domenica 27 dicembre 2009

Domenica 3 gennaio 2010 - II Domenica dopo Natale

PRIMA LETTURA
Dal Libro del Siràcide (Sir 24,1-4.12-16)
La sapienza fa il proprio elogio, in Dio trova il proprio vanto, in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria. Nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca, dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria, in mezzo al suo popolo viene esaltata, nella santa assemblea viene ammirata, nella moltitudine degli eletti trova la sua lode e tra i benedetti è benedetta, mentre dice: «Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine, colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele, affonda le tue radici tra i miei eletti” . Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato, per tutta l’eternità non verrò meno. Nella tenda santa davanti a lui ho officiato e così mi sono stabilita in Sion. Nella città che egli ama mi ha fatto abitare e in Gerusalemme è il mio potere. Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso, nella porzione del Signore è la mia eredità, nell’assemblea dei santi ho preso dimora».

SECONDA LETTURA
Dalla Lettera di San Paolo Apostolo agli Efesini (Ef 1,3-6.15-18)
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. Perciò anch’io [Paolo], avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Giovanni (Forma breve: Gv 1,1-5.9-14)
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.

COMMENTO ALLE LETTURE
Nella seconda domenica dopo Natale Paolo introduce il motivo della speranza: «Possa Dio illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamato» (Efesini 1,18). La speranza, a cui Paolo qui accenna, non si identifica con la speranza mondana, bensì la converte profondamente, rinnovandola. La prima novità è di fondarla non sulle previsioni degli uomini (quasi sempre molto insicure) ma sulla promessa di Dio di cui ti fidi totalmente. La seconda novità è di sperare ciò che Dio ci ha promesso, cioè il trionfo dell'amore e della sua verità, non il trionfo di chi sa quali altre cose. Dio non sostiene le nostre speranze inutili o illusorie.
Ma veniamo al prologo di Giovanni. Piena di speranza è un'affermazione che a prima vista sembrerebbe il contrario: «La luce splende nella tenebra, ma la tenebra non l'ha accolta» (1,15). Si osservino anzitutto i tempi verbali. Per la luce si ricorre al presente («splende»), per il rifiuto della tenebra al passato («non l'ha accolta»). La luce brilla sempre, appartiene alla sua natura illuminare. Questo è il significato del presente. Per la tenebra invece un verbo al passato, per dire che si tratta di un fatto storico, non di una necessità. Un fatto che potrebbe esserci e non esserci, perché dipende dall'uomo e dalla sua libertà. Questo significa che nessuno può far cessare la luce che proviene da Cristo. Essa brilla sempre, ovunque. La tenebra può rifiutarla, ma non spegnerla.
Il verbo greco che Giovanni adopera ha due significati: non accogliere, ma anche non trattenere. Il dramma è profondo, ma lo spazio della speranza è sempre aperto. Nel prologo c'è un'altra affermazione che, ancora più profondamente, costituisce il fondamento della speranza cristiana: «Il Verbo si è fatto carne» (1,14). Carne è l'uomo nella sua caducità e nella sua debolezza. Per comprendere la forza di questa affermazione di Giovanni basta confrontarla con un'affermazione del profeta Isaia (40,6-8): «Ogni carne è come l'erba...l'erba secca, il fiore appassisce, ma la Parola di Dio rimane per sempre». Per il profeta tra la Parola di Dio e la caducità dell'uomo c'è un ma, che indica tutta la distanza fra l'inconsistenza dell'uomo e la solidità di Dio. Nel prologo di Giovanni, invece, il ma è scomparso. La solidità della Parola di Dio si è fatta carne, ciò che permane ha assunto ciò che è caduco. Nel cammino di ogni uomo e dell'intera umanità si è inserita una presenza che salva dalla vanità e dall'impermanenza.
Il Padre si è rivelato agli uomini nel figlio Gesù. In lui Dio ha assunto il volto dell'uomo e si è espresso con parole umane. Gesù si presenta come luce e vita, offre agli uomini la possibilità di diventare figli di Dio. La Parola si rivolge all'uomo impegnandolo ad una risposta.
(da un’omelia di Don Bruno Maggioni)
Fonte: LaChiesa.It

lunedì 21 dicembre 2009

Domenica 27 dicembre 2009 - Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

PRIMA LETTURA
Dal Primo Libro di Samuele (1 Sam 1, 20-22. 24-28)
Così al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele. «Perché diceva dal Signore l’ho impetrato» . Quando poi E’lkana andò con tutta la famiglia a offrire il sacrificio di ogni anno al Signore e a soddisfare il voto, Anna non andò, perché diceva al marito: «Non verrò, finché il bambino non sia divezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà là per sempre» .
Dopo averlo divezzato, andò con lui, portando un giovenco di tre anni, un’efa di farina e un otre di vino e venne alla casa del Signore a Silo e il fanciullo era con loro. Immolato il giovenco, presentarono il fanciullo a Eli e Anna disse: «Ti prego, mio signore. Per la tua vita, signor mio, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho chiesto. Perciò anch’io lo dò in cambio al Signore: per tutti i giorni della sua vita egli è ceduto al Signore» . E si prostrarono là davanti al Signore.

SECONDA LETTURA
DallaPrima Lettera di San Giovanni Apostolo (1 Gv 3, 1-2. 21-24)
Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio; e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quel che è gradito a lui. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti dimora in Dio ed egli in lui. E da questo conosciamo che dimora in noi: dallo Spirito che ci ha dato.
VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 2, 41-52)
I genitori di Gesù si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l’usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

COMMENTO ALLE LETTURE
Il ritrovamento di Gesù fanciullo nel tempio potrebbe sembrare un semplice episodio di vita familiare. E invece il suo significato è molto più profondo.
Il suo senso è tutto racchiuso nella domanda della Madre e nella risposta del Figlio.
Troviamo qui la prima parola di Gesù, l'unica nei racconti dell'infanzia. Una parola, per giunta, di cui i genitori non compresero il significato. Si tratta dunque di una parola inaspettata e dal significato molto profondo. A volte si sottolinea che con il suo gesto e le sue parole Gesù abbia inteso prefigurare il futuro distacco dalla famiglia e affermare la propria libertà e il primato della propria missione. È certamente un'interpretazione che ha molta parte di verità. Però resta ancora debole, in ogni caso ancora troppo all'esterno del mistero di Gesù. Dicendo «tuo padre», Maria pensava a Giuseppe. Dicendo «mio Padre», Gesù pensava a Dio. Il contrasto è significativo, quasi duro. Gesù afferma la sua origine dal Padre. E nella domanda rivolta ai genitori («Non sapevate che è necessario che io sia nelle cose del Padre mio?»), Egli svela la sua obbedienza senza riserve al Padre. Le «cose» del Padre mio è un'espressione generica, ma proprio per questo significativa. Le «cose» possono essere la casa, gli interessi, i desideri, la volontà, i progetti: un'espressione volutamente generica per suggerire la totalità. Ma è ancora più suggestiva l'espressione «essere in», che a volte si traduce con un semplice «occuparsi». In realtà «essere in» è ben più del semplice occuparsi: esprime un atteggiamento che tocca la persona e l'esistenza. Ma è in quel «è necessario» – che più avanti Gesù riprenderà per indicare la sua obbedienza fino alla Croce – che si nasconde il segreto più sconcertante della rivelazione di Gesù, quello più difficile da capire. «Ma essi non compresero» annota l'evangelista. Che cosa non hanno compreso? L'appartenenza di Gesù al Padre? La sua separazione dalla famiglia? O quel «è necessario» che Gesù ripeterà più avanti (9,22), lungo la sua missione, per esprimere la «necessità» della Croce?
Quel che è certo è che sia il gesto di Gesù sia le sue parole rimasero enigmatici. Nascondevano qualcosa che si sarebbe svelato dopo. È l'identità profonda di Gesù che ancora non si è svelata, tutta racchiusa in quel «è necessario». Bisognerà aspettare la Croce perché possa svelarsi nella sua chiarezza.
(da un’omelia di Don Bruno Maggioni)

Fonte: LaChiesa.It

domenica 13 dicembre 2009

Domenica 20 dicembre 2009 - IV Domenica di Avvento

PRIMA LETTURA
Dal Libro del Profeta Michea (Mic 5, 1-4)
Così dice il Signore: E tu, Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui fino a quando colei che deve partorire partorirà; e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli di Israele. Egli starà là e pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore suo Dio. Abiteranno sicuri perché egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra e tale sarà la pace.


SECONDA LETTURA
Dalla lettera agli Ebrei (Eb 10, 5-10)
Fratelli, entrando nel mondo, Cristo dice: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo poiché di me sta scritto nel rotolo del libro per fare, o Dio, la tua volontà”. Dopo aver detto prima non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato, cose tutte che vengono offerte secondo la legge, soggiunge: Ecco, io vengo a fare la tua volontà. Con ciò stesso egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo. Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 1, 39-48)
In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore». Allora Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva.

COMMENTO ALLE LETTURE
Fratelli nella fede, la liturgia di questo tempo di avvento ci fa vedere come Dio sceglie persone umili per una missione così importante. Maria non ha un momento di esitazione: Ella parte! Corre a condividere con Elisabetta la gioia di ciò che sa, la gioia di ciò che ha capito, la gioia di ciò che ha creduto, la gioia di ciò che ha ricevuto. Maria vede la bontà di Dio e si commuove e pronuncia la più bella preghiera: "Io sono felice nel Signore! Non sono niente, ma Dio mi ama: tutto viene da Lui!".
È grandioso, nella sua semplicità, il vangelo odierno. Presenta due donne che sono nell'attesa di diventare madri. Dio continua a farsi presente in una storia di umili visite. Scende davvero dalle stelle. Nell'abbraccio delle due donne incinte, Elisabetta continua quell'Ave Maria cominciata dall'angelo: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo". Maria esplode di gioia e di umiltà con il suo Magnificat. La cugina la definisce "beata" perché ha "creduto". Beati quelli che credono.
L'annuncio dell'angelo a Maria, è la pagina più letta nella liturgia, più meditata dagli artisti, più riprodotta in tele o nelle sculture. Ci guida la certezza che siamo di fronte a una pagina di Vangelo e, come tale, essa è in primo luogo l'annuncio di Dio che salva, di Dio che chiama e affida a una libera creatura umana un compito nell'opera della salvezza. Dio manda Gabriele, l'angelo degli annunci messianici, in Galilea nel paesello di Nazaret. Non è più nel tempio che ora vuole rivelarsi, ma in una sconosciuta contrada. Destinatario dell'annuncio non è un sacerdote nel pieno esercizio delle sue funzioni, ma una vergine. Si chiama Maria ed è promessa sposa di Giuseppe. Sarà madre, avrà un figlio. Tutto sarà opera di Dio: sarà Madre-vergine. "Lo spirito Santo scenderà su di te, e la potenza dell'altissimo stenderà su di te la sua ombra. Colui che nascerà da te sarà dunque santo e sarà chiamato figlio di Dio".
Maria si aprì gioiosamente al volere di Dio; da quel momento il Verbo, assume in Maria il suo essere umano. Se noi diamo la nostra disponibilità a Dio come ha fatto Maria, Dio sarà capace di compiere le meraviglie anche in noi come ha compiuto in Maria. Il senso ultimo della vita è l'amore. L'Amore ci ha chiamato all'esistenza, l'Amore si è incarnato per salvarci, l'Amore ci è stato donato perché incominciassimo una vita nuova. Senza amore la vita è vuota. Se cerchi la felicità, dona amore. È dando che si riceve. È amando che ti realizzi. Ogni sacrificio che fai, ti rende più forte. Ogni mano che tendi, ti sostiene. L'amore che ti sforzi di donare, genera un amore ancora più grande. Solo i cuori che sanno amare aprono la via del futuro. Sarai un benefattore dell'umanità, se farai della tua vita un dono di amore. Questo ci insegna Maria quando va a trovare ed aiutare Elisabetta l'anziana cugina.La mia fede esige che mi metta in viaggio per incontrare gli altri. Come Maria, che si porta in grembo il suo bambino, devo andare verso l'altro che ha bisogno di me. Come Elisabetta, devo essere felice se qualcuno bussa alla porta e devo aprirla con il volto pieno di sorpresa. La fede che mi hai donato, Signore, non può restare un tesoro privato. Deve fondersi con la fede degli altri così da cantare insieme le tue opere meravigliose, riconoscendo nel volto degli altri la tua presenza che visita la mia casa.
Sia lodato Gesù Cristo!

Fonte: LaChiesa.It

domenica 6 dicembre 2009

Domenica 13 dicembre 2009 - III Domenica di Avvento

PRIMA LETTURA
Dal Libro del Profeta Sofonia (Sof 3, 14-18)
Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico. Re d’Israele è il Signore in mezzo a te, tu non vedrai più la sventura. In quel giorno si dirà a Gerusalemme: «Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente. Esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore, si rallegrerà per te con grida di gioia, come nei giorni di festa». Ho allontanato da te il male, perchè tu non abbia a subirne la vergogna.

SECONDA LETTURA
Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Filippesi (Fil 4, 4-7)
Fratelli, rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 3, 10-18)
In quel tempo, le folle interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare, e gli chiesero: «Maestro, che dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi che dobbiamo fare?». Rispose: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe». Poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile». Con molte altre esortazioni annunziava al popolo la buona novella.

COMMENTO ALLE LETTURE
La predicazione di Giovanni Battista è al tempo stesso l'annuncio di una lieta notizia e una minaccia del giudizio. «Viene uno che è più forte di me, e vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco»: questa è la lieta notizia. Ma è anche un giudizio: «Ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia». Di fronte al giudizio imminente nasce l'interrogativo: «Che cosa dobbiamo fare?». Per Luca questo interrogativo è di perenne attualità. Infatti l'imminenza del giudizio non è caratteristica della fine dei tempi, ma di ogni momento della nostra storia: con Gesù inizia una storia densa di significato salvifico e ricca di possibilità dalle conseguenze incalcolabili.
Riprendiamo l'interrogativo: che cosa dobbiamo fare per accogliere il Cristo che viene e sfuggire al giudizio incombente? La risposta di Luca, di grande semplicità, spinge verso il concreto e il quotidiano. Il precedente invito del Battista (Vangelo della scorsa domenica) era globale, di stampo profetico: convertitevi. Ora il suo invito è didattico, concretizza la conversione, la esemplifica, la introduce nel quotidiano e l'applica alle situazioni particolari delle diverse categorie di persone. È questo uno sforzo che ogni lettore del Vangelo deve saper fare se vuole che la Parola tocchi veramente e concretamente la sua vita.
Giovanni Battista non impone separazioni o fughe dal mondo, non invita a seguirlo nel deserto. Alle folle raccomanda, scendendo al pratico, l'amore fraterno e la condivisione: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». Agli esattori delle tasse – lavoro comunemente ritenuto impuro – non dice di cambiare mestiere, ma più semplicemente raccomanda di non lasciarsi corrompere e di non approfittare della loro posizione: «Non esigete nulla di più di quanto è stato fissato». E ai soldati raccomanda di non abusare della loro forza, di non fare rapine e violenze, ma di accontentarsi della loro paga.
Accorgendosi poi che la gente si chiede se non sia proprio lui il Messia, il Battista distoglie immediatamente l'attenzione da sé per dirigerla verso un Altro: il più forte, che battezzerà nello Spirito e nel fuoco. Presentare la figura del Battista come una freccia in direzione di Cristo, è un dato costante di tutti i Vangeli. La sua funzione è di aprire la strada al Cristo: una volta che Egli è giunto, Giovanni non ha più nulla da dire.


Fonte: LaChiesa.It - da un’omelia di don Bruno Maggioni

domenica 29 novembre 2009

Domenica 6 dicembre 2009 - II Domenica di Avvento

PRIMA LETTURA
Dal Libro del Profeta Baruc (Bar 5, 1-9)
Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione, rivèstiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre. Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio, metti sul capo il diadema di gloria dell’Eterno, perché Dio mostrerà il tuo splendore ad ogni creatura sotto il cielo. Sarai chiamata da Dio per sempre: Pace della giustizia e gloria della pietà. Sorgi, o Gerusalemme, e stà in piedi sull’altura e guarda verso oriente; vedi i tuoi figli riuniti da occidente ad oriente, alla parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio. Si sono allontanati da te a piedi, incalzati dai nemici; ora Dio te li riconduce in trionfo come sopra un trono regale. Poiché Dio ha stabilito di spianare ogni alta montagna e le rupi secolari, di colmare le valli e spianare la terra perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio. Anche le selve e ogni albero odoroso faranno ombra ad Israele per comando di Dio. Perché Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da lui.

