mercoledì 31 ottobre 2012

Domenica 4 novembre 2012 – XXXI Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal libro del profeta Deuternomio (Dt 6, 2-6)

Mosè parlò al popolo dicendo: «Temi il Signore, tuo Dio, osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, il tuo figlio e il figlio del tuo figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi che io ti do e così si prolunghino i tuoi giorni. Ascolta, o Israele, e bada di metterli in pratica, perché tu sia felice e diventiate molto numerosi nella terra dove scorrono latte e miele, come il Signore, Dio dei tuoi padri, ti ha detto. Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore».

SECONDA LETTURA

Dalla lettera agli Ebrei (Eb 7, 23-28)

Fratelli, [nella prima alleanza] in gran numero sono diventati sacerdoti, perché la morte impediva loro di durare a lungo. Cristo invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore. Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli. Egli non ha bisogno, come i sommi sacerdoti, di offrire sacrifici ogni giorno, prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo: lo ha fatto una volta per tutte, offrendo se stesso. La Legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti a debolezza; ma la parola del giuramento, posteriore alla Legge, costituisce sacerdote il Figlio, reso perfetto per sempre.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 12, 28-34)

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi». Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

COMMENTO ALLE LETTURE

All'interrogativo dello scriba, Gesù risponde citando due testi che ricorrono nella meditazione di Israele: un passo del Deuteronomio («Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua forza»), e un passo del Levitico («Amerai il tuo prossimo come te stesso»). I doveri dell'uomo sono certamente molti, ed è giusto che lo siano. Tuttavia Gesù invita l'uomo a non smarrirsi nel labirinto dei precetti: l'essenza della volontà di Dio è semplice e chiara: amare Dio e gli uomini. È giusto che la legge si occupi dei molti e svariati casi della vita, a patto però che non perda di vista quel centro, che dà vita e slancio a tutta l'impalcatura. Questo centro è l'amore.
Gesù risponde allo scriba che il primo dei comandamenti non è uno solo, ma due, però strettamente congiunti, come due facce della stessa realtà. È nella capacità di mantenere uniti i due amori - l'amore a Dio e l'amore al prossimo - la misura della vera fede e della genialità cristiana. C'è chi per amare Dio si estranea dagli uomini, e c'è chi per lottare a fianco degli uomini dimentica Dio. L'esperienza biblica si dice convinta che questi due atteggiamenti introducano nell'esistenza degli uomini una profonda menzogna.
Se dici di amare Dio e trascuri il prossimo, non reagisci di fronte alle ingiustizie e non lotti contro le oppressioni, a quale Dio ti riferisci? Non certo al Dio di Gesù Cristo. E se dici di amare il prossimo e di essere al suo servizio, ma poi rifiuti di amare l'unico Signore, allora - pensa sempre la Bibbia - cadrai facilmente in potere degli idoli, e mentre pensi di amare il prossimo ti accorgi che lo stai strumentalizzando: pretendi di liberarlo imponendogli le tue idee, la tua visione del mondo, la tua giustizia.
Senza dire - e questo è, in un certo senso, ancora più grave - che proprio mentre vuoi aiutare l'uomo ad essere più uomo, rischi che lo allontani dal suo bisogno più profondo, dalla sua ricerca più essenziale che è - appunto - la ricerca di Dio.
L'evangelista Marco riporta alcune parole che invece Matteo e Luca tralasciano: «Ascolta, Israele, il Signore Dio nostro è l'unico Signore». Dio è l'unico Signore, Lui solo è da adorare. Il prossimo è da amare, ma non da adorare. La dedizione al prossimo non esaurisce la sete di amore dell'uomo. È l'apertura a Dio che conduce a compimento l'apertura al prossimo. È Dio infatti il punto a cui il nostro essere tende, del quale abbiamo un'insopprimibile nostalgia, come il seme tende con tutto se stesso a uscire dalla terra. (da un'omelia di don B. Maggioni)

Domenica 28 ottobre 2012 – XXX Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal libro del profeta Geremia (Ger 31, 7-9)

Così dice il Signore: «Innalzate canti di gioia per Giacobbe, esultate per la prima delle nazioni, fate udire la vostra lode e dite: “Il Signore ha salvato il suo popolo, il resto d’Israele”. Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione e li raduno dalle estremità della terra; fra loro sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente: ritorneranno qui in gran folla. Erano partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni; li ricondurrò a fiumi ricchi d’acqua per una strada dritta in cui non inciamperanno, perché io sono un padre per Israele, Èfraim è il mio primogenito».

SECONDA LETTURA

Dalla lettera agli Ebre (Eb 5, 1-6)

Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il popolo. Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato», gliela conferì come è detto in un altro passo:
«Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek».

VANGELO

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 10, 46-52)

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

COMMENTO ALLE LETTURE

E' questo l'ultimo miracolo del Vangelo di Marco, e già questo lo rende importante. Il primo miracolo fu la liberazione di un indemoniato nella sinagoga di Cafarnao, l'ultimo la guarigione di un cieco all'uscita di Gerico. Non sono due gesti casuali, ma scelti con intenzione. Illustrano la vittoria di Cristo sulle due forze ostili che la presenza di Dio incontra nella storia degli uomini: la presenza del Maligno e la cecità dell'uomo.
L'episodio del cieco Bartimeo è un racconto vivacissimo, come del resto molti altri del secondo Vangelo. Marco è un narratore che ha il gusto del racconto. Il tema dell'episodio è certamente la sequela, ma i discepoli sembrano scomparire. Protagonisti sono Gesù e il cieco. E fra i discepoli e il cieco il lettore è invitato a fare un confronto. I discepoli - come è apparso negli episodi raccontati nelle domeniche precedenti - sembrano impersonare la perplessità, l'esitazione e l'incomprensione di fronte alle richieste di Gesù. Bartimeo, invece, «subito riacquistò la vista e si mise a seguirlo lungo la strada». Il modello da imitare sembra dunque essere lui, non i discepoli.
Alla domanda dei discepoli («Se è così, chi si può salvare?») Gesù aveva risposto: «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio; tutto è possibile a Dio». L'episodio di Bartimeo è un'illustrazione di questa risposta. Il possibile non si misura sulle forze dell'uomo, ma sulla grandezza del dono di Dio. E difatti il racconto ci fa assistere a una completa e impensabile trasformazione: un uomo era cieco e ora ci vede, era seduto e ora segue Gesù lungo la via. La lezione è chiara: la potenza di Dio - che Gesù aveva già suggerito ai discepoli come l'unica possibilità di salvezza - ha saputo trasformare un uomo impotente in un discepolo coraggioso. Ma a due condizioni: la preghiera («Gesù, abbi pietà di me») e la fede («Va, la tua fede ti ha salvato»).
Il vangelo di Marco sviluppa con notevole insistenza il tema della cecità dei discepoli. Due le forme della cecità. La prima è che il discepolo ha visto la potenza di Gesù, magari ne racconta i prodigi, ma non se ne fida: nelle difficoltà della vita non la prende in considerazione, e cade nell'ansia, come se l'avesse dimenticata. E la seconda: di fronte alla via della Croce il discepolo vede soltanto l'insuccesso, il fallimento, non la risurrezione. L'uomo ha bisogno che il Cristo gli apra gli occhi per scoprire nella vita la forza della potenza di Dio e l'efficacia della via della Croce. (da un'omelia di don B. Maggioni)

Domenica 21 ottobre 2012 – XXIX Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal libro del profeta Isaia (Is 53,10-11)

Il Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera agli Ebre (Eb 4, 14-16)

Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 10, 35-45)

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

COMMENTO ALLE LETTURE

Il brano evangelico di questa domenica non fa un discorso nuovo. Riprende parole che Gesù ha già detto («Chi vuole essere grande si faccia servo di tutti»), che però i discepoli continuano a non comprendere, come appare dalla loro richiesta («Vogliamo sedere uno alla tua destra e uno alla tua sinistra»). Se non è nuovo il tema, sono però nuove l'ampiezza e l'insistenza con cui è ribadito. Per far comprendere il suo pensiero ai discepoli, Gesù si serve di due paragoni, uno negativo e uno positivo. Non esercitate la vostra autorità come fanno i principi del mondo (questo è il paragone negativo): se vi accorgete che il vostro comportamento assomiglia al loro, impensieritevi. Comportatevi invece come «Il figlio dell'uomo (ecco il paragone positivo) che non è venuto a farsi servire, ma a servire e dare la propria vita in riscatto per le moltitudini». È questa frase il punto di forza dell'intero insegnamento: una frase che va molto al di là del semplice esercizio dell'autorità. Una sua analisi attenta ci permette di parafrasarla in questo modo: il Figlio dell'uomo non è venuto a farsi servire (come invece il mondo, i cui insegnamenti sono capovolti rispetto a quelli evangelici, si sarebbe aspettato), ma a servire, e servire significa organizzare la propria intera esistenza in modo da prendersi a carico (se necessario fino al completo dono di sé) le moltitudini, cioè tutti. L'espressione «in riscatto» non va intesa anzitutto come se significasse «per saldare il debito», bensì come «solidale con» o «al posto di»: cioè l'idea prevalente non è quella del debito, che deve assolutamente essere pagato, costi quello che costi, bensì l'idea della solidarietà che intercorre tra il Figlio dell'uomo e le moltitudini (Gesù, in altre parole, si è considerato come il nostro parente che si sente coinvolto e prende sulle proprie spalle la situazione del congiunto). Il Figlio dell'uomo è venuto per vivere questa solidarietà, divenendo in tal modo la trasparenza visibile, toccabile con mano, dell'amore di Dio e della sua alleanza. Ed è questa stessa solidarietà che il discepolo deve a sua volta vivere, se vuole essere seguace del proprio Maestro. È questo che i discepoli devono chiedere. Un'ultima osservazione. Per Gesù solo se si parte dall'esistenza si può cambiare l'esercizio dell'autorità. Non è dissertando sulla natura dell'autorità che si risolve il problema, ma mutando il modo di considerare la vita. Perché le cose sono legate. L'autorità che tu eserciti grande o piccola che sia sarà un vero prendere a carico le cose degli altri, se tutta la tua vita è pensata come servizio. Altrimenti, se pensi la vita come un possesso, a tuo vantaggio, fatalmente anche l'autorità che tu eserciti (nella casa, nella professione, nella politica o nella Chiesa) sarà un potere: ne approfitterai a tuo vantaggio. (da un'omelia di don B. Maggioni)

martedì 9 ottobre 2012

Domenica 14 ottobre 2012 – XXVIII Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal libro della Sapienza (Sap 7, 7-11)

Pregai e mi fu elargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito di sapienza. La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto, non la paragonai neppure a una gemma inestimabile, perché tutto l’oro al suo confronto è come un po’ di sabbia e come fango sarà valutato di fronte a lei l’argento. L’ho amata più della salute e della bellezza, ho preferito avere lei piuttosto che la luce, perché lo splendore che viene da lei non tramonta. Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera agli Ebre (Eb 4, 12-13)

La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore. Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 10, 17-30)

In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».

COMMENTO ALLE LETTURE

Gesù chiama al suo seguito un uomo giusto, ma anche il giusto ha un distacco da fare. La sequela è qualcosa di più del semplice adempimento della legge. Giustizia e sequela non si identificano. Il giovane non trova il coraggio di abbracciare il progetto di vita evangelico, e il motivo è detto con chiarezza: «poiché aveva molti beni». Il distacco dai beni è condizione indispensabile per la sequela. E per due ragioni. Un'esigenza di fraternità: come puoi continuare a possedere tutto ciò che hai, quando ti accorgi che attorno a te ci sono fratelli che mancano del necessario? E un'esigenza di libertà: legato a troppe cose (e non si tratta soltanto di soldi), che assorbono tutto il tuo tempo e la tua attenzione, come puoi trovare lo spazio e il gusto per le cose di Dio? La durezza delle richieste di Gesù e la severità del suo giudizio sulle ricchezze (un giudizio ribadito due volte, come in un crescendo) suscitano nei discepoli paura e perplessità: «E chi mai si può salvare?». La risposta di Gesù salta come sempre i passaggi intermedi e va al nocciolo della questione: ciò che non è possibile raggiungere con le sole forze dell'uomo può essere possibile ricevere come dono di Dio. I discepoli hanno in un certo senso ragione: se queste sono le esigenze del Regno, non è possibile all'uomo salvarsi. Ma essi commettono l'errore di considerare il problema da una prospettiva sbagliata: la prospettiva della conquista anziché del dono, dell'uomo abbandonato a se stesso anziché dell'uomo animato dallo Spirito di Dio. Non c'è modo di salvarsi, ma c'è modo di essere salvati. Se così, tutto si riduce a una questione di fede. Il discepolo ha un secondo interrogativo da porre: se lascio tutto, che cosa avrò? (10,28). L'interrogativo tradisce il timore che il distacco richiesto sia un prezzo troppo alto da pagare. La risposta di Gesù non potrebbe essere più netta, quasi una sfida: la vita eterna nel futuro e il centuplo nel tempo presente. Il discepolo parla di «lasciare e seguire», Gesù di «lasciare e ricevere». Il distacco richiesto è un guadagno, un affare, non una perdita. E questo è profondamente vero anche a uno sguardo semplicemente umano: nella sobrietà di quei beni che il Vangelo chiama ricchezze si trova la possibilità di altri beni ben più importanti ed umani, essenziali per l'uomo come l'aria che respira: il tempo per Dio, la gioia della fraternità, la liberazione dall'ansia del possesso, la libertà, la serenità. (da un'omelia di don B. Maggioni)

Domenica 7 ottobre 2012 – XXVII Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal libro della Genesi (Gen 2,18-24)

Il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo.
Allora l’uomo disse: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne.
La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta». Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera agli Ebre (Eb 2, 9-11)

Fratelli, quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti. Conveniva infatti che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza. Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 10, 2-12)

In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».

COMMENTO ALLE LETTURE

Gesù è incamminato verso Gerusalemme e verso la Croce, ed è in questo contesto che Marco raggruppa gran parte degli insegnamento di Gesù ai discepoli. Dopo un'istruzione sul servizio, sull'accoglienza e sullo scandalo, ecco un'istruzione sul matrimonio e sui piccoli. Come tutte le altre volte in cui è coinvolto in un dibattito, Gesù supera i termini angusti in cui gli uomini pongono il problema e va alla radice. Nel nostro caso, non si chiede come deve essere interpretato di preciso il passo di Mosè, bensì si chiede quale sia l'intenzione fondamentale di Dio alla quale bisogna ispirarsi al di là di ogni casistica e di ogni interpretazione che la tradizione ha forse via via accumulato. Non basta appellarsi alle tradizioni, bisogna valutarle in base a quella intenzione iniziale che le ha generate e che esse a modo loro e per il loro tempo (ma spesso anche pagando il tributo alla debolezza degli uomini e alla loro poca fede) hanno cercato di esprimere. È un principio che vale anche per le Scritture: tutto è parola di Dio, ma c'è testo e testo. Gesù non pone sullo stesso piano Genesi e Deuteronomio: il primo rivela l'intenzione profonda di Dio, il secondo paga un tributo alla durezza di cuore degli uomini. Per Gesù l'intenzione profonda a cui il matrimonio deve rifarsi è l'Alleanza, o se preferiamo la «fedeltà senza tentennamenti». È la medesima fedeltà che Gesù sta vivendo nella sua scelta messianica e che lo porterà sulla Croce: una fedeltà definitiva e senza pentimenti, un'alleanza senza compromessi. Unendosi alla sua donna, l'uomo deve portare tutto se stesso, giocandosi completamente e definitivamente. Ecco perché e a quali condizioni il matrimonio diventa veramente una «sequela», cioè un luogo in cui l'amore del Cristo, la sua fedeltà, il suo servizio, in una parola il «cammino» che egli ha percorso, tornano a trasparire.
Ma nel Vangelo di questa domenica c'è anche un secondo esempio: Gesù, a differenza dei suoi discepoli, accoglie i bambini. Con questo non soltanto si oppone alla mentalità del tempo, ma addirittura anche alla mentalità dei discepoli: l'episodio tradisce infatti uno scontro: «I discepoli li sgridarono... Gesù vedendo ciò, si indignò...». Con grande meraviglia dei discepoli, Gesù accoglie i bambini: perde tempo con loro. La serietà del suo cammino verso Gerusalemme non distrae Gesù dai piccoli. Egli non ha cose più importanti da fare. (da un'omelia di don B. Maggioni)

Domenica 23 settembre 2012 – XXV Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal libro della Sapienza (Sap 2,12.17-20)

[Dissero gli empi:] «Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d’incomodo e si oppone alle nostre azioni; ci rimprovera le colpe contro la legge e ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta. Vediamo se le sue parole sono vere, consideriamo ciò che gli accadrà alla fine. Se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti, per conoscere la sua mitezza e saggiare il suo spirito di sopportazione. Condanniamolo a una morte infamante, perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà».

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di San Giacomo Apostolo (Giac 3,16-4,3)

Fratelli miei, dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni. Invece la sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia. Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 9,30-37)

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

COMMENTO ALLE LETTURE

Il brano di Marco è un annuncio della Passione e poi un insegnamento ai discepoli. Gesù rivela ai discepoli il suo destino, ma i discepoli non comprendono. Gesù replica invitandoli a percorrere anch'essi il suo stesso cammino. Preannuncio della Croce e insegnamento sul comportamento dei discepoli costituiscono dunque un unico discorso che potremmo intitolare: la Croce di Gesù e le sue conseguenze per il discepolo. Farsi servo e accogliere i piccoli nel suo nome - i due comportamenti che Gesù suggerisce alla sua comunità - sono due modi concreti, due esempi di imitazione del Signore Crocifisso. «Se uno vuole essere il primo, si consideri l'ultimo di tutti e si faccia il servo di tutti»: ecco una di quelle frasi evangeliche che non cessano mai di stupirci: chiare, incisive e dure. Da quando il Figlio di Dio è entrato nella nostra storia e ha percorso la via della Croce tutti i criteri della priorità si sono capovolti: la dignità di una persona non sta nel posto che occupa, nel lavoro che svolge, nelle cose che possiede, nel successo che ottiene: la grandezza si misura unicamente sullo spirito di servizio. Per il cristiano resta fermo che il modello di ogni forma di servizio è sempre e solo Gesù Cristo. Dopo il servizio - e come esempio di servizio - l'accoglienza: Marco utilizza il verbo «accogliere» in diverse occasioni e con diverse sfumature, tutte però in qualche modo convergenti: c'è l'accoglienza (o il rifiuto) del missionario, c'è l'accoglienza della Parola, c'è l'accoglienza del Regno, c'è l'accoglienza dei piccoli. Accogliere significa ascoltare, rendersi disponibili, ospitare: soprattutto richiede la capacità di lasciarsi «sconvolgere» (nelle proprie abitudini e nei propri schemi) dalla Parola, o dal missionario, o dal piccolo che si accoglie, e la capacità di porsi al suo servizio. L'accoglienza è, ovviamente, generale, verso tutti: se non fosse così, saremmo in contraddizione con quanto Gesù ci ha detto sul servizio («servo di tutti»). Tuttavia qui si parla dei «bambini», che nel Vangelo - come si sa - sono il simbolo dei trascurati, di quelli che non contano e che nessuno accoglie. La preferenza è per loro. Gesù li ha cercati, ha avuto per loro tempo, parole e amore: non ha mai ritenuto di avere qualcosa di più importante, o urgente, da fare. È l'accoglienza dei «piccoli» la verifica dell'autenticità del nostro servizio e della nostra ospitalità. (da un'omelia di don B. Maggioni)

Domenica 16 settembre 2012 – XXIV Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal libro del Profeta Isaia(Is 50,5-9a)

Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso. È vicino chi mi rende giustizia: chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci. Chi mi accusa? Si avvicini a me.
Ecco, il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole?

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di San Giacomo Apostolo(Giac 2,14-18)

A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede».

VANGELO

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 8,27-35)

In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».

