domenica 4 settembre 2011

Domenica 11 Settembre 2011 - XXIV Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal Libro del Profeta Siracide (Sir 27,33-28,9)

Rancore e ira sono cose orribili, e il peccatore le porta dentro. Chi si vendica subirà la vendetta del Signore, il quale tiene sempre presenti i suoi peccati. Perdona l’offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati. Un uomo che resta in collera verso un altro uomo, come può chiedere la guarigione al Signore? Lui che non ha misericordia per l’uomo suo simile,
come può supplicare per i propri peccati? Se lui, che è soltanto carne, conserva rancore, come può ottenere il perdono di Dio? Chi espierà per i suoi peccati?
Ricordati della fine e smetti di odiare, della dissoluzione e della morte e resta fedele ai comandamenti. Ricorda i precetti e non odiare il prossimo,
l’alleanza dell’Altissimo e dimentica gli errori altrui.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Romani (Rm 14,7-9)

Fratelli, nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore.
Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 18, 21-35)

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

COMMENTO ALLE LETTURE

Alla domanda di Pietro «Signore, quante volte dovrò perdonare a mio fratello se pecca contro di me?», Gesù risponde che il perdono cristiano è senza limiti («Settanta volte sette»), perché è unicamente il perdono senza limiti che assomiglia al perdono di Dio. È dal perdono di Dio che discende il nostro perdono verso il prossimo. Il perdono di Dio è il motivo e la misura del perdono fraterno. Dobbiamo perdonare senza misura, perché Dio ci ha già fatti oggetto di un perdono senza misura. È dalla gratuità del dono di Dio che nasce il perdono. Il perdono fraterno è conseguenza del perdono di Dio, ne è la risposta. Per capire il perdono devi dunque guardare in alto. Ma devi anche guardare nella profondità dell'uomo: non c'è amicizia senza perdono, né famiglia, né fraternità, né pace. Il perdono è necessario per vivere e relazionarsi, a tutti i livelli.
Il contrasto tra i due quadri della parabola non ha come scopo principale quello di far vedere la diversità del comportamento di Dio nei confronti di un uomo che sa perdonare e nei confronti di un uomo incapace di perdonare. Intende piuttosto far vedere quanto sia degno di condanna il servo che non perdona dal momento che egli fu per primo perdonato. Il servo è condannato perché tiene il perdono per sé, e non permette che il perdono ricevuto diventi gioia e perdono anche per gli altri. L'errore del servo è quello di separare il rapporto con Dio dal rapporto col prossimo. E invece è un rapporto unico: come fra Dio e l'uomo c'è un rapporto di gratuità, di amore discendente e accogliente, così deve essere fra l'uomo e i suoi fratelli.

La parabola del servo e del padrone ? che stiamo leggendo ? offre un messaggio praticabile? Certo la parabola non intende indicare una norma generale. Rivela anzitutto come Dio si pone davanti all'uomo. E sorprende che non si dica come ci si debba, a propria volta, porre davanti a Dio, ma si dica soltanto come porsi davanti al fratello. Probabilmente la parabola vuole sottolineare che l'amore di Dio non è anzitutto circolare, ma espansivo. È nella linea della gratuità, non della stretta reciprocità. Dio non si lascia rinchiudere nella stretta reciprocità. E, dunque, chi crede in Dio e parla di Dio, deve allargare lo spazio del perdono, non della ferrea giustizia. Della ferrea giustizia parlano già altri. Non è il caso di unirsi al coro!

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni

domenica 28 agosto 2011

Domenica 4 Settembre 2011 - XXIII Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal Libro del Profeta Ezechiele (Ez 33,1.7-9)

Mi fu rivolta questa parola del Signore: «O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia. Se io dico al malvagio: “Malvagio, tu morirai”, e tu non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te.
Ma se tu avverti il malvagio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte dalla sua condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu ti sarai salvato».

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Romani (Rm 13,8-10)

Fratelli, non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge. Infatti: «Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai», e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: «Amerai il tuo prossimo come te stesso».
La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 18, 15-20)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

COMMENTO ALLE LETTURE

Il passo evangelico è una parte del grande discorso in cui Matteo ha radunato diverse parole di Gesù intorno alla vita comunitaria.

Come deve comportarsi una comunità, se vuole essere veramente alla sequela del suo Signore?

Nel passo vengono ricordate tre parole di Gesù.

La prima riguarda la correzione fraterna. La comunità non può accettare tutto. E la stessa carità non deve essere senza la verità. Quantunque nel nostro passo si parli molto di perdono, bisogna denunciare il male e correggere chi lo compie. Matteo però si premura di precisare che la correzione fraterna deve essere graduale, discreta e paziente: a quattr'occhi, dinanzi a uno o due testimoni, dinanzi all'intera comunità.

Anche il passo di Ezechiele, prima lettura, sottolinea con forza questa medesima idea: il profeta è come una sentinella, e ha l'imprescindibile dovere di annunciare le esigenze di Dio, di denunciare la menzogna dovunque si trovi. Ma lo scopo è sempre quello di aiutare il fratello a prendere coscienza del suo stato di separazione, perché possa, di conseguenza, ravvedersi. Lo scopo è di creare nei peccatori un disagio, perché è proprio in una situazione di disagio che spesso Dio si inserisce e spinge al ritorno.

Ancora più importante è la seconda parola di Gesù riportata da Matteo: non «sette volte», ma «settanta volte sette».

Occorre dunque perdonare sempre, un perdono senza misura, perché Dio ci ha fatto oggetto di un perdono senza misura (parabola dei due debitori). Il perdono al prossimo è la diretta conseguenza del perdono di Dio verso di noi.
Questa parola sul perdono completa quanto è stato detto sulla correzione fraterna. Se si deve denunciare il male e correggere chi lo compie, è perché tu hai già perdonato e ami il peccatore: per questo hai il diritto di correggerlo. «Tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo». Legare e sciogliere è frase rabbinica che significa in sostanza la possibilità di perdonare. Nella comunità cristiana continua il peccato, ma parallelamente continua, ancora più ostinato, il perdono dei peccati.

La terza parola di Gesù riportata da Matteo risponde a una domanda della comunità (e di ogni uomo che cerca il Signore): dove e come posso fare un'autentica esperienza di Dio? Ecco la lapidaria risposta: dove si fa comunità nel suo nome, là Dio è presente.

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni

domenica 21 agosto 2011

Domenica 28 Agosto 2011 - XXII Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal Libro del Profeta Geremia (Ger 20,7-9)

Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno; ognuno si beffa di me. Quando parlo, devo gridare, devo urlare: «Violenza! Oppressione!». Così la parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno. Mi dicevo: «Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!». Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Romani (Rm 12,1-2)

Fratelli, vi esorto, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 16, 21-27)

In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».
Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.
Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?
Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».