SECONDA LETTURA
Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Filippesi (Fil 1, 4-6.8-11)
Fratelli, prego sempre con gioia per voi in ogni mia preghiera, a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del vangelo dal primo giorno fino al presente, e sono persuaso che colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù. Infatti Dio mi è testimonio del profondo affetto che ho per tutti voi nell’amore di Cristo Gesù. E perciò prego che la vostra carità si arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, perché possiate distinguere sempre il meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quei frutti di giustizia che si ottengono per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 3, 1-6)
Nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!

COMMENTO ALLE LETTURE
La comparsa di Giovanni Battista è il prologo immediato dell'evento della salvezza che inizia con la venuta del Signore. I dati cronologici sono espressi nello stile della Bibbia. Il tempo della salvezza inizia il quindicesimo anno dell'impero di Tiberio Cesare, cioè nell'anno 28 della nostra era. Tutti i dati riportati da Luca sono scrupolosamente esatti. Giovanni Battista agisce come i grandi profeti del passato e si riallaccia alla tradizione profetica. La parola di Dio lo chiama, lo mette al proprio servizio e continua ad essere la forza dominante della sua vita. La parola di Dio sta per compiere il suo ingresso decisivo non più nella storia d'Israele, ma nella storia dell'umanità; per questo nella sintesi della situazione storica posta all'inizio di questo capitolo sono ricordate la suprema autorità dell'impero romano e le autorità subalterne, compresi i sommi sacerdoti Anna e Caifa. Giovanni è l'araldo che precede il suo Signore e proclama ciò che sta per accadere. Il messaggio che egli annuncia è il battesimo di pentimento per la remissione dei peccati. La conversione è la condizione preliminare: per mezzo di essa l'uomo si rivolge a Dio, riconosce la sua verità e la sua volontà, si allontana dai propri peccati e li condanna; e in questo consiste essenzialmente la penitenza. Il battesimo, l'immersione nel Giordano, collegato con una confessione dei peccati (Mc 1,5), deve sigillare questa volontà di ravvedimento e contemporaneamente garantire la remissione dei peccati da parte di Dio. Il battesimo dà ai penitenti la consapevolezza che il loro pentimento è valido, che viene riconosciuto da Dio e che quindi è in grado di salvarli dall'imminente giudizio. Chi ha ricevuto il battesimo di Giovanni è ben preparato a far parte del nuovo popolo di Dio. Si esige però che il pentimento sia autentico e accompagnato dal mutamento di vita. Ciò che Giovanni annuncia è nuovo e grande: sta per cominciare il tempo del compimento delle promesse di Dio. La voce di Giovanni si leva nel deserto e invita a preparare la via del Signore che viene. La preparazione della strada va compresa in senso religioso e morale: significa penitenza, conversione a Dio, battesimo di pentimento per la remissione dei peccati. Preparare la via del Signore significa rimuovere gli ostacoli che impediscono il suo accesso nel cuore dell'uomo. Dio non può entrare dove c'è orgoglio e arroganza (monti e colli), freddezza o indifferenza (burrone). Occorre eliminare le aspirazioni smodate e sregolate, la presunzione, la pigrizia spirituale e mentale, le tortuosità e gli inganni. L'umanità è ingombrata da centri di potere e da squilibri sociali. Queste e altre cose devono scomparire per fare spazio alla salvezza di Dio. Sono le stesse previsioni cantate da Maria: "Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili" (Lc 1,52). La salvezza del Signore è universale, è destinata a tutti. L'unica condizione per riceverla è che ognuno si senta peccatore e bisognoso di essere perdonato e salvato da Dio.

Fonte: LaChiesa.It - da un’omelia di don Lino Pedron

domenica 22 novembre 2009

Domenica 29 novembre 2009 - I Domenica di Avvento

PRIMA LETTURA
Dal Libro del Profeta Geremia (Ger 33, 14-16)
Ecco verranno giorni oracolo del Signore nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa di Israele e alla casa di Giuda. In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio di giustizia; egli eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra. In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla. Così sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia.

SECONDA LETTURA
Dalla prima lettera di San Paolo Apostolo ai Tessalonicesi (1 Tes 3, 12-4,2)
Fratelli, il Signore vi faccia crescere e abbondare nell’amore vicendevole e verso tutti, come anche noi lo siamo verso di voi, per rendere saldi e irreprensibili i vostri cuori nella santità, davanti a Dio Padre nostro, al momento della venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi. Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù: avete appreso da noi come comportarvi in modo da piacere a Dio, e così gia vi comportate; cercate di agire sempre così per distinguervi ancora di più. Voi conoscete infatti quali norme vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 21, 25-38.34-36)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande. Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo”.

COMMENTO ALLE LETTURE
Il brano di Luca che la liturgia ci propone nella prima domenica di Avvento è un breve stralcio di un discorso apocalittico molto più ampio. Il suo scopo è di assicurare che il Signore è vicino. Si tratta di un dato di fede testimoniato da tutto il Nuovo Testamento: il ritorno del Figlio dell'uomo.
È una grande certezza, che è insieme giudizio e salvezza. Un giudizio severo e senza riguardi per nessuno, tanto che l'evangelista sente il bisogno di concludere consigliando di pregare «per trovare il coraggio» di comparire davanti al Figlio dell'uomo» (21,36). Un giudizio che avverrà sulla base della posizione che si assume ora nei confronti del Cristo, come dice Luca in 9,26: «Chi si vergognerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il Figlio dell'uomo, quando ritornerà nella sua gloria».
La condanna, dunque, è per tutti coloro che hanno rifiutato la dedizione alla verità e all'amore (quasi provandone vergogna) e hanno preferito la via dell'egoismo, della violenza e del successo cercato a qualunque costo e con qualsiasi mezzo. La venuta del Figlio dell'uomo – un evento certissimo – costituirà per tutti costoro la dimostrazione pubblica del fallimento di tutte le loro pretese. Per i discepoli invece, che non si sono vergognati del loro Maestro, della strada che Lui ha percorso, sarà il trionfo, il momento in cui apparirà a tutti, con estrema evidenza, l'amore che essi hanno vissuto – e non altro – è il vero progetto che l'uomo deve inseguire.
C'è anche una seconda certezza che Luca afferma con forza: «La vostra liberazione è vicina». Non significa che il ritorno del Figlio dell'uomo sia oggi o domani, ma che tutta la storia è immersa nell'imminenza delle ultime cose. Sempre il tempo è importante e decisivo, non necessariamente perché breve, ma perché ricco di occasioni dalle conseguenze incalcolabili. Da qui il dovere di essere svegli e pronti. È sempre però in agguato – non lo si dimentichi mai – il rischio che, distratti dalle cose secondarie e non attenti al fatto essenziale, non sappiamo scorgere i momenti propizi di cui la vita è ricca. Non è soltanto questione di disordine morale o di sregolatezze («dissipazione e ubriachezze»), ma più semplicemente della vita e dei suoi molti e spesso inutili «affanni» che distraggono dall'essenziale. Anche una vita onesta – disattenta e dispersa in troppe cose – può alla fine riuscire vuota. Occorre il coraggio di rimanere vigilanti e in preghiera: «Vegliate e pregare in ogni momento».


Fonte: LaChiesa.It - Da un’omelia di don Bruno Maggioni

domenica 15 novembre 2009

Domenica 22 novembre 2009 - XXXIV Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA
Dal Libro del Profeta Daniele (Dn 7, 13-14)
Dal libro del profeta Daniele. Guardando nelle visioni notturne,
ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto.

SECONDA LETTURA
Dal libro dell’Apocalisse di San Giovanni Apostolo (Ap 1, 5-8)
Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra. A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen. Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto. Sì, Amen! Dice il Signore Dio: Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!

VANGELO
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 18, 33-37)
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

COMMENTO ALLE LETTURE
Per tre volte Gesù dice: «Il mio Regno», e per due volte si preoccupa di chiarire che questo suo Regno è completamente al di fuori dagli schemi mon-dani: «Il mio Regno non è di questo mondo», «Il mio Regno non è di quaggiù». Con queste affermazioni Gesù non vuole assolutamente dire che il suo Regno non riguarda il mondo e le realtà presenti, bensì che il suo regno – già presente ora fra gli uomini – non trae la sua origine dal mondo e, perciò, non si modella sul suo schema di valori.

Ma l'affermazione di Gesù che più ci interessa è probabilmente un'altra: «Io sono re: per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità».

Dunque, la regalità di Cristo è completamente sottomessa alle esigenze della verità, parola che nel linguaggio giovanneo indica la verità di Dio, il suo amore per l'uomo, ogni uomo. La regalità di Gesù è sempre a servizio della verità, dovunque e comunque: non accetta mai di sottomettere la «verità» alle esigenze di una «ragion di stato», che non sia, appunto, la verità, si trattasse pure della propria sopravvivenza.

Nel suo breve e serrato dibattito con Pilato, Gesù afferma un'altra cosa importante: «Chiunque è dalla parte della verità, ascolta la mia voce». Per comprendere la regalità di Gesù e per divenire suoi sudditi (e potremmo aggiungere per correttamente annunciarla e festeggiarla) occorre aver scelto la verità. Vi sono uomini che sono «dalla parte della verità» e uomini che invece sono «dalla parte della menzogna». Non è semplicemente questione di bugie ma di un atteggiamento di fondo, di una scelta di valori. Queste due possibilità contrapposte che si aprono davanti all'uomo – e che Giovanni esprime molto efficacemente in termini di origine («dalla verità o dalla menzogna») – sono nel racconto del processo incarnate dai due personaggi che si fronteggiano: Gesù e Pilato. Da una parte Gesù che si consegna pienamente nelle mani della verità e non si sottrae ad essa neppure per salvarsi la vita. Dall'altra Pilato che invece rappresenta un potere politico che serve la verità ma «non oltre un certo prezzo»: un potere che ritiene di avere valori più importanti da salvare.

Per tre volte Pilato riconosce l'innocenza di Gesù e la dichiara pubblicamente, e per tre volte cerca di salvarlo. Tuttavia lo condanna alla croce. Di fronte all'esigenza di salvare se stesso – o l'ordine pubblico – il suo amore alla giustizia e alla verità viene meno. Uomini (e organizzazioni) come Pilato possono sembrare amanti della verità, ma se si guarda con attenzione appare che si tratta di un amore subordinato. C'è di che interrogarci. Non a caso l'evangelista conclude la discussione sulla regalità e sulla verità con queste battute: «Pilato domandò: che cosa è la verità? Detto questo, uscì di nuovo...» (18,38). Il procuratore pone la domanda giusta, ma il suo animo è privo di impegno, distratto, fondamentalmente assente. Nel suo rapido passare oltre («detto questo, uscì...») mostra di non essere un vero ricercatore della verità.

Fonte: LaChiesa.It - Da un’omelia di don Bruno Maggioni

domenica 8 novembre 2009

Domenica 15 novembre 2009 - XXXIII Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA
Dal Libro del Profeta Daniele (Dn 12, 1-3)
In quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo.
Sarà un tempo di angoscia, come non c’era stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro. Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna.
I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre.

SECONDA LETTURA
Dalla lettera agli Ebrei (Eb 10, 11-14. 18)
Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati. Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi. Infatti, con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati. Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più offerta per il peccato.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 13, 24-32)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo. Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».

COMMENTO ALLE LETTURE
Le parole di Gesù che leggiamo in questa domenica fanno parte di un discorso che appartiene al genere apocalittico, un genere che si esprime attraverso un linguaggio immaginoso: «Il sole e la luna si oscureranno e le stelle cadranno».

Questo discorso di Gesù non racconta la fine del mondo, ma il senso della storia. Molto spesso l'esperienza quotidiana sembra dirci che il male vince e il bene perde, ma è così? Per valutare le cose in profondità e non lasciarsi ingannare dalle apparenze, è necessario che il discepolo esca dai tempi brevi e spinga lo sguardo lontano: è per questo, e solo per questo, che l'ultimo discorso di Gesù non parla direttamente della Croce (che pur continua ad essere in qualche modo presente), ma del ritorno del Figlio dell'uomo in potenza e gloria.

Quest'ultima affermazione vuole rassicurarci che l'efficacia nascosta della Croce, cioè quella sua possibilità di gloria e di vittoria che ora rimane nascosta, alla fine dei tempi apparirà di fronte a tutti nel suo più abbagliante fulgore.
Come è detto chiaramente nella prima parte del discorso che però la liturgia tralascia, la comunità cristiana verrà a trovarsi in situazioni difficili. «Sorgeranno falsi profeti e falsi messia», e faranno segni che sembreranno convincenti, allo scopo di trarre in inganno gli stessi credenti; «Comparirete davanti a governatori e re per causa mia» e «sarete odiati da tutti»; «Si leverà popolo contro popolo e regno contro regno».

In simili situazioni il discepolo può trovarsi frastornato, deluso, toccato dal dubbio che la Croce di Cristo sia un fatto sprecato ed impotente: il mondo sembra infatti continuare come prima, con tutto il suo carico di odio e di errori. Le raccomandazioni di Gesù? Eccole: «Non allarmatevi», «Non preoccupatevi», «Pregate», «Non ci credete», «State attenti», «Sappiate che Egli è vicino, alle porte».

Atteggiamenti facili a dirsi, ma difficili a praticarsi, possibili unicamente se sostenuti da una grande fede. È solo da una grande fede che scaturiscono la serenità, la vigilanza e la capacità di distinguere tra veri e falsi profeti, veri e falsi rinnovamenti. «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno»: ritengo essere quest'assicurazione l'ultima consegna di Gesù, il punto fermo, che giustifica (ed esige) nel discepolo la serenità, la fedeltà, la certezza che il Figlio dell'uomo ritornerà e che l'avvenire - a dispetto di tutte le esperienze contrarie - è saldamente nelle mani di Colui che fu crocifisso.

Fonte: LaChiesa.It - Da un’omelia di don Bruno Maggioni

domenica 1 novembre 2009

Domenica 8 novembre 2009 - XXXII Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA
Dal Libro dei Re (1 Re 17, 10-16)
In quei giorni, Elia si alzò e andò a Zarepta. Entrato nella porta della città, ecco una vedova raccoglieva la legna. La chiamò e le disse: «Prendimi un pò d’acqua in un vaso perché io possa bere». Mentre quella andava a prenderla, le gridò: «Prendimi anche un pezzo di pane». Quella rispose: «Per la vita del Signore tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un pò di olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a cuocerla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo». Elia le disse: «Non temere; su, fà come hai detto, ma prepara prima una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché dice il Signore: La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non si svuoterà finché il Signore non farà piovere sulla terra». Quella andò e fece come aveva detto Elia. Mangiarono essa, lui e il figlio di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunziata per mezzo di Elia.

SECONDA LETTURA
Dalla lettera agli Ebrei (Eb 9, 24-28)
Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore, e non per offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui. In questo caso, infatti, avrebbe dovuto soffrire più volte dalla fondazione del mondo. Ora invece una volta sola, alla pienezza dei tempi, è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una volta per tutte allo scopo di togliere i peccati di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione col peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 12, 38-44)
In quel tempo, Gesù diceva alla folla mentre insegnava: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere. Essi riceveranno una condanna più grave». E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: «In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

COMMENTO ALLE LETTURE
Sbaglieremmo se pensassimo che le sferzanti denunce che si leggono nel nostro passo riguardassero tutte e soltanto gli scribi del tempo di Gesù. In realtà la descrizione dello scriba fatta dall'evangelista è una sorta di cliché, uno stampo, il cui scopo è di denunciare alcune strutture che possono colpire qualsiasi uomo religioso, in ogni epoca. Uomini simili si rivelano, anzitutto, nei loro atteggiamenti vanitosi, un difetto che potrebbe anche farci sorridere.Si pavoneggiano nelle loro divise, che li fanno riconoscere come i maestri. In forza della posizione che occupano (sono, appunto, i maestri riconosciuti) pretendono deferenza e venerazione. Ma la cosa più grave è che costoro hanno introdotto nella loro vita la menzogna («divorano le case delle vedove e ostentano lunghe preghiere»). Una duplice menzogna, quella di separare il culto di Dio dalla giustizia: pregano Dio e danneggiano i poveri. E quella, ancor più radicale, che consiste nell'illudersi di amare Dio e il prossimo, e invece non amano che se stessi. L'autorità morale di cui godono, la dottrina che possiedono, le pratiche religiose che compiono, tutto deve servire a metterli in luce, tutto deve tornare – consapevolmente o meno – a loro vantaggio. Persino i criteri della giustizia finiscono con l'identificarsi con il loro tornaconto.
Nel cortile del tempio, al quale avevano accesso anche le donne, erano allineate tredici ceste, in cui venivano gettate le offerte. Ci sono molti ricchi che fanno laute offerte, di cui il sacerdote ripete ad alta voce l'entità, suscitando l'ammirazione dei presenti. E c'è una povera vedova che offre poche monete, tutto quanto possiede. Nessun mormorio di ammirazione.. Ma Gesù la scorge e richiama l'attenzione dei discepoli con parole che il Vangelo riserva per gli insegnamenti più importanti: «In verità vi dico».
Gesù ha finalmente trovato ciò che cercava: un gesto autentico. Un'autenticità garantita da tre qualità la totalità, la fede e l'assenza di ogni ostentazione. Quella povera vedova non ha dato qualcosa del suo superfluo, ma tutto ciò che aveva. Donare del proprio superfluo non è ancora amare. E neppure fede. Donare, invece, fino al punto da mettere allo sbaraglio la propria vita, questa è fede. E infine l'assenza di ogni ostentazione: quella donna non ha dato molto, ha dato tutto, ma il tutto si riduceva a poche monete. Convinta di questo compie il suo gesto in tutta umiltà. Il povero - di solito - ti dona del suo scusandosi del poco che ha. Succede invece, alle volte, che il ricco dia del suo superfluo facendotelo pesare.

Fonte: LaChiesa.It - Da un'omelia di Don Bruno Maggioni

lunedì 26 ottobre 2009

Domenica 1 novembre 2009 - Tutti i Santi

PRIMA LETTURA
Dall’Apocalisse di San Giovanni Apostolo (Ap 7, 2-4.9-14)
Io, Giovanni, vidi un angelo che saliva dall’oriente e aveva il sigillo del Dio vi-vente. E gridò a gran voce ai quattro angeli ai quali era stato concesso il potere di devastare la terra e il mare: «Non devastate né la terra, né il mare, né le piante, finché non abbiamo impresso il sigillo del nostro Dio sulla fronte dei suoi servi» . Poi udii il numero di coloro che furon segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila, segnati da ogni tribù dei figli d’Israele: Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello». Allora tutti gli angeli che stavano intorno al trono e i vegliardi e i quattro esseri viventi, si inchinarono profondamente con la faccia davanti al trono e adorarono Dio dicendo: «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen». Uno dei vegliardi allora si rivolse a me e disse: «Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello» .

SECONDA LETTURA
Dalla prima lettera di San Giovanni Apostolo (1 Gv 3, 1-3)
Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5, 1-12)
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno o-gni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» .

COMMENTO ALLE LETTURE
La liturgia della festa di tutti i santi ci propone il vangelo delle beatitudini: i santi sono coloro che hanno vissuto lo spirito di questa famosa ma sempre misteriosa pagina evangelica.
I santi sono poveri in spirito. Attingono la loro forza non da se stessi, dalle proprie ricchezze e risorse di qualunque genere, ma unicamente dal Signore.
I santi sono afflitti. Sentono i problemi del Regno e li soffrono come propri. Non si installano soddisfatti del loro piccolo mondo, ma - in sintonia coi senti-menti di Cristo - avvertono come sofferenza tutto quello che, dappertutto, va contro il progetto di Dio.
I santi sono miti. Non ricorrono alla violenza, di nessun tipo, ma affidano fidu-ciosi la loro causa a Dio. Rispettano gli altri, non cercano di dominarli, di as-soggettarli ai loro progetti e vantaggi.
I santi hanno fame e sete di giustizia. Non sono paghi, sentono il bisogno di un di più; non un "di più" di cose, beni, potere, etc..., bensì di "giustizia", cioè, bi-blicamente, di santità, la giustizia di fronte a Dio.
I santi sono misericordiosi. Si sanno salvati dall'amore gratuito del Padre, e si fanno strumento di questa misericordia prolungandola sugli altri.
I santi sono puri di cuore. Hanno bruciato tutti gli idoli, si danno senza riserve a Dio, non "zoppicano da entrambi i piedi", non cercano di tenere il piede in due staffe, di dare un colpo al cerchio e uno alla botte.
I santi sono operatori di pace. Le loro azioni, parole, il loro modo di essere contribuisce a quella situazione di benedizione, di vita abbondante, positiva, di fraternità, che la Bibbia chiama "shalom", pace.
I santi sono perseguitati per la giustizia. Decisamente schierati per il Regno, trovano ostilità e opposizioni che non incontrerebbero se pensassero sempli-cemente ai propri affari. Questa persecuzione, però, è il segno che sono dalla parte di Cristo.
Questa la vita dei santi, una vita "beata". Non semplicemente "felice": non si tratta di una felicità umana - la si persegue con ben altri mezzi -, ma della condivisione (sia pure in forma germinale) della beatitudine eterna e infinita del Padre, del Figlio e dello Spirito.
Questa la chiamata battesimale, la nostra. Affrettiamo nella speranza il nostro cammino verso la patria comune, la Gerusalemme celeste, pellegrini sulla terra nello spirito delle beatitudini.


Fonte: LaChiesa.It - Da un’omelia di don Marco Pratesi

domenica 18 ottobre 2009

Domenica 25 ottobre 2009 - XXX Domenica del Tempo Ordinario


PRIMA LETTURA
Dal libro del Profeta Geremia (Ger 31, 7-9)
Così dice il Signore: «Innalzate canti di gioia per Giacobbe, esultate per la prima delle nazioni, fate udire la vostra lode e dite: Il Signore ha salvato il suo popolo, un resto di Israele». Ecco li riconduco dal paese del settentrione e li raduno all’estremità della terra; fra di essi sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente; ritorneranno qui in gran folla. Essi erano partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni; li condurrò a fiumi d’acqua per una strada dritta in cui non inciamperanno; perché io sono un padre per Israele, Efraim è il mio primogenito.

SECONDA LETTURA
Dalla lettera agli Ebrei (Eb 5, 1-6)
Ogni sommo sacerdote, scelto fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. In tal modo egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anch’egli rivestito di debolezza; proprio a causa di questa anche per se stesso deve offrire sacrifici per i peccati, come lo fa per il popolo. Nessuno può attribuire a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non si attribuì la gloria di sommo sacerdote, ma gliela conferì colui che gli disse: Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato. Come in un altro passo dice: Tu sei sacerdote per sempre, alla maniera di Melchìsedek”.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 10, 46-52)
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Costui, al sentire che c’era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Allora Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». E chiamarono il cieco dicendogli: «Coraggio! Alzati, ti chiama!». Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che vuoi che io ti faccia?». E il cieco a lui: «Rabbunì, che io riabbia la vista!». E Gesù gli disse: «Và, la tua fede ti ha salvato». E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada.

COMMENTO ALLE LETTURE
Gesù sta uscendo da Gerico, per salire a Gerusalemme. Un cieco, conosciuto come Bartimeo, che ha sentito parlare di Gesù, oppure che l'ha ascoltato in qualche occasione, decide di chiedergli il suo aiuto con determinazione. Quando Gesù passa, si mette a gridare: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!". Quante volte avrà pensato di farlo prima di quel giorno? Non è la prima volta che Gesù passa per Gerico. Perché non l'ha fatto prima? Forse l'aveva fatto delicatamente, cercando di non disturbare nessuno, magari chiedendo aiuto per interposta persona.
Condizione essenziale per poter aiutare qualcuno è che lo voglia veramente, con tutto se stesso, senza remore e non saltuariamente. Questa volontà va espressa con i fatti, non basta pensarlo. E' come chi desidera imparare una lingua e va a lezione quando se lo ricorda: potrà mai il maestro insegnargli qualche cosa? Dovrà sempre ricominciare dalla prima lezione, fino a quando si stuferà lui e il maestro. Cosi è di chi chiede aiuto. Ci vuole determinazione e costanza affinché il Signore possa trovare in noi dei collaboratori al suo progetto di salvezza per noi.
Gesù accetta di farsi coinvolgere da Bartimeo, come poco prima aveva accettato il dialogo con il giovane ricco, ma, contrariamente a quest'ultimo, Bartimeo manifesta delle disposizioni diverse: la prima cosa che fa', appena sa che Gesù lo manda a chiamare, butta il suo mantello; cioè le sue ricchezze, il suo passato, la sua personalità, ciò che è e ciò che ha. Balza in piedi e si presenta a mani vuote, non recrimina, non accusa nessuno, si limita a domandare da bisognoso che è, senza vergognarsi.
Non sempre noi abbiamo questa libertà; per paura di disturbare, di esporsi ad un rifiuto doloroso, ad un'ennesima delusione. Preferiamo cercare di accontentarci di ciò che abbiamo dicendo: "C'è chi sta peggio di me"; qualcuno si trova sempre e così ci consoliamo.
Ma questa non è la vita che il Signore vuole donarci.
Gesù ti chiedo di donarmi quella fede che ha permesso a Bartimeo di manifestare il suo bisogno liberamente, e la costanza di lasciarmi aiutare da te seguendoti, come fece Bartimeo.
Fonte: LaChiesa.it -Da un’omelia di padre Paul Devreux

domenica 11 ottobre 2009

Domenica 18 ottobre 2009 - XXIX Domenica del Tempo Ordinario


PRIMA LETTURA
Dal libro del Profeta Isaia (Is 53,2.3.10-11)
Il Servo del Signore è cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire. Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità.
SECONDA LETTURA
Dalla lettera agli Ebrei (Eb 4, 14-16)
Fratelli, poiché abbiamo un grande sommo sacerdote, che ha attraversato i cieli, Gesù, Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della nostra fede; infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 10, 35-45)
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». All’udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

COMMENTO ALLE LETTURE
Il brano evangelico di questa domenica non fa un discorso nuovo. Riprende parole che Gesù ha già detto («Chi vuole essere grande si faccia servo di tutti»: cfr. 9,35), che però i discepoli continuano a non comprendere, come appare dalla loro richiesta («Vogliamo sedere uno alla tua destra e uno alla tua sinistra»).
Se non è nuovo il tema, sono però nuove l'ampiezza e l'insistenza con cui è ribadito. Per far comprendere il suo pensiero ai discepoli, Gesù si serve di due paragoni, uno negativo e uno positivo. Non esercitate la vostra autorità come fanno i principi del mondo (questo è il paragone negativo): se vi accorgete che il vostro comportamento assomiglia al loro, impensieritevi. Comportatevi invece come «Il figlio dell'uomo (ecco il paragone positivo) che non è venuto a farsi servire, ma a servire e dare la propria vita in riscatto per le moltitudini».
È questa frase il punto di forza dell'intero insegnamento: una frase che va molto al di là del semplice esercizio dell'autorità. Una sua analisi attenta ci permette di parafrasarla in questo modo: il Figlio dell'uomo non è venuto a farsi servire (come invece il mondo, i cui insegnamenti sono capovolti rispetto a quelli evangelici, si sarebbe aspettato), ma a servire, e servire significa organizzare la propria intera esistenza in modo da prendersi a carico (se necessario fino al completo dono di sé) le moltitudini, cioè tutti.
L'espressione «in riscatto» non va intesa anzitutto come se significasse «per saldare il debito», bensì come «solidale con» o «al posto di»: cioè l'idea prevalente non è quella del debito, che deve assolutamente essere pagato, costi quello che costi, bensì l'idea della solidarietà che intercorre tra il Figlio dell'uomo e le moltitudini (Gesù, in altre parole, si è considerato come il nostro parente che si sente coinvolto e prende sulle proprie spalle la situazione del congiunto). Il Figlio dell'uomo è venuto per vivere questa solidarietà, divenendo in tal modo la trasparenza visibile, toccabile con mano, dell'amore di Dio e della sua alleanza. Ed è questa stessa solidarietà che il discepolo deve – a sua volta – vivere, se vuole essere seguace del proprio Maestro. È questo che i discepoli devono chiedere.
Un'ultima osservazione. Per Gesù solo se si parte dall'esistenza si può cambiare l'esercizio dell'autorità. Non è dissertando sulla natura dell'autorità che si risolve il problema, ma mutando il modo di considerare la vita. Perché le cose sono legate. L'autorità che tu eserciti – grande o piccola che sia – sarà un vero prendere a carico le cose degli altri, se tutta la tua vita è pensata come servizio. Altrimenti, se pensi la vita come un possesso, a tuo vantaggio, fatalmente anche l'autorità che tu eserciti (nella casa, nella professione, nella politica o nella Chiesa) sarà un potere: ne approfitterai a tuo vantaggio.

(Fonte - LaChiesa.It - Da un’omelia di Don Bruno Maggioni)

domenica 4 ottobre 2009

Domenica 11 ottobre 2009 - XXVIII Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA
Dal libro della Sapienza (Sap 7, 7-11)
Pregai e mi fu elargita la prudenza; implorai e venne in me lo spirito della sa-pienza. La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo con-fronto; non la paragonai neppure a una gemma inestimabile, perché tutto l’oro al suo confronto è un pò di sabbia e come fango sarà valutato di fronte ad essa l’argento. L’amai più della salute e della bellezza, preferii il suo possesso alla stessa luce, perché non tramonta lo splendore che ne promana. Insieme con essa mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile.

SECONDA LETTURA
Dalla lettera agli Ebrei (Eb 4, 12-13)
Fratelli, la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. Non v’è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 10, 17-30)
In quel tempo, mentre Gesù usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buo-no, che cosa devo fare per avere la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dállo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!». I discepoli rimasero stupefatti a queste sue parole; ma Gesù riprese: «Figlioli, com’è difficile entrare nel regno di Dio! E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più sbigottiti, dicevano tra loro: «E chi mai si può salvare?». Ma Gesù, guardandoli, disse: «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio». Pietro allora gli disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna.


COMMENTO ALLE LETTURE
Un'osservazione preliminare è necessaria per sgomberare il campo da possibili equivoci nel leggere ciò che il vangelo di questa domenica dice della ricchezza. Mai Gesù condanna la ricchezza e i beni terreni per se stessi. Tra i suoi amici, vi è anche Giuseppe d'Arimatea "uomo ricco"; Zaccheo è dichiarato "salvo", anche se trattiene per sé metà dei suoi beni, che, visto il mestiere di esattore delle tasse che esercitava, dovevano essere considerevoli. Ciò che egli condanna è l'attaccamento esagerato al denaro e ai beni, il far "dipendere da essi la propria vita" e "l'accumulare tesori solo per sé" (cfr. Lc 12, 13-21).
La parola di Dio chiama l'attaccamento eccessivo al denaro "idolatria". Mam-mona, il denaro, non è uno dei tanti idoli; è l'idolo per antonomasia. Letteral-mente, "l'idolo di metallo fuso". Mammona è l'anti-dio perché crea una specie di mondo alternativo, cambia oggetto alle virtù teologali. Fede, speranza e ca-rità non vengono più riposte in Dio, ma nel denaro. Si attua una sinistra inver-sione di tutti i valori. "Niente è impossibile a Dio", dice la Scrittura, e anche: "Tutto è possibile a chi crede". Ma il mondo dice: "Tutto è possibile a chi ha il denaro". L'avarizia, oltre che idolatria, è anche fonte di infelicità. L'avaro è un uomo infelice. Sospettoso di tutti, si isola. Non ha affetti, neppure tra quelli della sua stessa carne, che vede sempre come sfruttatori e i quali, a loro volta, utrono spesso nei suoi confronti un solo vero desiderio: che muoia presto e così ereditare le sue ricchezze. Teso allo spasimo a risparmiare, si nega tutto nella vita e così non gode né di questo mondo, né di Dio, non essendo le sue rinunce fatte per lui. Anziché ottenerne sicurezza e tranquillità, è un eterno ostaggio del suo denaro. Ma Gesù non lascia nessuno senza speranza di salvezza, neppure il ricco. Quando i discepoli, in seguito al detto sul cammello e la cruna dell'ago, sgomenti, chiesero a Gesù: "Allora chi potrà salvarsi?", egli rispose: "Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio". Dio può salvare anche il ricco. Il punto non è "se il ricco si salva" (questo non è stato mai in discussione nella tradizione cristiana), ma è "quale ricco si salva". Ai ricchi Gesù addita una via d'uscita dalla loro pericolosa situazione: "Accumulatevi tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano" ; "Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché quando essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne". Molti – dice Agostino – si affannano a seppellire il proprio denaro sotto terra, privandosi anche del piacere di vederlo, a volte per tutta la vita, pur di saperlo al sicuro. Perché non seppel-lirlo addirittura in cielo, dove sarebbe ben più al sicuro e dove lo si ritrovereb-be, un giorno, per sempre? Come fare questo? È semplice, continua S. Agostino: Dio ti offre, nei poveri, dei facchini. Essi si recano là dove tu speri un giorno di andare. Dio ha bisogno qui, nel povero, e ti restituirà quando sarai di là.
(Fonte: Qumran2.net - Da un’omelia di Padre Raniero Cantalamessa)

domenica 27 settembre 2009

Domenica 4 ottobre 2009 - XXVII Domenica del Tempo Ordinario


PRIMA LETTURA
Dal libro della Genesi (Gen 2,18-24)
Il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: «Questa volta è osso dalle mie ossa,carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta». Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne.

SECONDA LETTURA
Dalla lettera agli Ebrei (Eb 2, 9-11)
Fratelli, quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti. Conveniva infatti che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza. Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 10, 2-16)
In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio». Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.

COMMENTO ALLE LETTURE
Come tutte le altre volte in cui è coinvolto in un dibattito, Gesù supera i termini angusti in cui gli uomini pongono il problema e va alla radice. Due opinioni si scontravano, a riguardo del ripudio, nel giudaismo. Secondo una, era lecito ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo, ad arbitrio dunque del marito; secondo l'altra, invece occorreva un motivo grave, contemplato dalla Legge. La legge di Mosè circa il ripudio è vista da Cristo come una disposizione non voluta, ma tollerata da Dio (al pari della poligamia e di altri disordini), a causa della durezza di cuore e dell'immaturità umana. Gesù non critica Mosè per la concessione fatta; riconosce che in questa materia il legislatore umano non può fare a meno di tener conto della realtà di fatto. Ripropone però a tutti l'ideale originario dell'unione indissolubile tra l'uomo e la donna ("una sola carne") che, almeno per i suoi discepoli, dovrà essere ormai l'unica forma possibile di matrimonio. Per Gesù l'intenzione profonda a cui il matrimonio deve rifarsi è l'Alleanza, o se preferiamo la «fedeltà senza tentennamenti». È la medesima fedeltà che Gesù sta vivendo nella sua scelta messianica e che lo porterà sulla Croce: una fedeltà definitiva e senza pentimenti, un'alleanza senza compromessi. Unendosi alla sua donna, l'uomo deve portare tutto se stesso, giocandosi completamente e definitivamente. Ecco perché e a quali condizioni il matrimonio diventa veramente una «sequela», cioè un luogo in cui l'amore del Cristo, la sua fedeltà, il suo servizio, in una parola il «cammino» che egli ha percorso, tornano a trasparire. Questo ideale di fedeltà coniugale non è stato mai facile, oggi però la cultura permissiva ed edonistica in cui viviamo lo ha reso immensamente più difficile. La crisi allarmante che attraversa l'istituto del matrimonio nella nostra società è sotto gli occhi di tutti. Il matrimonio risente in ciò della mentalità corrente dell'"usa e getta". Se un apparecchio o uno strumento subisce qualche danno o una piccola ammaccatura, non si pensa a ripararlo, si pensa solo a sostituirlo. Applicata al matrimonio, questa mentalità risulta micidiale. La cosa importante da capire è che in un processo fatto spesso di strappi e di ricuciture, di crisi e di superamenti, il matrimonio, non si sciupa, ma si affina e migliora. Se con la buona volontà si riesce a superare queste crisi, ci si rende conto di quanto lo slancio, l'entusiasmo dei primi giorni fosse poca cosa, rispetto all'amore stabile e la comunione maturati negli anni. Se prima moglie e marito si amavano per la soddisfazione che ciò procurava loro, oggi forse si amano un po' di più di un amore di tenerezza, libero da egoismo e capace di compassione; si amano per le cose che hanno realizzato e sofferto insieme. Ma nel Vangelo di questa domenica c'è anche un secondo esempio: Gesù, a differenza dei suoi discepoli, accoglie i bambini. L'episodio tradisce infatti uno scontro: «I discepoli li sgridarono... Gesù vedendo ciò, si indignò...». Con grande meraviglia dei discepoli, Gesù accoglie i bambini: perde tempo con loro. La serietà del suo cammino verso Gerusalemme non distrae Gesù dai piccoli. Egli non ha cose più importanti da fare.

(Da un’omelia di Don Bruno Maggioni e Padre Raniero Cantalamessa)

domenica 20 settembre 2009

Domenica 27 settembre 2009 – XXVI Domenica del Tempo Ordinario


PRIMA LETTURA
Dal libro dei Numeri (Nm 11, 25-29)
In quei giorni, il Signore scese nella nube e gli parlò: prese lo spirito che era su di lui e lo infuse sui settanta anziani: quando lo spirito si fu posato su di essi, quelli profetizzarono, ma non lo fecero più in seguito. Intanto, due uomini, uno chiamato Eldad e l’altro Medad, erano rimasti nell’accampamento e lo spirito si posò su di essi; erano fra gli iscritti ma non erano usciti per andare alla tenda; si misero a profetizzare nell’accampamento. Un giovane corse a riferire la cosa a Mosè e disse: «Eldad e Medad profetizzano nell’accampamento». Allora Giosuè, figlio di Nun, che dalla sua giovinezza era al servizio di Mosè, disse: «Mosè, signor mio, impediscili!». Ma Mosè gli rispose: «Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo spirito!» .

SECONDA LETTURA
Dalla lettera di San Giacomo Apostolo (Gc 5, 1-6)
Ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano! Le vostre ricchezze sono imputridite, le vostre vesti sono state divorate dalle tarme; il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si leverà a testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti. Avete gozzovigliato sulla terra e vi siete saziati di piaceri, vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non può opporre resistenza.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 9,38-43.45.47-48)
In quel tempo, Giovanni rispose a Gesù dicendo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri». Ma Gesù disse: «Non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi è per noi. Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare. Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna. Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue» .
COMMENTO ALLE LETTURE
La lettura evangelica di questa domenica - la collocazione in casa, in un colloquio privato - è un espediente letterario dell'evangelista per indicare che queste parole di Gesù sono particolarmente indirizzate alla sua comunità: potremmo parlare di un «abbozzo di regola comunitaria».
«Maestro, abbiamo un tale, che non era dei nostri, che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito». Dietro questa rimostranza di Giovanni traspare quell'egoismo di gruppo (non infrequente, purtroppo), che spesso si maschera di fede ma che in realtà è una delle sue più profonde smentite. Ci sono i discepoli che mal sopportano che lo Spirito soffi dove vuole: ne sono gelosi e si sentono traditi nella loro funzione di testimoni e rappresentanti del Cristo. Vorrebbero che la potenza di Dio passasse solo attraverso le loro mani. Ragionano suppergiù in questi termini: non dovrebbe la potenza di Cristo essere solo nelle nostre mani, così che appaia con chiarezza che noi, noi soli ne siamo i portatori? Gli autentici amici di Dio godono della liberalità dello Spirito e riconoscono le sue manifestazioni, dovunque avvengano: riconoscono il bene dovunque venga fatto, e ne godono.
La sentenza con la quale Gesù conclude questo insegnamento è sorprendente e profondamente ottimista (e, mi sembra, poco citata): «Chi non è contro di noi, è con noi». È il contrario esatto di un'altra sentenza molto più nota (Mt 12,30): «Chi non è con me, è contro di me». Ma non c'è contraddizione fra le due affermazioni, perché si applicano a differenti situazioni. La sentenza di Matteo si rivolge ai discepoli indecisi e amanti dei compromessi, e li richiama al dovere di scelte chiare e nette. Di fronte a Cristo, o alla verità, o al bene dell'uomo, non si può restare neutrali: o di qua o di là. La sentenza di Marco si rivolge invece a discepoli tentati di integralismo.
Un'altra parola di Gesù riguarda lo scandalo verso i piccoli e lo scandalo verso se stessi. Probabilmente Gesù pensava ai maestri della legge del suo tempo che con il peso della loro autorità e con il fascino del loro prestigio dissuadevano i semplici, la gente del popolo, dal seguirlo: erano di inciampo alla fede. Ma si può essere di ostacolo alla fede dei semplici in molti altri modi: con discussioni che turbano, con riforme intempestive, con una pastorale che li trascura.E poi c'è il fatto che l'uomo è spesso scandalo a se stesso, pieno com'è di esitazioni, di compromessi, di facili scuse e di interessi che imprigionano.
Di fronte a questo scandalo il discepolo è invitato a un taglio.
(Fonte: LaChiesa.It - Omelia di Don Bruno Maggioni)

domenica 13 settembre 2009

Domenica 20 settembre 2009 – XXV Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA
Dal libro della Sapienza (Sap 2, 12.17-20)
Dissero gli empi: «Tendiamo insidie al giusto, perché ci è di imbarazzo ed è contrario alle nostre azioni; ci rimprovera le trasgressioni della legge e ci rinfaccia le mancanze contro l’educazione da noi ricevuta. Vediamo se le sue parole sono vere; proviamo ciò che gli accadrà alla fine. Se il giusto è figlio di Dio, egli l’assisterà, e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. Mettiamolo alla prova con insulti e tormenti, per conoscere la mitezza del suo carattere e saggiare la sua rassegnazione. Condanniamolo a una morte infame, perché secondo le sue parole il soccorso gli verrà» .

SECONDA LETTURA
Dalla lettera di San Giacomo Apostolo (Gc 3,16 - 4,3)
Carissimi, dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni. La sapienza che viene dall’alto invece è anzitutto pura; poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia. Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace. Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra? Bramate e non riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 9, 30-37)
In quel tempo, Gesù e i discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà». Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni. Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?». Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato» .

COMMENTO ALLE LETTURE
Il brano di Marco è un annuncio della Passione e poi un insegnamento ai discepoli. Gesù rivela ai discepoli il suo destino, ma i discepoli non comprendono. Gesù replica invitandoli a percorrere anch'essi il suo stesso cammino. Preannuncio della Croce e insegnamento sul comportamento dei discepoli costituiscono dunque un unico discorso che potremmo intitolare: la Croce di Gesù e le sue conseguenze per il discepolo.
Farsi servo e accogliere i piccoli nel suo nome – i due comportamenti che Gesù suggerisce alla sua comunità – sono due modi concreti, due esempi di imitazione del Signore Crocifisso. «Se uno vuole essere il primo, si consideri l'ultimo di tutti e si faccia il servo di tutti»: ecco una di quelle frasi evangeliche che non cessano mai di stupirci: chiare, incisive e dure. Da quando il Figlio di Dio è entrato nella nostra storia e ha percorso la via della Croce tutti i criteri della priorità si sono capovolti: la dignità di una persona non sta nel posto che occupa, nel lavoro che svolge, nelle cose che possiede, nel successo che ottiene: la grandezza si misura unicamente sullo spirito di servizio. Per il cristiano resta fermo che il modello di ogni forma di servizio è sempre e solo Gesù Cristo.
Dopo il servizio – e come esempio di servizio – l'accoglienza: Marco utilizza il verbo «accogliere» in diverse occasioni e con diverse sfumature, tutte però in qualche modo convergenti: c'è l'accoglienza (o il rifiuto) del missionario (6,11), c'è l'accoglienza della Parola (4,20), c'è l'accoglienza del Regno (10,15), c'è l'accoglienza dei piccoli.
Accogliere significa ascoltare, rendersi disponibili, ospitare: soprattutto richiede la capacità di lasciarsi «sconvolgere» (nelle proprie abitudini e nei propri schemi) dalla Parola, o dal missionario, o dal piccolo che si accoglie, e la capacità di porsi al suo servizio. L'accoglienza è, ovviamente, generale, verso tutti: se non fosse così, saremmo in contraddizione con quanto Gesù ci ha detto sul servizio («servo di tutti»).
Tuttavia qui si parla dei «bambini», che nel Vangelo – come si sa – sono il simbolo dei trascurati, di quelli che non contano e che nessuno accoglie. La preferenza è per loro. Gesù li ha cercati, ha avuto per loro tempo, parole e amore: non ha mai ritenuto di avere qualcosa di più importante, o urgente, da fare.
È l'accoglienza dei «piccoli» la verifica dell'autenticità del nostro servizio e della nostra ospitalità.
(Fonte: LaChiesa.it - Omelia di Don Bruno Maggioni)

lunedì 7 settembre 2009

Domenica 13 settembre 2009 – XXIV Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA
Dal libro del Profeta Isaia (Is 50, 5-9)
Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi.
Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso. E’ vicino chi mi rende giustizia; chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci. Chi mi ac-cusa? Si avvicini a me. Ecco, il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole?

SECONDA LETTURA
Dalla lettera di San Giacomo Apostolo (Gc 2, 14-18)
Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, che giova?
Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa. Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 8, 27-35)
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: «Chi dice la gente che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti».Ma egli replicò: «E voi chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno. E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol ve-nire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà» .


COMMENTO ALLE LETTURE

Il brano evangelico di questa domenica è al centro dell'intero racconto di Marco ed è importante per più di un motivo. Gesù stesso pone esplicitamente l'interrogativo (Mc 8,27) che secondo l'evangelista ogni lettore è a questo punto obbligato a porsi: «Chi dicono che io sia?». La risposta della gente non afferra la novità di Gesù e lo allinea con gli altri profeti.
La risposta di Pietro è precisa e riconosce con chiarezza la messianicità di Ge-sù. Un punto di arrivo, dunque, E tuttavia c'è un altro passo da compiere. Dire che Gesù è Messia è esatto ma incompleto: c'è sempre il pericolo di pensare la sua messianicità secondo il pensiero degli uomini. È la via della Croce che completa il discorso, chiarificandolo. Quando Pietro gli dice: «Tu sei il Cri-sto», Gesù sente il bisogno di precisare: «Sono il Figlio dell'uomo che de-ve molto soffrire».
Nella prima parte del nostra passo Pietro assolve un compito positivo: è il por-taparola dei discepoli ed esprime a nome del gruppo la sua fede in Gesù. Nella seconda parte assume un ruolo negativo: tenta di allontanare Gesù dalla via della Croce. Il discepolo è pronto a riconoscere la messianicità di Gesù ma non ne condivide la direzione.
Non è in gioco la messianicità, ma piuttosto la sua modalità concreta, la sua prassi, oserei dire la sua pastorale. Ed è questo il punto, lo spartiacque tra fede e non fede, mentalità cristiana e mentalità mondana: «Ragioni secondo gli uomini». Il tentativo di Pietro di distoglierlo dalla Croce è rimproverato da Gesù in due modi: come un'espressione dell'opposizione del mondo al disegno di Dio e, più profondamente, come un'espressione della tentazione di Satana. La sottile tentazione di Satana è il tentativo di distogliere dalla via tracciata da Dio (la via della Croce) per sostituirla con una via elaborata dalla saggezza degli uomini.
Cristo ha smascherato questa sottile tentazione e la sua vita è stata un conti-nuo sì a Dio e un no al tentatore. Gesù ha vinto Satana. Tuttavia Satana ha ancora una possibilità, cercare di ottenere dal discepolo ciò che non è riuscito ad ottenere da Cristo: separare il Messia dal Crocifisso, la fede in Gesù dalla pastorale della Croce.
Dopo aver precisato la sua identità e dopo aver smascherato la presenza della tentazione, Gesù si rivolge ai discepoli e alla folla e con molta chiarezza propone loro il suo stesso cammino. Non ci sono due vie, una per Gesù e una per la Chiesa, ma una sola: «Chi vuole venire dietro me rinneghi se stesso e prenda la sua croce».

(Fonte: LaChiesa.it - Omelia di Don Bruno Maggioni)