domenica 30 gennaio 2011

Domenica 6 Febbraio 2011 - V Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal Libro del Profeta Isaia (Is 58, 7-10)

Così dice il Signore: “Spezza il tuo pane con l’affamato, introduci in casa i miseri, senza tetto, vesti chi è nudo, senza distogliere gli occhi dalla tua gente. Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto.
Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà; implorerai aiuto ed egli dirà: Eccomi!
Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se offrirai il pane all’affamato, se sazierai chi è digiuno, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua oscurità sarà come il meriggio”.

SECONDA LETTURA

Dalla prima lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi (1 Cor 2, 1-5)

Io, o fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso. Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5, 13-16)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli”.

COMMENTO ALLE LETTURE

Gesù dice ai discepoli che sono sale della terra e luce del mondo. Siamo ancora all'inizio della predicazione evangelica, e senza dubbio i discepoli non possono vantare una esemplare condotta da "uomini delle beatitudini".

E tuttavia Gesù insiste: "Se il sale perde il sapore, con che cosa lo si potrà rendere salato?". In questo interrogativo è nascosta una domanda di responsabilità. Gesù sembra dire: "Non ho altro che voi per l'annuncio del Vangelo", oppure: "Se il vostro comportamento è insipido e senza gusto, non ho altro rimedio per l'annuncio evangelico".

È quel che accade se la lucerna accesa viene posta sotto il secchio (a volte, rovesciato, serviva anche da mensola).

Anche in questo caso non c'è rimedio, si resta al buio. Tutto ciò non era vero solo allora, lo è altrettanto oggi. La funzione di essere sale della terra e luce del mondo non deve essere mai disattesa. Ognuno di noi sa bene, di fronte a queste parole, di essere una povera persona. Davvero siamo poca cosa, rispetto al compito che ci viene assegnato e alla beatitudine che abbiamo ascoltato domenica scorsa.

Com'è possibile essere sale e luce? Non siamo tutti al di sotto della sufficienza? Ma il Vangelo insiste: "Voi siete il sale della terra". È vero, non lo siamo da noi stessi, ma solo se siamo uniti al vero sale e alla vera luce, Gesù di Nazareth. La luce non viene dalle doti personali. L'apostolo Paolo, scrivendo ai cristiani di Corinto, ricorda di non essersi presentato in mezzo a loro con sublimità di parole: "Io venni in debolezza e con molto timore e trepidazione". Eppure, malgrado la debolezza, il timore e la trepidazione, difende l'onestà del suo ministero: "Ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi, se non Gesù Cristo e questi crocifisso". La debolezza dell'apostolo non oscura la luce dell'annuncio, non diminuisce la forza della predicazione e della testimonianza. Al contrario, ne è un pilastro, e ne dà la ragione: "Perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana ma sulla sapienza di Dio". In queste parole c'è un profondo senso di liberazione. I discepoli di Gesù, a differenza di quel che avviene tra gli uomini, non sono condannati a nascondere davanti a Dio la loro debolezza e la loro miseria.

Il primo a non vergognarsi della nostra debolezza è proprio il Signore; la sua luce non è smorzata dalle nostre tenebre. Non c'è alcun disprezzo per l'uomo da parte del Vangelo; non c'è alcuna antipatia da parte del Signore. Paolo aggiunge: "chi si vanta, si vanti nel Signore"; il nostro vanto non è mai in noi stessi. La grazia di Dio rifulge nella nostra debolezza; non ce ne possiamo appropriare, ci supera sempre e non ci abbandona.

Aggiunge il Vangelo: "così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, che vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli". È l'invito che il Signore fa a noi perché diventiamo operatori del Vangelo. E il profeta spiega cosa questo significa: "spezza il tuo pane con l'affamato, introduci in casa i senza tetto, vesti chi è nudo senza distogliere gli occhi dalla tua gente".

È la carità, la luce del Signore. Essa è diretta soprattutto verso i poveri e i deboli, e nello stesso tempo non dimentica chi ci è vicino. Solo "allora – aggiunge il profeta – la tua luce sorgerà come l'aurora... allora brillerà fra le tenebre la tua luce".

Da un’omelia di Mons. Vincenzo Paglia

domenica 23 gennaio 2011

Domenica 30 Gennaio 2011 - IV Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal Libro del Profeta Sofonia (Sof 2,3; 3, 12-13)

Cercate il Signore voi tutti, poveri della terra, che eseguite i suoi ordini, cercate la giustizia, cercate l’umiltà; forse potrete trovarvi al riparo nel giorno dell’ira del Signore. «Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero». Confiderà nel nome del Signore il resto d’Israele. Non commetteranno più iniquità e non proferiranno menzogna; non si troverà più nella loro bocca una lingua fraudolenta. Potranno pascolare e riposare senza che alcuno li molesti.