COMMENTO ALLE LETTURE

Il passo evangelico della liturgia è la diretta continuazione del brano di domenica scorsa. Sono due parti di un medesimo episodio, che apparentemente presenta due aspetti contrastanti: la fede di Pietro e la sua incomprensione del mistero della Croce; l'autorità affidata a Pietro e il rimprovero rivoltogli da Gesù. Da una parte, la debolezza di Pietro, e dall'altra, il suo essere roccia per la Chiesa. Con questo si vuol dire che Pietro è tale per grazia, in virtù di un'elezione divina, e non per le sue qualità naturali.

Ma nel passo di questa domenica c'è anche dell'altro: l'evangelista vuol farci percorrere un cammino dalla fede in Gesù Messia alla fede nel Figlio dell'uomo sofferente. C'è l'incredulità da parte della folle, ma c'è anche l'incredulità da parte degli stessi discepoli: si può infatti accettare che Gesù sia Messia, ma rifiutare che Egli debba soffrire. Si può confessare che Gesù è Figlio di Dio, e tuttavia non accorgersi che Egli è un Dio crocifisso. Prigioniero ancora della logica degli uomini, il discepolo tenta di impedire che Gesù si conformi alla logica di Dio. E allora Gesù risponde al discepolo con la stessa esclamazione che troviamo nei racconti delle tentazioni: «Dietro di me, satana. Non ragioni secondo Dio, ma secondo gli uomini». In ambedue i casi ? nella tentazione come qui nelle parole di Pietro ? viene proposta a Gesù una scelta messianica che rifiuta le vie di Dio per percorrere le vie degli uomini.

È chiaro a questo punto che cosa significhi veramente seguire Gesù, l'imperativo che ancora una volta egli ricorda ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Rinnegare se stessi significa rinunciare alla propria idea di Dio, per accettare quella di Gesù: non più un Dio glorioso e potente, ma un Dio che si svela nell'amore e nel dono di sé. Ma potremmo anche dire che rinnegare se stessi significa cambiare la logica della propria esistenza: non più una vita vissuta a vantaggio proprio, ma una vita vissuta in dono.

È questa fondamentalmente la logica della Croce, sia per Gesù sia per i suoi discepoli.

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni

domenica 14 agosto 2011

Domenica 21 Agosto 2011 - XXI Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal Libro del Profeta Isaia (Is 22,19-23)

Così dice il Signore a Sebna, maggiordomo del palazzo: «Ti toglierò la carica,
ti rovescerò dal tuo posto. In quel giorno avverrà che io chiamerò il mio servo Eliakìm, figlio di Chelkìa; lo rivestirò con la tua tunica, lo cingerò della tua cintura e metterò il tuo potere nelle sue mani. Sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme e per il casato di Giuda. Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire.
Lo conficcherò come un piolo in luogo solido e sarà un trono di gloria per la casa di suo padre».

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Romani (Rm 11,33-36)

O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo tanto da riceverne il contraccambio?
Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 16, 13-20)

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

COMMENTO ALLE LETTURE

Nell'episodio raccontato da Matteo è Gesù stesso che prende l'iniziativa di interrogare i discepoli intorno alla propria persona: «Che cosa pensa la gente del Figlio dell'uomo? E voi, chi dite che io sia?».

Per rispondere alla domanda, la gente ricorre a note figure del passato: Giovanni Battista, Elia, Geremia, un profeta. Con questo la gente coglie in qualche modo la grandezza di Gesù, ma non ne coglie la profonda originalità.
Non si può esprimere il significato di Gesù ricorrendo a schemi interpretativi già conosciuti. Pietro va oltre la folla, ed esprime con assoluta chiarezza la messianità e la filiazione divina di Gesù. Matteo si premura di annotare che questa fede non viene da «sangue e carne», ma dal Padre. È dono. È solo la luce che viene da Dio che è in grado di far comprendere il mistero profondo di Gesù.
Sorprendentemente, però, anche la fede di Pietro non è ancora completa, come appare chiaramente se si leggono alcune righe che seguono, ma che la liturgia trascura. Verranno riprese nella prossima domenica.

Dire che Gesù è Figlio di Dio è ancora qualcosa di incompleto, addirittura qualcosa che può dare adito ad equivoci. È la Croce che toglie ogni possibilità di errore. È per questo che Gesù «ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo».

Il passo che stiamo leggendo non è solo interessato alla figura di Gesù, ma anche alla Chiesa. E ci dice anzitutto che la Chiesa appartiene a Cristo: «La mia Chiesa». E ne sottolinea la perenne stabilità: la Chiesa è come una casa costruita sulla roccia, anche se poggia apparentemente sulla fragilità degli uomini: «Le porte degli inferi non prevarranno contro di essa». Una stabilità sicura, ma tormentata. Viene anche suggerito che all'interno della Chiesa si troveranno sempre dei peccatori: per questo la comunità ha bisogno di «legare e sciogliere»: continua il peccato e deve perciò continuare il perdono.

Il ruolo di Pietro nella Chiesa viene descritto ricorrendo a tre metafore: la roccia, le chiavi, legare e sciogliere. Insieme queste tre metafore illustrano molto bene la funzione di Pietro. È la roccia che tiene salda la casa. E ha una piena autorità: «A lui sono affidate le chiavi». E può proibire e permettere, separare e perdonare. Non si dimentichi tuttavia che l'autorità di Pietro è vicaria. Pietro è l'immagine di un Altro, di Cristo, che è il vero Signore della Chiesa. Ma, proprio perché immagine di Cristo, l'autorità di Pietro è piena e indiscussa, persino sottratta alla sua personale santità.

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni

domenica 7 agosto 2011

Domenica 14 Agosto 2011 - XX Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal Libro del Profeta Isaia (Is 56,1.6-7)

Così dice il Signore: «Osservate il diritto e praticate la giustizia, perché la mia salvezza sta per venire, la mia giustizia sta per rivelarsi. Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli».

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Romani (Rm 11,13-15.29-32)

Fratelli, a voi, genti, ecco che cosa dico: come apostolo delle genti, io faccio onore al mio ministero, nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne alcuni. Se infatti il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione del mondo, che cosa sarà la loro riammissione se non una vita dai morti?
Infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili! Come voi un tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia a motivo della loro disobbedienza, così anch’essi ora sono diventati disobbedienti a motivo della misericordia da voi ricevuta, perché anch’essi ottengano misericordia.
Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti!