COMMENTO ALLE LETTURE

Il brano evangelico di questa domenica è al centro dell'intero racconto di Marco (conclude la prima parte del Vangelo e apre la seconda) ed è importante per più di un motivo. Gesù stesso pone esplicitamente l'interrogativo che secondo l'evangelista ogni lettore è a questo punto obbligato a porsi: «Chi dicono che io sia?». La risposta della gente non afferra la novità di Gesù e lo allinea con gli altri profeti. La risposta di Pietro è precisa e riconosce con chiarezza la messianicità di Gesù. Un punto di arrivo, dunque, E tuttavia c'è un altro passo da compiere. Dire che Gesù è Messia è esatto ma incompleto: c'è sempre il pericolo di pensare la sua messianicità secondo il pensiero degli uomini. È la via della Croce che completa il discorso, chiarificandolo. Quando Pietro gli dice: «Tu sei il Cristo», Gesù sente il bisogno di precisare: «Sono il Figlio dell'uomo che deve molto soffrire». Nella prima parte del nostra passo Pietro assolve un compito positivo: è il portaparola dei discepoli ed esprime a nome del gruppo la sua fede in Gesù. Nella seconda parte assume un ruolo negativo: tenta di allontanare Gesù dalla via della Croce. Il discepolo è pronto a riconoscere la messianicità di Gesù ma non ne condivide la direzione. Insisto: non è in gioco la messianicità, ma piuttosto la sua modalità concreta, la sua prassi, oserei dire la sua pastorale. Ed è questo il punto, lo spartiacque tra fede e non fede, mentalità cristiana e mentalità mondana: «Ragioni secondo gli uomini». Il tentativo di Pietro di distoglierlo dalla Croce è rimproverato da Gesù in due modi: come un'espressione dell'opposizione del mondo al disegno di Dio e, più profondamente, come un'espressione della tentazione di Satana. La sottile tentazione di Satana è il tentativo di distogliere dalla via tracciata da Dio (la via della Croce) per sostituirla con una via elaborata dalla saggezza degli uomini. Cristo ha smascherato questa sottile tentazione e la sua vita è stata un continuo sì a Dio e un no al tentatore. Gesù ha vinto Satana. Tuttavia Satana ha ancora una possibilità, cercare di ottenere dal discepolo ciò che non è riuscito ad ottenere da Cristo: separare il Messia dal Crocifisso, la fede in Gesù dalla pastorale della Croce. Dopo aver precisato la sua identità e dopo aver smascherato la presenza della tentazione, Gesù si rivolge ai discepoli e alla folla e con molta chiarezza propone loro il suo stesso cammino. Non ci sono due vie, una per Gesù e una per la Chiesa, ma una sola: «Chi vuole venire dietro me rinneghi se stesso e prenda la sua croce». (da un'omelia di don B.Maggioni)

Domenica 9 settembre2012 –XXIII Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal libro del Profeta Isaia(Is 35,4-7a)

Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! ecco il vostro Dio,giunge la vendetta,la ricompensa divina.Egli viene a salvarvi».Allora si apriranno gli occhi dei ciechie si schiuderanno gli orecchi dei sordi.Allora lo zoppo salterà come un cervo,griderà di gioia la lingua del muto,perché scaturiranno acque nel deserto,scorreranno torrenti nella steppa.La terra bruciata diventerà una palude,il suolo riarso sorgenti d’acqua.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di San Giacomo Apostolo(Gc21,1-5)

Fratelli miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali. Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi?Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?

VANGELO

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 7,31-37)

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

COMMENTO ALLE LETTURE

Per comprendere il Vangelo di questa domenica è anzitutto necessario osservare per esempio l'annotazione geografica che introduce l'episodio: Gesù si trova nel territorio della Decapoli, cioè in una regione pagana. Il racconto acquista in tal modo il significato di universalità. Il miracolo è in favore di una persona che, secondo la concezione del tempo, avrebbe dovuto essere esclusa dalla salvezza, o per lo meno avrebbe dovuto essere raggiunta in un secondo momento: prima gli ebrei, poi i pagani. L'evangelista ci fa comprendere che il «prima» e il «poi» appartengono alla grettezza dell'uomo, non all'amore di Dio. Lo sguardo rivolto al cielo - lo stesso gesto che Gesù ha compiuto alla moltiplicazione dei pani - indica la preghiera. Alle volte Gesù compie i miracoli con l'autorità della sua Parola, per così dire a nome proprio, dimostrando in tal modo di non essere semplicemente un profeta di Dio, ma Dio egli stesso. Alle volte invece, come nel nostro caso, Gesù ricorre alla preghiera, per insegnarci che la salvezza è un puro dono della grazia di Dio: un dono da chiedere, non da pretendere. Il comando di non divulgare il fatto è nel Vangelo di Marco un tratto quasi abituale. Con questo l'evangelista ci insegna due cose: la prima è che il tempo messianico è arrivato; la seconda è che per intendere nel giusto modo la vera natura della messianità di Cristo non bastano i miracoli, occorre attendere la sua passione e la sua Croce.Ma i fatti parlano da soli, e più Gesù vuole che rimangano segreti e più si diffondono. La reazione della folla è di immenso stupore: l'espressione greca parla di una meraviglia tanto intensa che non troviamo in nessuna altra parte del Vangelo. Una meraviglia che non sembra nascere unicamente da questo episodio particolare, ma dall'intera azione di Gesù: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti». Queste parole della folla - che sono un vero e proprio giudizio sull'intero operato di Cristo - sono una citazione del profeta Isaia (la prima lettura della messa): «Dite agli scoraggiati: coraggio, non abbiate paura, ecco il vostro Dio, Egli viene a salvarvi; si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi, lo zoppo salterà come un cervo e la lingua di muto griderà di gioia». La folla scorge dunque nel miracolo il segno che le profezie si sono compiute. Gesù è il salvatore atteso. Ma le parole della folla alludono anche al racconto della creazione: «Iddio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono». Il miracolo compiuto da Gesù è il segno che sta iniziando una nuova creazione.(da un'omelia di don B.Maggioni)

Domenica 2 settembre 2012 – XXII Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal libro del Deuteronomio (Dt 4,1-2.6-8)

Mosè parlò al popolo dicendo: «Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi. Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo. Le osserverete dunque, e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: “Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente”. Infatti quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? E quale grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione che io oggi vi do?».

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di San Giacomo Apostolo (Giac 1,17-18.21-22.27)

Fratelli miei carissimi, ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce: presso di lui non c’è variazione né ombra di cambiamento. Per sua volontà egli ci ha generati per mezzo della parola di verità, per essere una primizia delle sue creature. Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi. Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 7,1-8.14-15.21-23)

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

COMMENTO ALLE LETTURE

Nel lungo racconto di Marco Gesù si rivolge a diversi interlocutori: dapprima Gesù e i farisei, poi Gesù e la folla, infine Gesù e i discepoli. Questo mutamento di interlocutori vuole significare che le parole di Gesù non sono soltanto una risposta alla domanda degli scribi («Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi?»), ma anche un insegnamento per chiunque, in particolare per la comunità cristiana. Anzi, se si guarda ancor meglio, ci si accorge che l'intenzione dell'evangelista non è semplicemente di proporci un insegnamento, ma anche di sottolineare la cecità e la non intelligenza degli stessi discepoli: «Siete anche voi così privi di intelletto?». Dunque, non un giudizio sui difetti degli altri, ma un avvertimento per noi. C'è una prima importante affermazione, tanto importante che è ribadita tre volte: «Trascurate il comandamento di Dio per attaccarvi alla tradizione degli uomini»; «Davvero eludete il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione»; «Rendete vana la parola di Dio per osservare la vostra tradizione che voi avete tramandato». Per tradizioni degli uomini qui si intendono le tradizione «religiose», cioè quei precetti e consigli che gli uomini hanno escogitato, di epoca in epoca, per tradurre nel concreto il comandamento di Dio e per applicarlo ai vari casi della vita. Uno sforzo doveroso e irrinunciabile, sul quale tuttavia occorre vigilare: c'è infatti il rischio che le molte tradizioni con le quali si vuole circondare di venerazione il comando di Dio e applicarlo ai molteplici casi della vita finiscano col far perdere di vista l'essenziale; o il rischio di dimenticare che le tradizioni degli uomini possono andar bene in un'epoca e non necessariamente in un'altra, legate come sono al mutare delle situazioni. C'è una seconda affermazione importante: «Dichiarava mondi tutti gli elementi». I farisei solevano purificarsi prima della preghiera, evitavano pagani e peccatori, si lavavano scrupolosamente le mani prima dei pasti, compivano abluzioni al ritorno dal mercato, distinguevano fra cibi puri ed impuri. Gesù abolisce tutto questo. Anch'egli parla di purificazione, ma in un altro senso. Le molte osservanze esteriori possono far dimenticare ciò che più conta: la rettitudine, la giustizia e l'amore. E' una seconda forma palese di ipocrisia: si cura l'esterno e si dimentica l'interno. Si combatte il male dove non c'è per evitare di cercarlo là dove veramente esso si annida, cioè dentro di noi. Ed ecco una terza affermazione importante: non è ciò che entra nell'uomo che lo contamina, ma ciò che esce dal suo cuore. Nel linguaggio biblico il cuore è il luogo delle decisioni, dove avviene la scelta fra il bene e il male, fra Dio o noi stessi. Il primo dovere dell'uomo è di tenere in ordine il cuore. (da un'omelia di don B.Maggioni)