SECONDA LETTURA

Dalla prima lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi (1 Cor 1, 26-31)

Considerate la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio. Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5, 1-12)

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

COMMENTO ALLE LETTURE

Gesù non ha soltanto pronunciato le beatitudini, ma le ha vissute.

Prima di descrivere l'ideale cristiano, le beatitudini descrivono la figura di Gesù, nei suoi comportamenti e nelle sue scelte. Nella formulazione di ciascuna beatitudine è visibile una tensione fra la prima e la seconda parte.

La prima è caratterizzata da situazioni negative (povertà, sofferenza, persecuzione), la seconda da situazioni positive (possesso del Regno, consolazione, visione di Dio).

Questo significa che le beatitudini non sono la promessa di interventi miracolosi che hanno lo scopo di cambiare le situazioni attuali. Le situazioni restano quello che sono. Le beatitudini offrono piuttosto un significato nuovo, suggeriscono criteri diversi di valutazione e di lettura.

C'è una sfida da raccogliere nelle beatitudini. Se mancasse, parleremmo di ideali, ma non di beatitudini. È la nota della gioia: beati! Quale gioia? Fondata su quale radice? C'è infatti gioia e gioia. La gioia delle beatitudini trova il suo fondamento nella certezza di un futuro felice, in comunione con Dio e dono di Dio, e insieme nella gioiosa scoperta che già ora è possibile pregustare un modo nuovo di vivere.

Il mondo pone il fondamento della propria gioia nel possesso dei beni, nel successo, o in altre cose simili. Tutti fondamenti fragili. Il Vangelo invita a porre il fondamento della propria gioia nell'amore di Dio, le cui promesse sono incrollabili e vittoriose, a dispetto di tutte le situazioni di crisi in cui l'uomo può venire a trovarsi.

La liturgia mette in primo piano la beatitudine della povertà, come appare dal ritornello del salmo responsoriale, dalla lettura di Sofonia e dallo stesso passo della prima lettera ai Corinti, dove Paolo dice che Dio si serve di quelli che non contano per confondere il mondo.

«Beati i poveri» implica certamente un invito a mettere al centro della propria attenzione i poveri. Il povero di spirito è colui che si fida di Dio, attende da Dio, ripone la sua fiducia unicamente in Dio. Come la intende Matteo la povertà di spirito non è riducibile a un astratto e generico distacco dai beni. Al contrario, è un atteggiamento concreto e pubblico, il cui contenuto è determinato dalle beatitudini successive: la costruzione della pace, la fame di giustizia, la misericordia, la limpidezza interiore. Tutti atteggiamenti concreti e attivi. Pur mettendo in primo piano atteggiamenti interiori e spirituali, Matteo non dimentica di invitare a un concreto e coraggioso impegno per la giustizia e la pace.

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni

domenica 16 gennaio 2011

Domenica 23 Gennaio 2011-III Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal Libro del Profeta Isaia (Is 8,23-9.3)

In passato il Signore umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti.
Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete
e come si esulta quando si divide la preda. Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva, la sbarra sulle sue spalle, e il bastone del suo aguzzino, come nel giorno di Mádian.

SECONDA LETTURA

Dalla prima lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi (1 Cor 1, 1-13.17)

Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire. Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «Io invece di Cefa», «E io di Cristo». È forse diviso il Cristo? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo? Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 4, 12-23)

Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: «Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta». Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono. Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.

COMMENTO ALLE LETTURE

Gesù inizia il suo ministero dopo aver saputo che «Giovanni era stato arrestato».

È un'annotazione che va oltre il semplice significato cronologico.

È già una prefigurazione della sorte che attende lo stesso Gesù: come tutti i profeti e come Giovanni Battista, anche Gesù subirà il martirio. Era logico aspettarsi che l'annuncio messianico partisse dal cuore del giudaismo, cioè da Gerusalemme, ed eccolo invece partire da una regione periferica, la Galilea, generalmente disprezzata e ritenuta contaminata dal paganesimo.

Ma proprio ciò che costituisce una sorpresa è per Matteo il compimento di un'antica profezia e il segno rivelatore del messianismo di Gesù: un messianismo universale che rompe con decisione ogni forma di particolarismo.