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 15, 21-28)

In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

COMMENTO ALLE LETTURE

Il passo evangelico riprende ancora una volta il tema della fede, indicandone alcune sue caratteristiche fondamentali. Si tratta, anzitutto, di una fede che possiamo indicare meglio con il termine fiducia. Non una fede intellettuale, teorica, che ha come oggetto la dottrina, ma una fede esistenziale, che ha come oggetto l'amore di Dio e il suo aiuto. In una situazione concreta, precisa, di disagio, la donna Cananea si rivolge a Gesù, sicura di essere aiutata. La sua fede è insistente, coraggiosa, umile, più forte dell'apparente rifiuto. La fede deve essere nel contempo sicura e paziente. Non deve lasciarsi scoraggiare nemmeno dal silenzio di Dio: «Non le rivolse neppure la parola». Ma l'episodio della Cananea non svolge soltanto il tema della fede, sottolineandone l'umiltà e la pazienza, bensì anche il tema dell'universalismo. È questo forse il tema più interessante, che Matteo sottolinea di fronte a una comunità tentata di rinchiudersi e di imprigionare la presenza di Dio: Dio è qui e non là, tutto il bene di qua e tutto il male di là. La donna Cananea è una straniera, una pagana. Gesù afferma di essere venuto in primo luogo per Israele, ma poi salva una straniera: un gesto prefiguratore. Il vangelo è aperto anche ai pagani. E c'è di più: non soltanto è aperto ai pagani, ma alle volte si trova più fede in mezzo a loro che all'interno della comunità cristiana. E' un pensiero, questo, che nel vangelo di Matteo ritorna con sorprendente frequenza: i magi vengono da lontano a cercare Gesù, mentre Erode e gli abitanti di Gerusalemme lo rifiutano; Dio può far sorgere figli di Abramo anche nelle pietre; il centurione pagano ha più fede degli israeliti; gli abitanti di Ninive e la regina del Sud sono più disponibili di «questa generazione». Torniamo a questo episodio. Il gioco delle domande e delle risposte tra Gesù e la donna verte sul posto che i pagani occupano nel disegno di Dio. I figli sono gli ebrei, i cagnolini sono i pagani. Gesù giustifica il suo rifiuto appellandosi al piano di Dio, come se questo piano contemplasse un prima (i giudei) e solo eventualmente dopo un poi (i pagani). Così in effetti si pensava. Ma la donna riprende l'immagine di Gesù e la sviluppa capovolgendola. Non rifiuta la priorità di Israele, però ricorda che anche i pagani hanno un posto. C'è modo e modo di intendere la priorità. Anche l'amore di Dio può avere le sue priorità, ma si tratta sempre di priorità che non separano e non escludono. Se i figli sono i primi non è per escludere gli altri, ma per far posto anche agli altri. E così per la parola di una donna pagana la priorità, che Israele vantava, viene allargata e purificata. E Gesù riconosce e ne dà atto, come se quella donna pagana lo avesse in un certo senso illuminato. Anche dai pagani può venire una parola di verità.

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni

domenica 31 luglio 2011

Domenica 7 Agosto 2011 - XIX Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal Primo Libro dei Re (1Re 19,9.11-13)

In quei giorni, Elia, [essendo giunto al monte di Dio, l’Oreb], entrò in una caverna per passarvi la notte, quand’ecco gli fu rivolta la parola del Signore in questi termini: «Esci e fèrmati sul monte alla presenza del Signore».
Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Romani (Rm 9, 1-5)

Fratelli, dico la verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua.
Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 14, 22-33)

[Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!».
Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».

COMMENTO ALLE LETTURE

Leggendo l'episodio evangelico, che la liturgia ci propone, sembrerebbe ovvio concentrare tutta l'attenzione sulla potenza di Gesù che cammina sulle acque e che la sua parola calma la tempesta del mare. Personalmente penso invece più utile soffermarci su altri due temi: la preghiera solitaria di Gesù («salì sul monte, solo, a pregare») e la poca fede di Pietro («uomo di poca fede, perché hai dubitato?»).

Nel ritmo incalzante della sua giornata, Gesù ha sempre trovato il tempo per la preghiera, o al mattino presto o alla sera tardi, dopo aver congedato la folla. Non è certo possibile per noi penetrare tutto il segreto di questa sua preghiera solitaria. Ma possiamo almeno avvicinarci un poco facendo tre annotazioni. Gesù si è sempre rivolto a Dio invocandolo con il nome di Padre. La preghiera di Gesù è anzitutto filiale. Rivolgendosi a Dio come Padre, Gesù svela la relazione singolarmente unica che lo lega a Lui. Ma proprio perché filiale ? e questa è la seconda annotazione ? la preghiera di Gesù è obbediente. È al tempo stesso la preghiera del Figlio e del Servo del Signore. Già nel termine Padre sono incluse ambedue le dimensioni: la familiarità e l'obbedienza. Coscienza della propria filiazione e totale dipendenza sono i due poli della preghiera di Gesù, e sono ? ancor prima ? le strutture essenziali della sua persona. Non dovrebbe essere così di ogni cristiano? C'è infine una terza annotazione indispensabile: Gesù era anche consapevole di essere uomo, e come uomo ? nella solitudine ? si confrontava col Padre e con la sua Parola per ritrovare costantemente la nitidezza e il coraggio della propria via.

Ma veniamo al secondo tema suggerito. La barca sballottata dal mare, la paura dei discepoli, le parole di Gesù e il grido di Pietro, tutto questo fa capire che l'episodio vuole essere un simbolo della comunità cristiana alle prese con le difficoltà. Ma nessuna paura: c'è il Signore. L'importante è aver fede e pregare come Pietro: «Signore, salvami!». Si noti il dialogo fra Pietro e Gesù. Pietro cammina sulle acque come Gesù, ma non per potenza propria. La sua possibilità dipende unicamente dalla parola del Signore («vieni!») e la forza sta tutta nella fede. È questa una grande lezione per tutti. Aggrappato a questa fede, il discepolo può ripetere gli stessi miracoli del Signore. Ma se questa fede si incrina («uomo di poca fede, perché hai dubitato?»), allora il discepolo torna ad essere facile preda delle forze del male. Il dubbio, di cui qui si parla, non è il dubbio intellettuale intorno alle verità della fede, ma la mancanza di fiducia di fronte alle difficoltà della vita.

