessario» che Gesù ripeterà più avanti (9,22), lungo la sua missione, per esprimere la «necessità» della Croce?
Quel che è certo è che sia il gesto di Gesù sia le sue parole rimasero enigmatici. Nascondevano qualcosa che si sarebbe svelato dopo. È l'identità profonda di Gesù che ancora non si è svelata, tutta racchiusa in quel «è necessario». Bisognerà aspettare la Croce perché possa svelarsi nella sua chiarezza.
(da un’omelia di Don Bruno Maggioni)

Fonte: LaChiesa.It

domenica 13 dicembre 2009

Domenica 20 dicembre 2009 - IV Domenica di Avvento

PRIMA LETTURA
Dal Libro del Profeta Michea (Mic 5, 1-4)
Così dice il Signore: E tu, Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui fino a quando colei che deve partorire partorirà; e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli di Israele. Egli starà là e pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore suo Dio. Abiteranno sicuri perché egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra e tale sarà la pace.


SECONDA LETTURA
Dalla lettera agli Ebrei (Eb 10, 5-10)
Fratelli, entrando nel mondo, Cristo dice: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo poiché di me sta scritto nel rotolo del libro per fare, o Dio, la tua volontà”. Dopo aver detto prima non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato, cose tutte che vengono offerte secondo la legge, soggiunge: Ecco, io vengo a fare la tua volontà. Con ciò stesso egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo. Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 1, 39-48)
In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore». Allora Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva.

COMMENTO ALLE LETTURE
Fratelli nella fede, la liturgia di questo tempo di avvento ci fa vedere come Dio sceglie persone umili per una missione così importante. Maria non ha un momento di esitazione: Ella parte! Corre a condividere con Elisabetta la gioia di ciò che sa, la gioia di ciò che ha capito, la gioia di ciò che ha creduto, la gioia di ciò che ha ricevuto. Maria vede la bontà di Dio e si commuove e pronuncia la più bella preghiera: "Io sono felice nel Signore! Non sono niente, ma Dio mi ama: tutto viene da Lui!".
È grandioso, nella sua semplicità, il vangelo odierno. Presenta due donne che sono nell'attesa di diventare madri. Dio continua a farsi presente in una storia di umili visite. Scende davvero dalle stelle. Nell'abbraccio delle due donne incinte, Elisabetta continua quell'Ave Maria cominciata dall'angelo: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo". Maria esplode di gioia e di umiltà con il suo Magnificat. La cugina la definisce "beata" perché ha "creduto". Beati quelli che credono.
L'annuncio dell'angelo a Maria, è la pagina più letta nella liturgia, più meditata dagli artisti, più riprodotta in tele o nelle sculture. Ci guida la certezza che siamo di fronte a una pagina di Vangelo e, come tale, essa è in primo luogo l'annuncio di Dio che salva, di Dio che chiama e affida a una libera creatura umana un compito nell'opera della salvezza. Dio manda Gabriele, l'angelo degli annunci messianici, in Galilea nel paesello di Nazaret. Non è più nel tempio che ora vuole rivelarsi, ma in una sconosciuta contrada. Destinatario dell'annuncio non è un sacerdote nel pieno esercizio delle sue funzioni, ma una vergine. Si chiama Maria ed è promessa sposa di Giuseppe. Sarà madre, avrà un figlio. Tutto sarà opera di Dio: sarà Madre-vergine. "Lo spirito Santo scenderà su di te, e la potenza dell'altissimo stenderà su di te la sua ombra. Colui che nascerà da te sarà dunque santo e sarà chiamato figlio di Dio".
Maria si aprì gioiosamente al volere di Dio; da quel momento il Verbo, assume in Maria il suo essere umano. Se noi diamo la nostra disponibilità a Dio come ha fatto Maria, Dio sarà capace di compiere le meraviglie anche in noi come ha compiuto in Maria. Il senso ultimo della vita è l'amore. L'Amore ci ha chiamato all'esistenza, l'Amore si è incarnato per salvarci, l'Amore ci è stato donato perché incominciassimo una vita nuova. Senza amore la vita è vuota. Se cerchi la felicità, dona amore. È dando che si riceve. È amando che ti realizzi. Ogni sacrificio che fai, ti rende più forte. Ogni mano che tendi, ti sostiene. L'amore che ti sforzi di donare, genera un amore ancora più grande. Solo i cuori che sanno amare aprono la via del futuro. Sarai un benefattore dell'umanità, se farai della tua vita un dono di amore. Questo ci insegna Maria quando va a trovare ed aiutare Elisabetta l'anziana cugina.La mia fede esige che mi metta in viaggio per incontrare gli altri. Come Maria, che si porta in grembo il suo bambino, devo andare verso l'altro che ha bisogno di me. Come Elisabetta, devo essere felice se qualcuno bussa alla porta e devo aprirla con il volto pieno di sorpresa. La fede che mi hai donato, Signore, non può restare un tesoro privato. Deve fondersi con la fede degli altri così da cantare insieme le tue opere meravigliose, riconoscendo nel volto degli altri la tua presenza che visita la mia casa.
Sia lodato Gesù Cristo!

Fonte: LaChiesa.It

domenica 6 dicembre 2009

Domenica 13 dicembre 2009 - III Domenica di Avvento

PRIMA LETTURA
Dal Libro del Profeta Sofonia (Sof 3, 14-18)
Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico. Re d’Israele è il Signore in mezzo a te, tu non vedrai più la sventura. In quel giorno si dirà a Gerusalemme: «Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente. Esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore, si rallegrerà per te con grida di gioia, come nei giorni di festa». Ho allontanato da te il male, perchè tu non abbia a subirne la vergogna.

SECONDA LETTURA
Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Filippesi (Fil 4, 4-7)
Fratelli, rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 3, 10-18)
In quel tempo, le folle interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare, e gli chiesero: «Maestro, che dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi che dobbiamo fare?». Rispose: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe». Poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile». Con molte altre esortazioni annunziava al popolo la buona novella.

COMMENTO ALLE LETTURE
La predicazione di Giovanni Battista è al tempo stesso l'annuncio di una lieta notizia e una minaccia del giudizio. «Viene uno che è più forte di me, e vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco»: questa è la lieta notizia. Ma è anche un giudizio: «Ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia». Di fronte al giudizio imminente nasce l'interrogativo: «Che cosa dobbiamo fare?». Per Luca questo interrogativo è di perenne attualità. Infatti l'imminenza del giudizio non è caratteristica della fine dei tempi, ma di ogni momento della nostra storia: con Gesù inizia una storia densa di significato salvifico e ricca di possibilità dalle conseguenze incalcolabili.
Riprendiamo l'interrogativo: che cosa dobbiamo fare per accogliere il Cristo che viene e sfuggire al giudizio incombente? La risposta di Luca, di grande semplicità, spinge verso il concreto e il quotidiano. Il precedente invito del Battista (Vangelo della scorsa domenica) era globale, di stampo profetico: convertitevi. Ora il suo invito è didattico, concretizza la conversione, la esemplifica, la introduce nel quotidiano e l'applica alle situazioni particolari delle diverse categorie di persone. È questo uno sforzo che ogni lettore del Vangelo deve saper fare se vuole che la Parola tocchi veramente e concretamente la sua vita.
Giovanni Battista non impone separazioni o fughe dal mondo, non invita a seguirlo nel deserto. Alle folle raccomanda, scendendo al pratico, l'amore fraterno e la condivisione: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». Agli esattori delle tasse – lavoro comunemente ritenuto impuro – non dice di cambiare mestiere, ma più semplicemente raccomanda di non lasciarsi corrompere e di non approfittare della loro posizione: «Non esigete nulla di più di quanto è stato fissato». E ai soldati raccomanda di non abusare della loro forza, di non fare rapine e violenze, ma di accontentarsi della loro paga.
Accorgendosi poi che la gente si chiede se non sia proprio lui il Messia, il Battista distoglie immediatamente l'attenzione da sé per dirigerla verso un Altro: il più forte, che battezzerà nello Spirito e nel fuoco. Presentare la figura del Battista come una freccia in direzione di Cristo, è un dato costante di tutti i Vangeli. La sua funzione è di aprire la strada al Cristo: una volta che Egli è giunto, Giovanni non ha più nulla da dire.


Fonte: LaChiesa.It - da un’omelia di don Bruno Maggioni