L'annuncio di Gesù - un annuncio abituale, ripetuto («da allora cominciò a predicare») - è riassunto da Matteo in una formula di estrema concisione: l'arrivo del Regno («il Regno di Dio è vicino») e l'imperativo morale che ne consegue («convertitevi»). L'episodio della chiamata dei primi discepoli è collocato sulla riva del lago, dove Gesù stava camminando e dove gli uomini erano intenti al loro lavoro.

L'appello di Dio raggiunge gli uomini nel loro ambiente ordinario, nel loro posto di lavoro. Nessuna cornice sacra per la chiamata dei primi discepoli, ma lo scenario del lago e lo sfondo della dura vita quotidiana.

I tratti essenziali di questo racconto sono quattro. Primo: la centralità di Gesù. Sua è l'iniziativa (vide, disse loro, li chiamò): non è l'uomo che si auto-genera discepolo, ma è Gesù che trasforma l'uomo in un discepolo. Il discepolo, poi, non è chiamato ad impossessarsi di una dottrina, neppure anzitutto a vivere un progetto di esistenza, ma a solidarizzare con una persona («seguitemi»). Al primo posto c'è l'attaccamento alla persona di Gesù. Secondo: la sequela esige un profondo distacco. Giacomo e Giovanni, Pietro e Andrea lasciano le reti, la barca e il padre. Lasciano, in altre parole, il mestiere e la famiglia. Il mestiere rappresenta la sicurezza e l'identità sociale, il padre rappresenta le proprie radici. Si tratta, come si vede, di un distacco radicale. Terzo: a partire dall'appello di Gesù, la sequela si esprime con due movimenti (lasciare e seguire) che indicano uno spostamento del centro della vita. L'appello di Gesù non colloca in uno stato, ma in un cammino. Quarto: le coordinate del discepolo sono due: la comunione con Cristo («seguitemi») e una corsa verso il mondo («vi farò pescatori di uomini»). La seconda nasce dalla prima.

Gesù non colloca i suoi discepoli in uno spazio separato, settario: li incammina sulle strade degli uomini.

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni

domenica 9 gennaio 2011

Domenica 16 Gennaio 2011 - II Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA

Dal Libro del Profeta Isaia (Is 49,3-5.6)

Il Signore mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria».
Ora ha parlato il Signore, che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele – poiché ero stato onorato dal Signore e Dio era stato la mia forza – e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele.
Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra».

SECONDA LETTURA

Dalla prima lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi (1 Cor 1, 1-3)

Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!

VANGELO

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 1, 29-34)

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

COMMENTO ALLE LETTURE

Prima della comunione il celebrante, mostrando l'ostia consacrata, dice: "Beati gli invitati alla Cena del Signore. Ecco l'Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo". Tutti hanno appena pregato con le parole: "Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi". Sono (con la sostituzione del singolare col plurale) le parole di Giovanni il Battista, che abbiamo ascoltato nel Vangelo.

È un'occasione per riflettere su quello che diciamo in questo momento della S. Messa.
Il termine che Giovanni (evangelista) impiega significa sia "togliere" che "prendere", e per capire la frase i due significati vanno tenuti insieme, perché fanno una sintesi teologica formidabile: Gesù è l'agnello che prende sopra di sé e in questo modo elimina il peccato del mondo. Egli si accolla il peso del nostro peccato, e così ci solleva da esso. Non è suo questo carico di morte e di peccato, lo assume liberamente, se lo prende per amore nostro.

Questo è il compito che Dio si è assunto.

E il nostro?

Se qualcuno si offre di prendersi il mio carico, cosa devo fare io se non... darglielo? Dare a Gesù, affidargli il mio carico di peccato e di morte: questo è il mio compito. Non devo vivere da solo il peccato e la morte, perché allora essi mi uccideranno.

Devo viverli insieme a lui, condividerli con l'agnello.

Spesso si pensa che per presentarsi a Dio occorra prima essere a posto, puliti; solo dopo ci si può accostare all'Agnello.

Errore!

Se fosse così, non ci sarebbe speranza di salvezza, perché lasciati soli rimarremmo schiacciati. È proprio mentre gemo sotto il peso del peccato e della morte che ho bisogno di incontrare uno che mi sollevi. Non nel mio essere forte e vittorioso, ma proprio nel mio essere inadeguato, debole, peccatore, ho bisogno di incontrare uno che abbia pietà di me! Il peccato più grande è l'incapacità di accogliere questa luce e proseguire a camminare nelle tenebre, come se l'Agnello di Dio non esistesse, senza affidargli il nostro peso, vivendo da soli il nostro peccato.