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni

martedì 26 luglio 2011

Domenica 31 Luglio 2011 - XVIII Domenica del Tempo Ordinario


PRIMA LETTURA
Dal Libro del Profeta Isaia (Is 55, 1-3)
Così dice il Signore: «O v oi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite; comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone
e gusterete cibi succulenti. Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete. Io stabilirò per voi un’alleanza eterna, i favori assicurati a Davide».
SECONDA LETTURA
Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Romani (Rm 8, 35.37-39)
Fratelli, chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.
VANGELO
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 14, 13-21)
In quel tempo, avendo udito [della morte di Giovanni Battista], Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui». E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.
COMMENTO ALLE LETTURE
Il vangelo di questa domenica racconta un miracolo di Gesù fra i più importanti.
E tutto incomincia con un'annotazione che rivela il sentimento profondo che Gesù porta verso la folla: «Sentì compassione per loro».
La compassione di Gesù ? trasparenza della compassione di Dio ? è un sentimento ricco di sfumature: è l'atteggiamento di chi si sente coinvolto e responsabile, un atteggiamento fatto di simpatia, amore e misericordia. È a partire da questo sentimento che si comprendono tutti i gesti di Gesù che il brano evangelico puntualmente racconta.
Gesù dà un ordine ai discepoli, prega e ringrazia, moltiplica i pani, li spezza e li consegna ai discepoli perché li distribuiscano. Gesù «pronunziò la benedizione»: è questo l'atteggiamento più autentico dell'uomo di fronte a Dio, alle cose e ai fratelli.
Benedire significa riconoscere che le cose sono un dono di Dio e, quindi, ringraziare: doni di Dio da gustare nella gioia. Ma anche da condividere, perché Dio li ha creati per tutti i suoi figli, non solo per alcuni.
I discepoli si preoccupano della folla, ma credono che debba essere la folla stessa a risolvere il suo problema: «Congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare».
Gesù invece coinvolge i discepoli e li impegna. Tocca a loro risolvere il problema: «Date loro voi stessi da mangiare».
Un ordine impossibile: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci».
Ma nulla è impossibile a Dio. Gesù prende il poco che i discepoli hanno e li moltiplica: nelle sue mani il poco diventa molto, il pane spezzato diventa abbondante. In sostanza Gesù vuole che il «comprare» venga sostituito con il «condividere». E questo significa che devono cambiare le relazioni fra te e gli altri, fra te e le cose. Tu sei responsabile dell'altro e perciò personalmente coinvolto nel suo bisogno. Il problema del pane per tutti è problema tuo, non soltanto degli affamati. E le cose che possiedi ? fossero pure soltanto cinque pani e due pesci ? sono beni di Dio da godere con gli altri, non a differenza degli altri. Lo schema del «comperare» crea i fortunati e gli sfortunati, alcuni hanno molto, altri poco, altri nulla. Occorre passare dal comperare al condividere. Se anche paradossalmente i discepoli avessero comperato col loro denaro il pane da distribuire, avrebbero compiuto un gesto di carità, non un segno che introduce nei rapporti una logica differente. È Gesù che fa il miracolo, ma non è Lui che distribuisce il pane alle folle: «Li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alle folle». È un'immagine della Chiesa: è Cristo che dona la Parola e la vita, ma tutto passa fra le mani degli uomini che lo rappresentano.
Da un’omelia di Don Bruno Maggioni

domenica 17 luglio 2011

Domenica 24 Luglio 2011 - XVII Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal Primo Libro dei Re (1Re 3,5.7-12)

In quei giorni a Gàbaon il Signore apparve a Salomone in sogno durante la notte. Dio disse: «Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda». Salomone disse: «Signore, mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide, mio padre. Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che per la quantità non si può calcolare né contare. Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; infatti chi può governare questo tuo popolo così numeroso?». Piacque agli occhi del Signore che Salomone avesse domandato questa cosa. Dio gli disse: «Poiché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te molti giorni, né hai domandato per te ricchezza, né hai domandato la vita dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco, faccio secondo le tue parole. Ti concedo un cuore saggio e intelligente: uno come te non ci fu prima di te né sorgerà dopo di te».

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Romani (Rm 8, 28-30)

Fratelli, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 13, 44-52)

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

COMMENTO ALLE LETTURE

Le due parabole del tesoro nascosto nel campo e della perla di inestimabile valore sono sostanzialmente uguali.

Illustrano due temi.

Il primo è che il Regno esige una pronta e totale decisione: come un uomo che vende tutti i suoi averi per comprare un campo, o come un mercante che vende tutto per acquistare una perla. Non è l'unica volta che Gesù sottolinea che per entrare nel Regno si richiede un distacco totale.

Ma c'è un secondo aspetto ancora più importante: il distacco scaturisce dall'aver trovato. È questo l'insegnamento vero della parabola. Il motivo che spinge il discepolo a lasciare è la gioia di aver trovato. Il motivo della gioia è esplicito nella parabola dell'uomo che compra il campo: «Poi va', pieno di gioia, vende tutti i suoi averi».

Il Regno di Dio è esigente, ma trovarlo è il centuplo.

Vale la pena di insistere. Le due parabole mettono in scena due figure diverse: nella prima si parla di un bracciante agricolo che lavora in un campo che non è suo, nella seconda di un ricco mercante che possiede negozi e filiali. Ma questi due personaggi sono i protagonisti soltanto in superficie. In profondità i veri protagonisti sono il tesoro e la perla, che si impadroniscono dei due uomini, affascinandoli. Il contadino e il mercante agiscono, ma solo perché totalmente «afferrati» dal tesoro in cui si sono imbattuti.

Così è l'esperienza dell'incontro con il Vangelo. Davanti alla scoperta di un tesoro, chiunque agirebbe come loro. Ma questo è ciò che sorprende: la loro novità sta proprio in questa ovvietà. Un uomo che imbattutosi nel Vangelo si comportasse come quel contadino o quel mercante non farebbe nulla di straordinario. È semplicemente un uomo a cui è capitata una grande fortuna.

Il Vangelo è esigente, tuttavia è pieno di umanità.

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni

domenica 10 luglio 2011

Domenica 17 Luglio 2011 - XVI Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal Libro della Sapienza (Sap 12,13.16-19)

Non c’è Dio fuori di te, che abbia cura di tutte le cose, perché tu debba difenderti dall’accusa di giudice ingiusto. La tua forza infatti è il principio della giustizia, e il fatto che sei padrone di tutti, ti rende indulgente con tutti. Mostri la tua forza quando non si crede nella pienezza del tuo potere, e rigetti l’insolenza di coloro che pur la conoscono. Padrone della forza, tu giudichi con mitezza e ci governi con molta indulgenza, perché, quando vuoi, tu eserciti il potere. Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare gli uomini, e hai dato ai tuoi figli la buona speranza che, dopo i peccati, tu concedi il pentimento.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Romani (Rm 8, 26-27)

Fratelli, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 13, 24-43)

In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio”». Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami». Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata». Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo».
Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».

COMMENTO ALLE LETTURE

La presenza della zizzania nel campo di grano – anche se i servi mostrano di esserne sorpresi – non è ancora in realtà il tratto più inatteso e sorprendente del racconto. Tanto è vero che ai servi che gli chiedono spiegazioni, il padrone risponde semplicemente: «Il nemico ha fatto questo». E neppure è inattesa l'affermazione che al tempo della mietitura grano e zizzania saranno accuratamente separati: il grano raccolto nel granaio e la zizzania buttata nel fuoco. La meraviglia dell'ascoltatore - meraviglia che, come spesso accade, indica il punto su cui concentrarsi – sta nel fatto che ora la zizzania non debba essere strappata, ma piuttosto lasciata crescere insieme al grano fino al tempo della messe: altrimenti c'è il rischio – aggiunge ironicamente il padrone – di strappare il grano e di lasciare la zizzania. Il centro della parabola è qui, in questa pazienza di Dio, in questa sua strana politica di tolleranza. Al tempo di Gesù c'era il movimento farisaico, che pretendeva essere il popolo santo, separato dalla moltitudine dei peccatori. E c'erano gruppi di monaci, che si ritiravano nella solitudine del deserto a vivere in rigida santità, rifiutando tutti coloro che erano ritenuti impuri. E c'era la stessa predicazione di Giovanni Battista che annunciava il Messia come colui che avrebbe - finalmente! - separato il grano e la paglia. Gesù viene e sembra fare il contrario. Non si separa dai peccatori ma và con loro, non li abbandona ma li perdona. Tollera persino nella cerchia dei dodici un traditore e, comunque, si circonda di discepoli che sono pronti ad abbandonarlo. Comprendiamo, a questo punto, tutta la forza polemica della parabola. C'è un netto contrasto tra la politica di Dio – paziente e tollerante – e l'intollerante rigidezza di molti suoi servi. Nel passo evangelico di questa domenica c'è anche la spiegazione della parabola, che sembra andare in senso contrario. Tra la parabola e la sua spiegazione c'è dunque una contraddizione? Assolutamente no. Tutte e due le sottolineature sono vere e sta alla sapienza del predicatore scegliere l'una o l'altra. Di fronte a una comunità facile alla separazione, tutto il bene di qua e tutto il male di là, il predicatore sceglierà il tema della tolleranza di Dio. Ma di fronte a una comunità che si adatta al mondo, il predicatore sottolineerà il giudizio.

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni

domenica 3 luglio 2011

Domenica 10 Luglio 2011 - XV Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal Libro del Profeta Isaia (Is 55,10-11)

Così dice il Signore: «Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Romani (Rm 8, 18-23)

Fratelli, ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio.
Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 13, 1-23)

Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti». Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice: “Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,
sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore
e non si convertano e io li guarisca!”. Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono! Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».

COMMENTO ALLE LETTURE

l primo personaggio che compare nella parabola è il seminatore. Ciò che colpisce è che egli getti il seme dappertutto, sul terreno buono e sul terreno cattivo. Non distingue fra terreno e terreno. Letta dal punto di vista del seminatore, la parabola appare rivolta agli annunciatori del vangelo. Non hanno il diritto di scegliere dove gettare il seme e dove no. L'annunciatore butta il seme senza risparmio e senza distinzione. Nessuno deve anticipare il giudizio di Dio.
La figura del seminatore appare all'inizio e poi scompare: il vero protagonista è il seme che è in scena dall'inizio alla fine. La situazione supposta dalla parabola è quella in cui sembra (vedi l'insistenza su questo) che tutto vada perduto, che l'insuccesso del Regno e della Parola sia totale o eccessivo. E invece – afferma Gesù con la sua parabola – non è così. E' vero che ci sono gli insuccessi, e anche tanti, ma è certo che da qualche parte il successo c'è. Dunque una lezione di fiducia. Nella spiegazione data da Gesù ai discepoli l'attenzione si concentra non più sul seme, ma sui differenti terreni. Il discorso non sembra più rivolto agli annunciatori del Vangelo, ma a quelli che l'ascoltano e l'accolgono. Si osservi come la spiegazione non si soffermi ugualmente su tutti i tipi di terreno. Sorvola sul primo e sul quarto, e invece si attarda molto più analiticamente sul secondo e sul terzo. Il motivo è chiaro. È proprio su questi due terreni che vengono evidenziate le ragioni storiche e concrete per cui molti nella comunità venivano meno di fronte alle esigenze della Parola, che pure avevano accolto. Sono le stesse difficoltà di oggi: la paura di fronte alle persecuzioni e di fronte alla fatica che il Vangelo comporta, e soprattutto il fascino delle ricchezze e le preoccupazioni del mondo. Tra la parabola e la sua spiegazione è inserito il lungo dialogo fra Gesù e i discepoli. Il tema è costituito da una domanda precisa: la Parola di Dio non dovrebbe essere chiara per tutti? Come si spiega che la parola del Vangelo, che pretende essere di Dio, è in realtà rifiutata da molti? La risposta è davvero sorprendente: la Parola che il Vangelo offre, proprio perché di Dio, lascia all'uomo la libertà di aprirsi o di chiudersi. La Parola di Dio ha una sua debolezza, che in realtà è la sua grandezza: il rispetto della libertà dell'uomo. Proprio perché di Dio, la parola del Vangelo non costringe. Non riduce lo spazio della libertà, ma lo allarga.

Domenica 3 Luglio 2011 - XIV Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal Libro del Profeta Zaccaria (Zc 9,9-10)

Così dice il Signore: «Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal Fiume fino ai confini della terra».

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Romani (Rm 8,9.11-13)

Fratelli, voi non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 11, 25-30)

In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

COMMENTO ALLE LETTURE

Venite a me, affaticati e oppressi: il verbo venire indica la sequela ed esprime un invito pressante e gioioso. È anche un invito a rompere con tutti gli altri maestri per affidarsi al solo vero Maestro.

«Affaticati e oppressi»: il primo termine evoca l'immagine di un uomo che lavora duro; il secondo l'uomo che cammina curvo, schiacciato sotto un carico troppo pesante. Ma quale fatica? Quale carico? Qualche autore ha pensato semplicemente alla fatica di vivere. Gesù si rivolgerebbe a tutti coloro che conducono una vita difficile e penosa. Ma la maggioranza degli interpreti pensa invece che Gesù si sia rivolto alla gente del popolo che penava sotto il peso del legalismo giudaico.

«Mite e umile» sono due termini che Gesù applica a se stesso. E giustamente, perché indicano il suo atteggiamento verso Dio e verso gli uomini. Verso Dio un atteggiamento di confidenza, obbedienza e docilità. Verso gli uomini un atteggiamento di accoglienza, pazienza, discrezione, disponibilità e perdono, addirittura il servizio.

E anche l'aggiunta «di cuore» non è senza importanza. Indica che le disposizioni di Gesù - verso il Padre e verso i fratelli - si radicano nella sua interiorità e coinvolgono tutta la sua Persona.

«Portare il giogo» era un'espressione corrente. L'immagine suggerisce che l'uomo tutto intero deve impegnarsi nell'obbedienza al Signore, come uno schiavo è tutto impegnato nel suo lavoro. Gesù può dire «il mio giogo», perché l'ha portato personalmente per primo, a differenza dei falsi maestri che invece lo impongono agli altri senza personalmente muovere un dito.

Ma se Gesù dice il mio giogo, è anche per un motivo più profondo. Si parlava del giogo del regno dei cieli, della legge, dei comandamenti. Gesù dice semplicemente il mio giogo. Prendere il giogo di Gesù non significa prendere su di sé una serie di precetti, ma subisce il fascino di una persona. Anche le esigenze di Gesù sono radicali e impegnative: come può allora dire che il suo giogo è «leggero»? Almeno per tre motivi. Gesù non ha abolito la legge, però l'ha ricondotta al suo centro, cioè alla carità, liberandola da tutta una precettistica complicata: un centro chiaro, lineare e ricco di movimenti. La legge di Gesù è impegnativa, ma è semplice. E poi un secondo motivo: Gesù non fa precedere la legge, ma la grazia, la gioia della notizia del Regno. È questa la novità di Gesù: prima lo stupore del Regno, e dopo, solo dopo - dunque come gioiosa risposta -, la legge morale. E infine una terza ragione: il giogo di Gesù è leggero perché Egli non è un maestro che insegna e poi abbandona a se stesso il proprio discepolo.

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni

domenica 26 giugno 2011

Domenica 26 Giugno 2011 Santissimo Corpo e Sangue di Cristo

PRIMA LETTURA

Dal Libro del Deuteronomio (Dt 8,2-3.14-16)

Mosè parlò al popolo dicendo: «Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore.
Non dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri».

SECONDA LETTURA

Dalla prima lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi (1Cor 10,16-17)

Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6, 51-58)

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

COMMENTO ALLE LETTURE

Nella festa del Corpo e del sangue del Signore la liturgia propone un breve passo del Vangelo di Giovanni, ritagliato dal capitolo 6, un lungo capitolo che non narra l'istituzione dell'Eucaristia, ma che può essere considerato un ottimo esempio di predicazione eucaristica.

L'originalità del modo con cui Giovanni comprende l'eucaristia lo si può cogliere già da alcuni particolari, presenti nel breve testo liturgico, ma soprattutto lo si coglie nel contesto dell'intero capitolo. Giovanni anziché il termine «corpo», preferisce il termine «carne».

Probabilmente vuole sottolineare il realismo dell'incarnazione contro tendenze che cercavano, al contrario, di negare al Figlio di Dio la possibilità di assumere una vera e piena umanità.

Si noti, poi, la dimensione universale: per la vita del mondo.

Infine c'è una insistenza che non è casuale: mangiare la carne e bere il sangue è indispensabile per avere la vita. Ma è soprattutto dall'intero discorso che si comprende.
Costruendo la sua omelia eucaristica, Giovanni non pensa soltanto all'Eucaristia-sacramento, ma all'intera esistenza di Gesù e, nel contempo, al progetto di vita del discepolo. L'Eucaristia è rivelatrice della verità di Gesù in tutta la sua interezza. Ed è insieme la rivelazione della verità del discepolo. Gesù viene dal cielo, Gesù è colui che si offre per la vita del mondo. Sono questi i due aspetti che definiscono Gesù nella sua persona e nella sua missione. E il discepolo è colui che mangia e beve la carne e il sangue di Gesù. In altre parole, è colui che riconosce l'origine di Gesù e il suo significato di salvezza e, di conseguenza, l'accoglie e la condivide.

Ma tutto questo è un discorso duro per più motivi, tanto da indurre anche molti discepoli a tirarsi indietro. E la prima ragione di questa durezza è che il pane che è Gesù, va oltre il pane che le folle cercano, oltre la misura di salvezza che l'uomo pretenderebbe per sé.

La seconda ragione è che la presenza di Dio e la ricchezza del suo dono sono nascoste sotto apparenze comuni e quotidiane: Gesù è il figlio di Giuseppe (e, nell'Eucaristia, si nasconde sotto le apparenze del pane e del vino).

La terza ragione, infine, è la paura che l'uomo prova di fronte all'invito di «mangiare la sua carne e bere il suo sangue», cioè la paura di fronte a un progetto di vita che riproduce quello di Gesù (un'esistenza per la salvezza di tutti). Difatti «mangiare e bere» non soltanto significa accogliere la presenza di Gesù nel suo dono, ma porsi in sintonia con il suo dono e prolungarlo. Indica in altre parole un modo di vivere alla sequela del Signore.

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni

sabato 18 giugno 2011

Domenica 19 Giugno 2011 – Santissima Trinità

PRIMA LETTURA

Dal Libro dell’Esodo (Es 34, 4-6. 8-9)

In quei giorni, Mosè si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano. Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà, Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. Disse: «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, mio Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità».

SECONDA LETTURA

Dalla seconda lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi (2 Cor 13, 11-13)

Fratelli, siate lieti, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi. Salutatevi a vicenda con il bacio santo. Tutti i santi vi salutano. La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv3, 16-18)

In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.
Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.

COMMENTO ALLE LETTURE

Nella festa della SS. Trinità l'evangelista Giovanni ci invita a vedere in Gesù, concretamente nel suo farsi uomo, nella sua vita e, soprattutto, nella sua Croce (questo è il senso pregnante dell'espressione «dare il Figlio») la sorprendente profondità e gratuità dell'amore del Padre.

Il verbo «dare» significa spesso in Giovanni «donare».

Si noti la sottolineatura: «il Figlio unigenito». Il Padre ci ha fatto dono del suo Figlio amato. E si noti anche l'universalità della destinazione del dono: il mondo intero.

L'evangelista prosegue poi dicendoci che Dio ha mandato il Figlio per salvare il mondo, non per giudicarlo. Ma ciò non toglie che la presenza del dono determini una crisi: il dono del Padre può essere accolto o rifiutato. Nel giudizio Giovanni vede non tanto l'evento futuro, rimandato alla fine, quanto una realtà attuale, già presente e operante dentro la storia e l'uomo. E si direbbe che non sia tanto Dio a giudicare, quanto l'uomo stesso col proprio atteggiamento. Col suo rifiuto o con la sua accettazione dell'amore apparso in Gesù (credere significa, appunto, riconoscere e accogliere il dono di Dio nella propria vita), l'uomo si costruisce luce o tenebra.

Nonostante l'importanza che la Trinità riveste per la fede cristiana, si ha a volte l'impressione che per molti essa sia niente più di una verità da credere, un mistero del tutto incomprensibile.

In realtà è un mistero luminoso.

Di fronte alla rivelazione della Trinità non ci è richiesto soltanto il silenzio, ma anche lo stupore e la gioia, perché si tratta sì di una realtà inaccessibile, infinitamente più grande di noi, ma si tratta anche nel contempo di una realtà luminosa: l'uomo stesso ne viene tutto rischiarato.

