domenica 29 luglio 2012

Domenica 5 agosto 2012 – XVIII Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal libro dell'Esodo (Es 16,2-4.12-15)

In quei giorni, nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne. Gli Israeliti dissero loro: «Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine». Allora il Signore disse a Mosè: «Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge. Ho inteso la mormorazione degli Israeliti. Parla loro così: “Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore, vostro Dio”».
La sera le quaglie salirono e coprirono l’accampamento; al mattino c’era uno strato di rugiada intorno all’accampamento. Quando lo strato di rugiada svanì, ecco, sulla superficie del deserto c’era una cosa fine e granulosa, minuta come è la brina sulla terra. Gli Israeliti la videro e si dissero l’un l’altro: «Che cos’è?», perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: «È il pane che il Signore vi ha dato in cibo».

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di San Paolo agli Efesini (Ef 4,17.20-24)

Fratelli, vi dico e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri. Voi non così avete imparato a conoscere il Cristo, se davvero gli avete dato ascolto e se in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, ad abbandonare, con la sua condotta di prima, l’uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli, a rinnovarvi nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6, 24-35)

In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

COMMENTO ALLE LETTURE

Gesù dichiara: "Chi viene a me e crede in me non avrà ne fame ne sete MAI!". Inoltre abbiamo qui una rivelazione chiave: il pane è Gesù stesso.

Gesù ha fatto il miracolo del pane, ma è per parlare d'altro, di un altro nutrimento. L'uomo non vive di solo pane, ma anche di bellezza, d'amicizia, e soprattutto di comunione con Dio e tra di noi. Gesù prova a risvegliare in noi il desiderio di questo pane. La gente cercava Gesù, per stare con lui e ascoltarlo, perché sentiva che riceveva qualche cosa. Oggi è la Chiesa che è chiamata a svolgere questo compito. Lo fa invitando i cristiani a venire a messa, nei gruppi di ascolto e di preghiera, e svolgendo diverse attività.

Qualcuno dice che non ha il tempo per venire a messa, segno che considera quel tempo un po' sprecato, perché non vi trova ciò che cerca; peccato, ma è meglio cosi che non quando la frequentazione della messa è legata ad un obbligo, infatti Gesù si è sempre proposto, mai imposto. A tutti ha sempre detto: "Se tu vuoi io sono disposto ad aiutarti". Anche perché, per assurdo, andando a messa per dovere, poi viene fuori che qualcuno ci va con spirito di sacrificio, il che sottintende che è lui che da, e quindi che nutre il Signore, e non viceversa! E' un assurdo.

Rimane però importante desiderare che tutti i cristiani amino andare a messa, e per questo è bene presentarla non come un dovere da compiere, ma come un luogo di ricreazione, dove trovo il necessario per provare a credere nell'ideale della comunione. Non andarci perché ci trovo peccatori, cioè gente come me, è disfattismo, ma soprattutto non è costruttivo. Mentre andarci per nutrire il mio bisogno di comunione con Dio, cercando di essere una presenza costruttiva per gli altri, è segno che sono ancora vivo e in grado di sognare.

Se mi sembra inutile andare a messa, l'importante è che cerchi altri modi per creare comunione e fraternità, perché questo è ciò che propone Gesù per nutrire la nostra vita. Bisogna inventare sempre cose nuove che promuovano la fraternità; ogni cristiano può inventare qualche cosa, legato alla cultura, allo sport, al sociale, poco importa. Ciò che conta è entrare nel cuore di Dio e da lì darsi da fare per amare questo mondo, questa creazione stupenda, che migliora ogni volta che qualcuno decide di amare. Allora il miracolo della moltiplicazione dei pani continua, anche perché nutrirsi e nutrire vanno di pari passo, uno tira l'altro, perché chi si scopre amato desidera ricambiare, manifestare gratitudine. Credere in lui significa scommettere su di lui, lavorando e cooperando con lui al suo progetto.( da un'omelia di Padre Devreux)

giovedì 26 luglio 2012

Domenica 29 luglio 2012 – XVII Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal secondo Libro dei Re (2Re 4,42-44)

