domenica 29 novembre 2009

Domenica 6 dicembre 2009 - II Domenica di Avvento

PRIMA LETTURA
Dal Libro del Profeta Baruc (Bar 5, 1-9)
Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione, rivèstiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre. Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio, metti sul capo il diadema di gloria dell’Eterno, perché Dio mostrerà il tuo splendore ad ogni creatura sotto il cielo. Sarai chiamata da Dio per sempre: Pace della giustizia e gloria della pietà. Sorgi, o Gerusalemme, e stà in piedi sull’altura e guarda verso oriente; vedi i tuoi figli riuniti da occidente ad oriente, alla parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio. Si sono allontanati da te a piedi, incalzati dai nemici; ora Dio te li riconduce in trionfo come sopra un trono regale. Poiché Dio ha stabilito di spianare ogni alta montagna e le rupi secolari, di colmare le valli e spianare la terra perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio. Anche le selve e ogni albero odoroso faranno ombra ad Israele per comando di Dio. Perché Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da lui.

SECONDA LETTURA
Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Filippesi (Fil 1, 4-6.8-11)
Fratelli, prego sempre con gioia per voi in ogni mia preghiera, a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del vangelo dal primo giorno fino al presente, e sono persuaso che colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù. Infatti Dio mi è testimonio del profondo affetto che ho per tutti voi nell’amore di Cristo Gesù. E perciò prego che la vostra carità si arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, perché possiate distinguere sempre il meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quei frutti di giustizia che si ottengono per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 3, 1-6)
Nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!

COMMENTO ALLE LETTURE
La comparsa di Giovanni Battista è il prologo immediato dell'evento della salvezza che inizia con la venuta del Signore. I dati cronologici sono espressi nello stile della Bibbia. Il tempo della salvezza inizia il quindicesimo anno dell'impero di Tiberio Cesare, cioè nell'anno 28 della nostra era. Tutti i dati riportati da Luca sono scrupolosamente esatti. Giovanni Battista agisce come i grandi profeti del passato e si riallaccia alla tradizione profetica. La parola di Dio lo chiama, lo mette al proprio servizio e continua ad essere la forza dominante della sua vita. La parola di Dio sta per compiere il suo ingresso decisivo non più nella storia d'Israele, ma nella storia dell'umanità; per questo nella sintesi della situazione storica posta all'inizio di questo capitolo sono ricordate la suprema autorità dell'impero romano e le autorità subalterne, compresi i sommi sacerdoti Anna e Caifa. Giovanni è l'araldo che precede il suo Signore e proclama ciò che sta per accadere. Il messaggio che egli annuncia è il battesimo di pentimento per la remissione dei peccati. La conversione è la condizione preliminare: per mezzo di essa l'uomo si rivolge a Dio, riconosce la sua verità e la sua volontà, si allontana dai propri peccati e li condanna; e in questo consiste essenzialmente la penitenza. Il battesimo, l'immersione nel Giordano, collegato con una confessione dei peccati (Mc 1,5), deve sigillare questa volontà di ravvedimento e contemporaneamente garantire la remissione dei peccati da parte di Dio. Il battesimo dà ai penitenti la consapevolezza che il loro pentimento è valido, che viene riconosciuto da Dio e che quindi è in grado di salvarli dall'imminente giudizio. Chi ha ricevuto il battesimo di Giovanni è ben preparato a far parte del nuovo popolo di Dio. Si esige però che il pentimento sia autentico e accompagnato dal mutamento di vita. Ciò che Giovanni annuncia è nuovo e grande: sta per cominciare il tempo del compimento delle promesse di Dio. La voce di Giovanni si leva nel deserto e invita a preparare la via del Signore che viene. La preparazione della strada va compresa in senso religioso e morale: significa penitenza, conversione a Dio, battesimo di pentimento per la remissione dei peccati. Preparare la via del Signore significa rimuovere gli ostacoli che impediscono il suo accesso nel cuore dell'uomo. Dio non può entrare dove c'è orgoglio e arroganza (monti e colli), freddezza o indifferenza (burrone). Occorre eliminare le aspirazioni smodate e sregolate, la presunzione, la pigrizia spirituale e mentale, le tortuosità e gli inganni. L'umanità è ingombrata da centri di potere e da squilibri sociali. Queste e altre cose devono scomparire per fare spazio alla salvezza di Dio. Sono le stesse previsioni cantate da Maria: "Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili" (Lc 1,52). La salvezza del Signore è universale, è destinata a tutti. L'unica condizione per riceverla è che ognuno si senta peccatore e bisognoso di essere perdonato e salvato da Dio.

Fonte: LaChiesa.It - da un’omelia di don Lino Pedron

domenica 22 novembre 2009

Domenica 29 novembre 2009 - I Domenica di Avvento

PRIMA LETTURA
Dal Libro del Profeta Geremia (Ger 33, 14-16)
Ecco verranno giorni oracolo del Signore nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa di Israele e alla casa di Giuda. In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio di giustizia; egli eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra. In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla. Così sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia.

SECONDA LETTURA
Dalla prima lettera di San Paolo Apostolo ai Tessalonicesi (1 Tes 3, 12-4,2)
Fratelli, il Signore vi faccia crescere e abbondare nell’amore vicendevole e verso tutti, come anche noi lo siamo verso di voi, per rendere saldi e irreprensibili i vostri cuori nella santità, davanti a Dio Padre nostro, al momento della venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi. Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù: avete appreso da noi come comportarvi in modo da piacere a Dio, e così gia vi comportate; cercate di agire sempre così per distinguervi ancora di più. Voi conoscete infatti quali norme vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 21, 25-38.34-36)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande. Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo”.

COMMENTO ALLE LETTURE
Il brano di Luca che la liturgia ci propone nella prima domenica di Avvento è un breve stralcio di un discorso apocalittico molto più ampio. Il suo scopo è di assicurare che il Signore è vicino. Si tratta di un dato di fede testimoniato da tutto il Nuovo Testamento: il ritorno del Figlio dell'uomo.
È una grande certezza, che è insieme giudizio e salvezza. Un giudizio severo e senza riguardi per nessuno, tanto che l'evangelista sente il bisogno di concludere consigliando di pregare «per trovare il coraggio» di comparire davanti al Figlio dell'uomo» (21,36). Un giudizio che avverrà sulla base della posizione che si assume ora nei confronti del Cristo, come dice Luca in 9,26: «Chi si vergognerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il Figlio dell'uomo, quando ritornerà nella sua gloria».
La condanna, dunque, è per tutti coloro che hanno rifiutato la dedizione alla verità e all'amore (quasi provandone vergogna) e hanno preferito la via dell'egoismo, della violenza e del successo cercato a qualunque costo e con qualsiasi mezzo. La venuta del Figlio dell'uomo – un evento certissimo – costituirà per tutti costoro la dimostrazione pubblica del fallimento di tutte le loro pretese. Per i discepoli invece, che non si sono vergognati del loro Maestro, della strada che Lui ha percorso, sarà il trionfo, il momento in cui apparirà a tutti, con estrema evidenza, l'amore che essi hanno vissuto – e non altro – è il vero progetto che l'uomo deve inseguire.
C'è anche una seconda certezza che Luca afferma con forza: «La vostra liberazione è vicina». Non significa che il ritorno del Figlio dell'uomo sia oggi o domani, ma che tutta la storia è immersa nell'imminenza delle ultime cose. Sempre il tempo è importante e decisivo, non necessariamente perché breve, ma perché ricco di occasioni dalle conseguenze incalcolabili. Da qui il dovere di essere svegli e pronti. È sempre però in agguato – non lo si dimentichi mai – il rischio che, distratti dalle cose secondarie e non attenti al fatto essenziale, non sappiamo scorgere i momenti propizi di cui la vita è ricca. Non è soltanto questione di disordine morale o di sregolatezze («dissipazione e ubriachezze»), ma più semplicemente della vita e dei suoi molti e spesso inutili «affanni» che distraggono dall'essenziale. Anche una vita onesta – disattenta e dispersa in troppe cose – può alla fine riuscire vuota. Occorre il coraggio di rimanere vigilanti e in preghiera: «Vegliate e pregare in ogni momento».


Fonte: LaChiesa.It - Da un’omelia di don Bruno Maggioni

domenica 15 novembre 2009

Domenica 22 novembre 2009 - XXXIV Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA
Dal Libro del Profeta Daniele (Dn 7, 13-14)
Dal libro del profeta Daniele. Guardando nelle visioni notturne,
ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto.

SECONDA LETTURA
Dal libro dell’Apocalisse di San Giovanni Apostolo (Ap 1, 5-8)
Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra. A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen. Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto. Sì, Amen! Dice il Signore Dio: Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!

VANGELO
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 18, 33-37)
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

COMMENTO ALLE LETTURE
Per tre volte Gesù dice: «Il mio Regno», e per due volte si preoccupa di chiarire che questo suo Regno è completamente al di fuori dagli schemi mon-dani: «Il mio Regno non è di questo mondo», «Il mio Regno non è di quaggiù». Con queste affermazioni Gesù non vuole assolutamente dire che il suo Regno non riguarda il mondo e le realtà presenti, bensì che il suo regno – già presente ora fra gli uomini – non trae la sua origine dal mondo e, perciò, non si modella sul suo schema di valori.

Ma l'affermazione di Gesù che più ci interessa è probabilmente un'altra: «Io sono re: per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità».

Dunque, la regalità di Cristo è completamente sottomessa alle esigenze della verità, parola che nel linguaggio giovanneo indica la verità di Dio, il suo amore per l'uomo, ogni uomo. La regalità di Gesù è sempre a servizio della verità, dovunque e comunque: non accetta mai di sottomettere la «verità» alle esigenze di una «ragion di stato», che non sia, appunto, la verità, si trattasse pure della propria sopravvivenza.

Nel suo breve e serrato dibattito con Pilato, Gesù afferma un'altra cosa importante: «Chiunque è dalla parte della verità, ascolta la mia voce». Per comprendere la regalità di Gesù e per divenire suoi sudditi (e potremmo aggiungere per correttamente annunciarla e festeggiarla) occorre aver scelto la verità. Vi sono uomini che sono «dalla parte della verità» e uomini che invece sono «dalla parte della menzogna». Non è semplicemente questione di bugie ma di un atteggiamento di fondo, di una scelta di valori. Queste due possibilità contrapposte che si aprono davanti all'uomo – e che Giovanni esprime molto efficacemente in termini di origine («dalla verità o dalla menzogna») – sono nel racconto del processo incarnate dai due personaggi che si fronteggiano: Gesù e Pilato. Da una parte Gesù che si consegna pienamente nelle mani della verità e non si sottrae ad essa neppure per salvarsi la vita. Dall'altra Pilato che invece rappresenta un potere politico che serve la verità ma «non oltre un certo prezzo»: un potere che ritiene di avere valori più importanti da salvare.

Per tre volte Pilato riconosce l'innocenza di Gesù e la dichiara pubblicamente, e per tre volte cerca di salvarlo. Tuttavia lo condanna alla croce. Di fronte all'esigenza di salvare se stesso – o l'ordine pubblico – il suo amore alla giustizia e alla verità viene meno. Uomini (e organizzazioni) come Pilato possono sembrare amanti della verità, ma se si guarda con attenzione appare che si tratta di un amore subordinato. C'è di che interrogarci. Non a caso l'evangelista conclude la discussione sulla regalità e sulla verità con queste battute: «Pilato domandò: che cosa è la verità? Detto questo, uscì di nuovo...» (18,38). Il procuratore pone la domanda giusta, ma il suo animo è privo di impegno, distratto, fondamentalmente assente. Nel suo rapido passare oltre («detto questo, uscì...») mostra di non essere un vero ricercatore della verità.

Fonte: LaChiesa.It - Da un’omelia di don Bruno Maggioni

domenica 8 novembre 2009

Domenica 15 novembre 2009 - XXXIII Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA
Dal Libro del Profeta Daniele (Dn 12, 1-3)
In quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo.
Sarà un tempo di angoscia, come non c’era stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro. Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna.
I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre.

SECONDA LETTURA
Dalla lettera agli Ebrei (Eb 10, 11-14. 18)
Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati. Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi. Infatti, con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati. Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più offerta per il peccato.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 13, 24-32)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo. Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».

COMMENTO ALLE LETTURE
Le parole di Gesù che leggiamo in questa domenica fanno parte di un discorso che appartiene al genere apocalittico, un genere che si esprime attraverso un linguaggio immaginoso: «Il sole e la luna si oscureranno e le stelle cadranno».

Questo discorso di Gesù non racconta la fine del mondo, ma il senso della storia. Molto spesso l'esperienza quotidiana sembra dirci che il male vince e il bene perde, ma è così? Per valutare le cose in profondità e non lasciarsi ingannare dalle apparenze, è necessario che il discepolo esca dai tempi brevi e spinga lo sguardo lontano: è per questo, e solo per questo, che l'ultimo discorso di Gesù non parla direttamente della Croce (che pur continua ad essere in qualche modo presente), ma del ritorno del Figlio dell'uomo in potenza e gloria.

Quest'ultima affermazione vuole rassicurarci che l'efficacia nascosta della Croce, cioè quella sua possibilità di gloria e di vittoria che ora rimane nascosta, alla fine dei tempi apparirà di fronte a tutti nel suo più abbagliante fulgore.
Come è detto chiaramente nella prima parte del discorso che però la liturgia tralascia, la comunità cristiana verrà a trovarsi in situazioni difficili. «Sorgeranno falsi profeti e falsi messia», e faranno segni che sembreranno convincenti, allo scopo di trarre in inganno gli stessi credenti; «Comparirete davanti a governatori e re per causa mia» e «sarete odiati da tutti»; «Si leverà popolo contro popolo e regno contro regno».

In simili situazioni il discepolo può trovarsi frastornato, deluso, toccato dal dubbio che la Croce di Cristo sia un fatto sprecato ed impotente: il mondo sembra infatti continuare come prima, con tutto il suo carico di odio e di errori. Le raccomandazioni di Gesù? Eccole: «Non allarmatevi», «Non preoccupatevi», «Pregate», «Non ci credete», «State attenti», «Sappiate che Egli è vicino, alle porte».

Atteggiamenti facili a dirsi, ma difficili a praticarsi, possibili unicamente se sostenuti da una grande fede. È solo da una grande fede che scaturiscono la serenità, la vigilanza e la capacità di distinguere tra veri e falsi profeti, veri e falsi rinnovamenti. «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno»: ritengo essere quest'assicurazione l'ultima consegna di Gesù, il punto fermo, che giustifica (ed esige) nel discepolo la serenità, la fedeltà, la certezza che il Figlio dell'uomo ritornerà e che l'avvenire - a dispetto di tutte le esperienze contrarie - è saldamente nelle mani di Colui che fu crocifisso.

Fonte: LaChiesa.It - Da un’omelia di don Bruno Maggioni

domenica 1 novembre 2009

Domenica 8 novembre 2009 - XXXII Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA
Dal Libro dei Re (1 Re 17, 10-16)
In quei giorni, Elia si alzò e andò a Zarepta. Entrato nella porta della città, ecco una vedova raccoglieva la legna. La chiamò e le disse: «Prendimi un pò d’acqua in un vaso perché io possa bere». Mentre quella andava a prenderla, le gridò: «Prendimi anche un pezzo di pane». Quella rispose: «Per la vita del Signore tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un pò di olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a cuocerla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo». Elia le disse: «Non temere; su, fà come hai detto, ma prepara prima una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché dice il Signore: La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non si svuoterà finché il Signore non farà piovere sulla terra». Quella andò e fece come aveva detto Elia. Mangiarono essa, lui e il figlio di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunziata per mezzo di Elia.

SECONDA LETTURA
Dalla lettera agli Ebrei (Eb 9, 24-28)
Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore, e non per offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui. In questo caso, infatti, avrebbe dovuto soffrire più volte dalla fondazione del mondo. Ora invece una volta sola, alla pienezza dei tempi, è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una volta per tutte allo scopo di togliere i peccati di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione col peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 12, 38-44)
In quel tempo, Gesù diceva alla folla mentre insegnava: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere. Essi riceveranno una condanna più grave». E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: «In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

COMMENTO ALLE LETTURE
Sbaglieremmo se pensassimo che le sferzanti denunce che si leggono nel nostro passo riguardassero tutte e soltanto gli scribi del tempo di Gesù. In realtà la descrizione dello scriba fatta dall'evangelista è una sorta di cliché, uno stampo, il cui scopo è di denunciare alcune strutture che possono colpire qualsiasi uomo religioso, in ogni epoca. Uomini simili si rivelano, anzitutto, nei loro atteggiamenti vanitosi, un difetto che potrebbe anche farci sorridere.Si pavoneggiano nelle loro divise, che li fanno riconoscere come i maestri. In forza della posizione che occupano (sono, appunto, i maestri riconosciuti) pretendono deferenza e venerazione. Ma la cosa più grave è che costoro hanno introdotto nella loro vita la menzogna («divorano le case delle vedove e ostentano lunghe preghiere»). Una duplice menzogna, quella di separare il culto di Dio dalla giustizia: pregano Dio e danneggiano i poveri. E quella, ancor più radicale, che consiste nell'illudersi di amare Dio e il prossimo, e invece non amano che se stessi. L'autorità morale di cui godono, la dottrina che possiedono, le pratiche religiose che compiono, tutto deve servire a metterli in luce, tutto deve tornare – consapevolmente o meno – a loro vantaggio. Persino i criteri della giustizia finiscono con l'identificarsi con il loro tornaconto.
Nel cortile del tempio, al quale avevano accesso anche le donne, erano allineate tredici ceste, in cui venivano gettate le offerte. Ci sono molti ricchi che fanno laute offerte, di cui il sacerdote ripete ad alta voce l'entità, suscitando l'ammirazione dei presenti. E c'è una povera vedova che offre poche monete, tutto quanto possiede. Nessun mormorio di ammirazione.. Ma Gesù la scorge e richiama l'attenzione dei discepoli con parole che il Vangelo riserva per gli insegnamenti più importanti: «In verità vi dico».
Gesù ha finalmente trovato ciò che cercava: un gesto autentico. Un'autenticità garantita da tre qualità la totalità, la fede e l'assenza di ogni ostentazione. Quella povera vedova non ha dato qualcosa del suo superfluo, ma tutto ciò che aveva. Donare del proprio superfluo non è ancora amare. E neppure fede. Donare, invece, fino al punto da mettere allo sbaraglio la propria vita, questa è fede. E infine l'assenza di ogni ostentazione: quella donna non ha dato molto, ha dato tutto, ma il tutto si riduceva a poche monete. Convinta di questo compie il suo gesto in tutta umiltà. Il povero - di solito - ti dona del suo scusandosi del poco che ha. Succede invece, alle volte, che il ricco dia del suo superfluo facendotelo pesare.

Fonte: LaChiesa.It - Da un'omelia di Don Bruno Maggioni