Conoscendo il Padre, il Figlio e lo Spirito, noi intravediamo che Dio è nel suo intimo più profondo un dialogo di amore tra tre Persone. Nella sua natura più nascosta (nessun uomo l'avrebbe scoperta, se Gesù non ce ne avesse parlato) Dio è una realtà di comunione, quasi una famiglia. È questa l'originalità della concezione cristiana di Dio, ed è qui che l'uomo trova la spiegazione più vera di se stesso. L'uomo sente insopprimibile la nostalgia della comunità, della solidarietà e del dialogo; ne ha bisogno per vivere e per crescere, ne ha bisogno più dell'aria che respira.

Ma è soltanto alla luce della Trinità che questa constatazione acquista un'insospettabile profondità: siamo fatti per incontrarci, per dialogare e amare, perché siamo «immagine di Dio», e Dio è, appunto – per quanto ci è dato capire – una comunità di amore.

La vocazione alla comunità è la traccia della Trinità nell'uomo.

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni

Domenica 12 Giugno 2011 – Domenica di Pentecoste

PRIMA LETTURA

Dagli Atti degli Apostoli (At 2, 1-11)

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

SECONDA LETTURA

Dalla prima lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi (1Cor 12,3b-7.12-13)

Fratelli, nessuno può dire: «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo. Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune. Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 20, 19-23)

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

COMMENTO ALLE LETTURE

Luca descrive la venuta dello Spirito utilizzando i simboli classici che accompagnano l'azione di Dio: il vento, il terremoto e il fuoco. Ma nel suo racconto c'è un simbolo in più: le lingue si dividono e si posano su ciascuno dei presenti, cosicché «incominciarono a parlare in altre lingue». Con questo diventa chiaro il compito di unità e di universalità a cui lo Spirito chiama la sua Chiesa.

Luca si dilunga anche nel dire che la folla accorsa era composta di uomini di varie nazionalità. E aggiunge: «Ciascuno li sentiva parlare nella sua propria lingua». È come dire che lo Spirito non ha una sua lingua, né si lega a una lingua o a una cultura particolare, ma si esprime attraverso tutte. Con la venuta dello Spirito a Pentecoste e la nascita della comunità cristiana inizia in seno all'umanità una storia nuova, rovesciata rispetto alla storia di Babele. Nell'antico racconto della Genesi si legge che gli uomini hanno voluto, come conquista propria e non come dono, raggiungere Dio. È l'eterna tentazione dell'uomo di voler costruire una città senza Dio e cercare salvezza in se stessi. Ma al di fuori di Dio l'uomo non trova che confusione e dispersione. A Babele uomini della stessa lingua non si intendono più. A Pentecoste invece uomini di lingue diverse si incontrano e si intendono.

Il compito che lo Spirito affida alla sua Chiesa è di imprimere alla storia umana un movimento di riunificazione. Ma nello Spirito, nella libertà e attorno a Dio.
Lo Spirito trasforma un gruppo di persone racchiuse nel Cenacolo, al riparo, in testimoni consapevoli e coraggiosi. Apre i discepoli sul mondo e dà loro il coraggio di proporsi in pubblico, raccontando davanti a tutti «le grandi opere di Dio».

Tuttavia lo Spirito non sottrae la Chiesa all'incomprensione e al dissenso. Rende efficace l'annuncio, ma non lo sottrae alla discussione: «Alcuni erano stupiti e perplessi... altri li deridevano».

Come nella Pentecoste lucana, anche nel breve passo evangelico di Giovanni è detto che lo Spirito ricrea la comunità degli apostoli e l'apre alla missione. Ma con più precisione di Luca, Giovanni afferma che lo Spirito è il dono del Cristo: «ricevete lo Spirito Santo». Gesù risorto non soltanto dona lo Spirito in vista della missione, ma anche in vista del perdono dei peccati. Viene da Giovanni posta una stretta relazione fra lo Spirito, la comunità dei discepoli e il perdono. La remissione dei peccati è una trasformazione che solo lo Spirito può compiere.

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni

Domenica 5 Giugno 2011 – Ascensione del Signore

PRIMA LETTURA

Dagli Atti degli Apostoli (At 1, 1-11)

Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo. Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo». Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra». Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di San Paolo Apostolo agli Efesini (Ef 1, 17-23)

Fratelli, il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 28, 16-20)

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

COMMENTO ALLE LETTURE

Luca negli Atti degli Apostoli racconta il fatto vero e proprio dell'Ascensione in una sola riga: «Fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo».

Preferisce soffermarsi sui discepoli, che chiedono al Signore: «È' questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?».

Gesù li rimprovera. Il tempo è nelle mani di Dio. E questa certezza deve bastare: il resto è trascurabile curiosità.

L'importante è un'altra cosa: «Mi sarete testimoni a Gerusalemme... fino agli estremi confini della terra». Compito dei discepoli è di testimoniare dovunque il loro Signore. Non sono i popoli che arrivano a Gerusalemme, ma sono i discepoli che sono inviati verso i popoli. E non ci sono confini, luoghi vietati, popoli o uomini al quale il Signore non debba essere testimoniato.

Anche un secondo atteggiamento dei discepoli è rimproverato: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?». I discepoli guardano in alto, e invece sono invitati a guardare in terra, fra le gente. L'attesa del Signore non va vissuta separandosi, nel chiuso di una comunità di eletti, ma nel mondo. E veniamo al passo evangelico.

«Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra»: con queste parole Gesù afferma la sua signoria universale. Egli è il Signore di tutto e di tutti, e perciò deve essere annunciato a tutti e dappertutto.

Dire che Gesù è il «Signore di tutto» significa affermare, in altre parole, che Egli dà senso a tutte le cose.

«Andate e fate discepoli»: la missione suppone un incarico. Non si annuncia Gesù a nome proprio, tanto meno si annunciano pensieri propri, ma soltanto «tutto ciò che Egli ha comandato». Il discepolo deve annunciare nella più assoluta fedeltà. Il suo annuncio deve nascere da un ascolto.

La missione esige una «partenza»: andate. Il discepolo non aspetta che la gente del mondo si avvicini: è lui che va incontro a loro alla gente.

«Fate discepole tutte le genti»: l'espressione è carica di tutto il significato che «discepolo» ha nel Vangelo. Non si tratta semplicemente di offrire un messaggio, ma di instaurare una relazione. Il discepolo si lega alla persona del Maestro e si impegna a condividere il suo progetto di vita.

«Sarò con voi fino alla fine del tempo»: è questa la grande promessa, che dà al discepolo la forza di svolgere la sua missione. Il cristiano non confida in se stesso, nella propria fede o nelle proprie capacità, ma nella presenza del Signore.

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni

Domenica 29 Maggio 2011 – VI Domenica di Pasqua

PRIMA LETTURA

Dagli Atti degli Apostoli (At 8,5-8.14-17)

In quei giorni, Filippo, sceso in una città della Samarìa, predicava loro il Cristo. E le folle, unanimi, prestavano attenzione alle parole di Filippo, sentendolo parlare e vedendo i segni che egli compiva. Infatti da molti indemoniati uscivano spiriti impuri, emettendo alte grida, e molti paralitici e storpi furono guariti. E vi fu grande gioia in quella città. Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samarìa aveva accolto la parola di Dio e inviarono a loro Pietro e Giovanni. Essi scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo.

SECONDA LETTURA

Dalla prima lettera di San Pietro Apostolo (1Pt 3, 15-18)

Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male, perché anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14, 15-21)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

COMMENTO ALLE LETTURE

La liturgia di questa domenica continua la lettura del capitolo 14 del vangelo di Giovanni, di cui si è già letto la prima parte domenica scorsa.

Il tema è l'amore, come appare dall'inizio («se mi amate...») e dalla conclusione («chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui»).

Mi sembra che le idee dominanti siano due.

La prima è che il criterio più adatto per verificare la realtà dell'amore a Cristo è l'obbedienza alla sua volontà, cioè l'osservanza concreta dei comandamenti, che in Giovanni si riducono al comandamento dell'amore fraterno.

E la seconda: la pratica dell'amore è il luogo in cui Gesù si manifesta. L'amore è l'epifania di Dio, il luogo del dono dello Spirito, dell'incontro con la Trinità, della manifestazione di Gesù.

Salendo al cielo e sottraendo la sua presenza visibile, Gesù non lascia soli i suoi discepoli, semplicemente si rende presente in modo diverso da prima. Per quanto riguarda l'amore, se ne sottolinea la concretezza: non le parole, non le idee, ma i fatti. È nella concretezza della carità, del dono di sé, che si incontra la presenza del Signore.

E a proposito dello Spirito, si afferma una opposizione fra i discepoli e il mondo. Il mondo non è in grado di capire e di ricevere lo Spirito. Le manifestazioni dello Spirito sono visibili, eppure il mondo è incapace di scorgerle perché il suo sguardo vede solo ciò che gli interessa.

Per essere illuminati dallo Spirito occorre uscire da se stessi. Ma se è vero che il mondo non riconosce lo Spirito, Gesù sottolinea che invece lo Spirito è compreso dai discepoli.

L'intima e spirituale presenza dello Spirito è la nuova presenza di Gesù, è l'«attualità» di Gesù: «non vi lascerò orfani, ritornerò da voi». È grazie allo Spirito che i discepoli comprenderanno la realtà profonda di Dio, di Gesù e di loro stessi.

Gesù avverte, più avanti, che i discepoli saranno odiati dal mondo e perseguitati. Ma insieme li assicura ad essi che l'odio del mondo e la persecuzione saranno l'ambiente in cui si manifesterà la testimonianza dello Spirito e la loro. Nel grande processo tra Cristo e il mondo, che si svolge entro la storia, lo Spirito depone in favore di Gesù. Davanti all'ostilità che incontreranno, i discepoli saranno esposti al dubbio, allo scandalo e allo scoraggiamento.

Lo Spirito difenderà Gesù nel loro cuore, li renderà sicuri nella loro disobbedienza al mondo.

I discepoli avranno bisogno di certezza: lo Spirito gliela donerà.

Domenica 22 Maggio 2011 – V Domenica di Pasqua


PRIMA LETTURA
Dagli Atti degli Apostoli (At 6,1-7)
In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola». Piacque questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani. E la parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente; anche una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla fede.
SECONDA LETTURA
Dalla prima lettera di San Pietro Apostolo (1Pt 2, 4-9)
Carissimi, avvicinandovi al Signore, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo. Si legge infatti nella Scrittura: «Ecco, io pongo in Sion una pietra d’angolo, scelta, preziosa, e chi crede in essa non resterà deluso». Onore dunque a voi che credete; ma per quelli che non credono la pietra che i costruttori hanno scartato è diventata pietra d’angolo e sasso d’inciampo, pietra di scandalo. Essi v’inciampano perché non obbediscono alla Parola. A questo erano destinati. Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa.
VANGELO
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14, 1-12)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».
COMMENTO ALLE LETTURE
Il discorso di Gesù riportato dal vangelo di Giovanni si apre con un invito a superare la paura: «Non sia turbato il vostro cuore». Si tratta di paure profonde: la paura della sofferenza, della morte, del futuro. Gesù suggerisce che c'è un solo modo per vincere queste molte e profonde paure: la fede in Dio e la fede in Lui. E ha ragione: soltanto Dio è la roccia. Le altre sicurezze deludono. L'amore di Dio è fedele e non ci abbandona mai: questa è la grande certezza che rasserena il credente. C'è però anche un secondo punto sul quale intendo insistere. A Filippo che forse aspirava a una visione religiosa più alta e più dimostrativa («Mostraci il Padre»), Gesù risponde: «Chi ha visto me ha visto il Padre». Per il cristiano Gesù - la sua persona e la sua vita, la sua storia - è lo spazio in cui Dio si è reso visibile e conoscibile. Nell'incarnazione del Figlio di Dio l'invisibilità di Dio si è dissolta: il Dio invisibile ci è venuto vicino, raggiungibile e conoscibile. L'uomo è in cerca di Dio e questa sua ricerca di Dio non è una sovrastruttura, bensì la struttura più intima del suo essere.
Ma dove e come incontrare il Signore? Ecco l'interrogativo sotteso all'intero quarto vangelo. Una prima affermazione importante è già nel prologo: «Nessuno ha mai visto Dio, l'Unigenito Dio, che è nel seno del Padre, egli ce lo ha fatto conoscere». Dio è invisibile e l'uomo non riesce a raggiungerlo. Ma in Gesù Cristo l'invisibilità di Dio si è dissolta. A questo punto però si affaccia una seconda domanda: in che modo il Figlio Unigenito ha raccontato il volto del Padre, strappandolo alla sua invisibilità? La risposta del cristiano è chiara: Dio si è reso visibile e raggiungibile nell'esistenza storica di Gesù, nella sua prassi di accoglienza, nella sua dedizione alla verità, nel suo amore che ha trovato il suo momento più espressivo sulla Croce. C'è però un'ultima domanda a cui è assolutamente necessario rispondere. Il Padre ha rivelato il suo volto nell'esistenza storica di Gesù, ma ora - nel tempo della Chiesa, in attesa del ritorno del Signore - dove e come fare ancora esperienza di Dio? Certo nell'ascolto della sua Parola, nella continua memoria della sua vita: in fondo è per questo che gli evangelisti hanno scritto i loro Vangeli. Ma la risposta resterebbe incompiuta se non aggiungessimo un'espressione che si trova nella prima lettera di Giovanni: «Nessuno ha mai visto Dio, ma se ci amiamo scambievolmente, Dio dimora in noi». Dunque Dio continua a farsi presente nell'amore vicendevole: Dio è amore ed è in un'esperienza di autentico amore, come quella di Cristo, che l'uomo può entrare in comunione con il mondo di Dio.