In quei giorni, da Baal Salisà venne un uomo, che portò pane di primizie all’uomo di Dio: venti pani d’orzo e grano novello che aveva nella bisaccia. Eliseo disse: «Dallo da mangiare alla gente». Ma il suo servitore disse: «Come posso mettere questo davanti a cento persone?». Egli replicò: «Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: “Ne mangeranno e ne faranno avanzare”». Lo pose davanti a quelli, che mangiarono e ne fecero avanzare, secondo la parola del Signore.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di San Paolo agli Efesini (Ef 4, 1-6)

Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6, 1-15)

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzati gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

COMMENTO ALLE LETTURE

Sfamare, dissetare, saziare nell’anima e nel corpo è il compito a cui il buon Dio ha provveduto personalmente sin dal principio: Egli con sapienza infinita, creato l’uomo a sua immagine, ha provveduto con i frutti della natura a dargli l’habitat e tutto il necessario per vivere. Nell’atto creativo ha legato a se la creatura con un vincolo di amore, fonte di un totale naturale benessere. Dopo il peccato tutto è diventato complicato e difficile per l’uomo. Dio, pur non cessando di altare la vita sul mondo con il suo Spirito, dice all’uomo: «Ti guadagnerai il pane con il sudore della fronte» e aggiunge: «La terra ti germinerà triboli e spine». Di conseguenza molti interventi straordinari nella storia della salvezza sono occorsi per venire incontro alla sete e alla fame dell’uomo o di un intero popolo. Basti ricordare le vicende del popolo eletto mentre vaga nel deserto. Anche ai nostri giorni quello della fame e della sete sono tra i più urgenti e gravi problemi per milioni di esseri umani. L’intero continente africano è assetato e affamato ed è un fenomeno in crescita! Gesù ci lancia ancora una duplice sfida: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?»; “comprare”: è la via iniziale di una umana debole solidarietà. «E Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». Il buon Dio sempre ci coinvolge nei nostri problemi, sempre chiede la nostra collaborazione, ma poi sa lui come sconvolgere e superare le logiche umane per far emergere la fede e imboccare la via feconda dell’amore. Nell’era della tecnica e della scienza è difficile comprendere la forza e le recondite infinite energie che scaturiscono da un sacramento di comunione dove il pane e il vino diventano la carne e il sangue del Figlio di Dio. Noi cristiani però dovremmo ormai sapere con la certezza della fede che proprio da quel banchetto umano divino sgorgano le virtù che uniscono l’uomo a Dio e l’uomo all’uomo con vincoli di carità, di generoso altruismo, di vera completa disponibilità. In gran parte questi sono valori da recuperare, li abbiamo persi miseramente in nome dell’egoismo.

(da un’omelia dei Monaci Benedettini)

Domenica 22 luglio 2012 – XVI Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal Libro del profeta Geremia (Ger 237,1-6)

Dice il Signore: «Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo. Oracolo del Signore. Perciò dice il Signore, Dio d’Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere. Oracolo del Signore. Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; non ne mancherà neppure una. Oracolo del Signore. Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele vivrà tranquillo, e lo chiameranno con questo nome: Signore-nostra-giustizia».

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di San Paolo agli Efesini (Ef 2- 13-18)

Fratelli, ora, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti,
per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 6, 30-34)

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

COMMENTO ALLE LETTURE

Gesù ha dunque fretta e ha molte cose da fare e tuttavia egli trova il tempo per ritirarsi, solo, sul monte a pregare. Il ritmo della sua giornata non trascura il momento della solitudine, della preghiera, della comunicazione col Padre. È alla luce di questo quadro del ritmo della vita di Gesù che comprendiamo meglio il brano di questa domenica. Precisa ulteriormente il ritmo della vita di Gesù e lo applica al discepolo.
I discepoli ritornano dal loro giro missionario: hanno sperimentato la potenza della Parola, ma anche la fatica e il rifiuto. E Gesù li invita al riposo, in un luogo solitario, in sua compagnia: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'». C'è il momento della missione e dell'impegno e c'è il momento del riposo, c'è il momento dell'accoglienza e c'è il momento della solitudine. Un riposo, però, che non si irrigidisce nelle sue esigenze, anche legittime, ma si mantiene aperto a una fondamentale disponibilità. La folla giunge inaspettatamente impedendo il riposo, e Gesù non la fa attendere, ma la accoglie e ne soddisfa le esigenze. Però a modo suo: non è a disposizione delle esigenze superficiali della folla, ma solo delle sue esigenze profonde: «E insegnava loro molte cose». Più tardi moltiplicherà per quella folla i pani, ma ora insegna la Parola. Il Vangelo è percorso da un fremito di urgenza, ma è un'urgenza speciale, molto diversa dalla nostra fretta ossessiva e distratta. C'è l'urgenza del Regno: «Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino». La grande occasione è giunta e non c'è tempo da perdere: il tempo è compiuto, cioè maturo, ricco di possibilità di salvezza, e non si può sprecarlo, non si può perderlo. C'è l'urgenza del distacco e della decisione: «Essi, abbandonata la rete, lo seguirono». Di fronte all'appello di Dio non si può tergiversare, non si può differire la risposta: il discepolo deve decidersi subito. C'è, infine, l'urgenza, la vigilanza: «Quando vedrete accadere queste cose, sappiate che è vicino, alle porte...; non passerà questa generazione prima che tutto ciò avvenga». Ma queste tre urgenze che incalzano la vita del credente non hanno nulla a che vedere con la fretta mondana. Le cose importanti da fare, e da fare subito e sempre, non sono le cose del mondo, ma l'accoglienza del Regno e l'attesa del Signore. È l'urgenza delle «cose di Dio»: non ha la fretta degli affari, l'ansia del possesso, l'accumulo del lavoro, ma la ricerca di Dio, l'ascolto della Parola, lo spazio alle persone. Proprio tutte le cose per le quali non troviamo mai il tempo. ( da un’omelia di don B. Maggioni)

Domenica 15 luglio 2012 – XV Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal Libro del profeta Amos (Am 7,12-15)

In quei giorni, Amasìa, [sacerdote di Betel,] disse ad Amos: «Vattene, veggente, ritirati nella terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno». Amos rispose ad Amasìa e disse: «Non ero profeta né figlio di profeta;
ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro. Il Signore mi prese,
mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: «Va’, profetizza al mio popolo Israele».

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di San Paolo agli Efesini (Ef 1- 3-14)

Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. In lui, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe,
secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi
con ogni sapienza e intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà,
secondo la benevolenza che in lui si era proposto per il governo della pienezza dei tempi: ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra. In lui siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui
che tutto opera secondo la sua volontà – a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo. In lui anche voi, dopo avere ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza, e avere in esso creduto, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 6, 7-13)

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

COMMENTO ALLE LETTURE

Man mano che descrive la figura di Gesù, Marco si preoccupa di fornirci anche i tratti essenziali della fisionomia del discepolo. La folla è curiosa e stupita di fronte alle opere di Gesù, lo ascolta, ma non va oltre. Il discepolo è invece colui che ascolta, crede e ? nonostante le esitazioni e le molte paure che gli rimangono dentro ? si stacca dalla folla e si pone al seguito di Gesù. La folla ascolta e poi torna a casa, il discepolo rimane, fa vita comune e itinerante con Cristo. Ma c'è anche un altro aspetto: il discepolo è inviato in missione. È su questo aspetto che il brano evangelico di 6,7-13 fa riflettere. L'evangelista annota che Gesù «li mandò» e questo comporta almeno la consapevolezza di essere inviato da Dio e non da decisione propria, mandato per un progetto in cui il discepolo è coinvolto, ma di cui non è il regista. Si noti l'insistenza sulla povertà come condizione indispensabile per la missione: né pane, né bisaccia, né soldi. È una povertà che è fede, libertà e leggerezza. Anzitutto, libertà e leggerezza: un discepolo appesantito dai bagagli diventa sedentario, conservatore, incapace di cogliere la novità di Dio e abilissimo nel trovare mille ragioni di comodo per giudicare irrinunciabile la casa nella quale si è accomodato e dalla quale non vuole più uscire (troppe valigie da fare, troppe sicurezze a cui rinunciare!). Ma la povertà è anche fede: è segno di chi non confida in se stesso ma si affida a Dio. Ma c'è anche un altro aspetto che non si può dimenticare: l'atmosfera «drammatica» della missione. Il rifiuto è previsto (v. 11): la parola di Dio è efficace, ma a modo suo. Il discepolo deve proclamare il messaggio e in esso giocarsi completamente, ma deve lasciare a Dio il risultato. Al discepolo è stato affidato un compito, non garantito il successo. L'annuncio del discepolo non è un'istruzione teorica, ma una parola che coinvolge e di fronte alla quale bisogna prendere posizione. Dunque una parola che disturba, che suscita contraddizioni, che sembra addirittura portare la divisione là dove c'era la pace. La missione è una lotta contro il maligno: dove giunge la parola del discepolo, Satana è costretto a rivelarsi e il peccato, l'ingiustizia, la sopraffazione sono costretti a venire alla luce, e fanno resistenza. Ecco perché il discepolo non è solo un maestro, ma un testimone che, dalla parte della verità, della libertà e dell'amore, si impegna nella lotta contro il Male. ( da un’omelia di don B. Maggioni)

Domenica 8 luglio 2012 – XIV Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal Libro del profeta Ezechiele (Ez 2,2-5)

In quei giorni, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava. Mi disse: «Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri si sono sollevati contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: “Dice il Signore Dio”. Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genìa di ribelli –, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro».

SECONDA LETTURA

Dalla seconda lettera di San Paolo ai Corinzi (2Cor 12,7-10)

Fratelli, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».
Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 6, 1-6)

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

COMMENTO ALLE LETTURE

Anziché il termine «paese», Marco preferisce il termine «patria», parola più ricca di vocazioni affettive e più ampia di significato: l'episodio di Nazareth infatti non è circoscritto a un piccolo paese, ma prefigura il rifiuto dell'intero Israele. Gli ascoltatori di Gesù passano dallo stupore iniziale allo scandalo. Lo stupore è un atteggiamento di partenza, l'atteggiamento di chi resta colpito e quindi costretto ad interrogarsi, ma è un atteggiamento ancora neutrale che può sfociare sia nella fede sia nell'incredulità. La sapienza delle parole di Gesù e la potenza delle sue mani suscitano importanti interrogativi (che Marco intende porre a ogni lettore): qual è l'origine di questa sapienza e di questa potenza? Chi è quest'uomo? La risposta sembra ovvia: quest'uomo viene da Dio. Ma questa risposta ovvia è impedita da una constatazione che va in senso contrario: «Non è costui il carpentiere?». Di qui lo scandalo, parola che indica un ostacolo alla fede, qualcosa che impedisce ragionevolmente di credere. Ciò che impedisce ai nazaretani di credere è proprio la persona di Gesù, la sua concreta fisionomia, le sue umili origini, il suo modo umile di apparire fra noi. Comprendiamo la difficoltà degli abitanti di Nazareth: la presenza di Dio non dovrebbe essere più luminosa, più importante? Come è possibile che un inviato di Dio si presenti nelle vesti di un falegname? Come si vede, il rifiuto può trovare la sua ragione persino nel desiderio (apparente) di difendere la grandezza di Dio: così, appunto, gli abitanti di Nazareth. È invece il segno di una profonda incredulità, come l'evangelista annota: «E si meravigliava della loro incredulità». Per il Vangelo l'incredulità non è soltanto la negazione di Dio (non è questo il caso dei nazaretani), ma l'incapacità di riconoscere Dio nell'umiltà dell'uomo Gesù, il suo appello nella voce di un uomo che sembra essere troppo uomo. Dio è certamente grande, ma spetta a lui scegliere i modi di manifestare la sua grandezza! Di fronte al rifiuto dei nazaretani Gesù cita un proverbio, ampiamente confermato dall'intera storia biblica: il popolo di Dio ha sempre rifiutato i suoi profeti. Il rifiuto che Gesù incontra fa parte dunque del destino dei profeti, e tuttavia non è un fatto scontato, e Gesù se ne meraviglia. Capita sempre che i profeti siano rifiutati dal loro popolo, ma bisogna continuare a meravigliarsi: la meraviglia di scoprire una così grande incredulità in chi si pensa credente. ( da un’omelia di don B. Maggioni)