Ma noi diciamo: "Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi".

Il Battista lo esclamava quando vedeva Gesù venire verso di lui, noi quando Gesù viene verso di noi nel sacramento del pane e del vino. Perché lì c'è il sacrificio pasquale di Gesù; agisce nuovamente il momento nel quale lui prende su di sé fino in fondo la nostra spossatezza, il nostro male, se ne carica. Entrare in comunione con lui, fare la comunione, non può significare altro che rinnovare questo atto di affidamento di noi stessi e del nostro male a lui che viene a noi come agnello per prenderlo su di sé. Rischiamo di non renderci conto che c'è accanto a noi qualcuno disposto a prendersi il nostro carico. Accorgersene non è automatico: richiede un cammino. Così è stato per Giovanni Battista: "io prima non lo conoscevo". Poi ha visto il cielo aprirsi, ha compreso.

Nessuno può vedere al posto nostro, dobbiamo essere noi a saper vedere in profondità, a saper scoprire in Gesù l'Agnello di Dio che viene a prendere su di sé e distruggere il peccato nostro e del mondo. E gridare così in verità: "Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi!".

Da un’omelia di Don Marco Pratesi

domenica 2 gennaio 2011

Domenica 9 Gennaio 2011 - Battesimo del Signore

PRIMA LETTURA

Dal Libro del Profeta Isaia (Is 42,1-4.6-7)

Così dice il Signore: «Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni. Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità. Non verrà meno e non si abbatterà, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra, e le isole attendono il suo insegnamento. Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre».

SECONDA LETTURA

Dagli Atti degli Apostoli (At 10, 34-38)

In quei giorni, Pietro prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga. Questa è la Parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti. Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui».

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 3, 13-17)

In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».

COMMENTO ALLE LETTURE

Raccontando il battesimo di Gesù, l'evangelista parla dei cieli che si aprono e dello Spirito che discende, due tratti che rinviano a Isaia 63,19: «Se tu aprissi i cieli e discendessi! Davanti a te i monti tremerebbero». Con queste parole il profeta chiede a Dio di riaprire il cielo e di scendere in mezzo al popolo, così da ricondurlo verso la libertà.

Al battesimo il cielo si è riaperto.

Sottoponendosi al battesimo Gesù svela i due volti del suo mistero. Egli si presenta tra i peccatori e come loro riceve il battesimo in segno di penitenza. E nel contempo egli è dichiarato Figlio di Dio. In questa solidarietà di Gesù con la sorte dei peccatori si scorge già il germe della Croce, che lo porterà a prendere su di sé i peccati del mondo.

La scena del battesimo è anche descritta come una rivelazione su Gesù, sulla sua persona e sulla sua missione, che qui si inaugura. Questa rivelazione è soprattutto contenuta nelle parole della voce celeste che si riferiscono a Isaia 42,1-2 (prima lettura) e al Salmo 2. Gesù è dichiarato Figlio nel mentre gli è affidata una missione da compiere. La filiazione divina si manifesta nell'obbedienza. Naturalmente possiamo anche scorgere nel battesimo di Gesù la figura del battesimo cristiano. Anche nel battesimo cristiano si è proclamati figli di Dio, riempiti di Spirito Santo e si riceve una missione da compiere.

Può sorprendere il breve dialogo fra il Battista e Gesù. Dice Giovanni: «Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni a me?». Ma Gesù ribatte: «Lascia fare per ora, perché così conviene che adempiamo ogni giustizia». In questo breve dialogo si nasconde un significato profondo. L'evangelista pone a confronto due concezioni messianiche, quella del Battista che pensava il Messia soprattutto come un giudice severo, che avrebbe separato i giusti dai peccatori; e quella di Gesù che invece sottolinea l'aspetto della misericordia. Gesù viene a farsi battezzare insieme ai peccatori, come se fosse un peccatore. Il Battista resta dapprima sconcertato di fronte a questa inattesa figura, ma poi si piega alla volontà di Dio, come avrebbe dovuto fare l'intero giudaesimo, e come deve fare ogni uomo: abbandonare la propria concezione per accettare quella di Dio.

Non si trascuri il fatto che le parole di Gesù dette qui sono le sue prime dell'intero Vangelo: «È bene che venga compiuta ogni giustizia». Queste prime definiscono il suo atteggiamento profondo: Egli è venuto a compiere il piano di Dio e non si lascia in nessun modo separare da esso.

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni