domenica 26 dicembre 2010

Domenica 2 Gennaio 2011- II Domenica dopo Natale

PRIMA LETTURA

Dal Libro del Siracide (Sir 24, 1-4. 12-16)

La sapienza fa il proprio elogio, in Dio trova il proprio vanto, in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria. Nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca,
dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria, in mezzo al suo popolo viene esaltata, nella santa assemblea viene ammirata, nella moltitudine degli eletti trova la sua lode e tra i benedetti è benedetta, mentre dice: «Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine, colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbee prendi eredità in Israele, affonda le tue radici tra i miei eletti”. Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato, per tutta l’eternità non verrò meno. Nella tenda santa davanti a lui ho officiato e così mi sono stabilita in Sion. Nella città che egli ama mi ha fatto abitare e in Gerusalemme è il mio potere. Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso, nella porzione del Signore è la mia eredità, nell’assemblea dei santi ho preso dimora».

SECONDA LETTURA

Dalla Lettera di San Paolo Apostolo agli Efesini (Ef 1, 3-6.15-18)

Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. Perciò anch’io [Paolo], avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Giovanni (Forma breve Gv 1,1-5. 9-14)

In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio:a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue
né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.

COMMENTO ALLE LETTURE

Nella seconda domenica dopo Natale, Paolo introduce il motivo della speranza: «Possa Dio illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamato». La speranza, a cui Paolo qui accenna, non si identifica con la speranza mondana, bensì la converte profondamente, rinnovandola.

La prima novità è di fondarla non sulle previsioni degli uomini (quasi sempre molto insicure) ma sulla promessa di Dio di cui ti fidi totalmente.

La seconda novità è di sperare ciò che Dio ci ha promesso, cioè il trionfo dell'amore e della sua verità, non il trionfo di chi sa quali altre cose. Dio non sostiene le nostre speranze inutili o illusorie. Ma veniamo al prologo di Giovanni. Piena di speranza è un'affermazione che a prima vista sembrerebbe il contrario: «La luce splende nella tenebra, ma la tenebra non l'ha accolta». Si osservino anzitutto i tempi verbali. Per la luce si ricorre al presente («splende»), per il rifiuto della tenebra al passato («non l'ha accolta»). La luce brilla sempre, appartiene alla sua natura illuminare. Questo è il significato del presente. Per la tenebra invece un verbo al passato, per dire che si tratta di un fatto storico, non di una necessità. Un fatto che potrebbe esserci e non esserci, perché dipende dall'uomo e dalla sua libertà. Questo significa che nessuno può far cessare la luce che proviene da Cristo. Essa brilla sempre, ovunque. La tenebra può rifiutarla, ma non spegnerla. Il verbo greco che Giovanni adopera ha due significati: non accogliere, ma anche non trattenere. Il dramma è profondo, ma lo spazio della speranza è sempre aperto. Nel prologo c'è un'altra affermazione che, ancora più profondamente, costituisce il fondamento della speranza cristiana: «Il Verbo si è fatto carne». Carne è l'uomo nella sua caducità e nella sua debolezza. Per comprendere la forza di questa affermazione di Giovanni basta confrontarla con un'affermazione del profeta Isaia (40,6-8): «Ogni carne è come l'erba...l'erba secca, il fiore appassisce, ma la Parola di Dio rimane per sempre». Per il profeta tra la Parola di Dio e la caducità dell'uomo c'è un ma, che indica tutta la distanza fra l'inconsistenza dell'uomo e la solidità di Dio. Nel prologo di Giovanni, invece, il ma è scomparso. La solidità della Parola di Dio si è fatta carne, ciò che permane ha assunto ciò che è caduco. Nel cammino di ogni uomo e dell'intera umanità si è inserita una presenza che salva dalla vanità e dall' impermanenza.Inizio modulo

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni

lunedì 20 dicembre 2010

Domenica 26 Dicembre 2010 - Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

PRIMA LETTURA

Dal Libro del Siracide (Sir 3, 2-6. 12-14)

Il Signore ha glorificato il padre al di sopra dei figli e ha stabilito il diritto della madre sulla prole. Chi onora il padre espìa i peccati e li eviterà e la sua preghiera quotidiana sarà esaudita. Chi onora sua madre è come chi accumula tesori. Chi onora il padre avrà gioia dai propri figli e sarà esaudito nel giorno della sua preghiera. Chi glorifica il padre vivrà a lungo, chi obbedisce al Signore darà consolazione alla madre. Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo durante la sua vita. Sii indulgente, anche se perde il senno, e non disprezzarlo, mentre tu sei nel pieno vigore. L’opera buona verso il padre non sarà dimenticata, otterrà il perdono dei peccati, rinnoverà la tua casa.

SECONDA LETTURA

Dalla Lettera di San Paolo Apostolo ai Colossesi (Col 3, 12-21)

Fratelli, scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie! La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori. E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre. Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come conviene nel Signore. Voi, mariti, amate le vostre mogli e non trattatele con durezza. Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 2,13-15. 19-23)

I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio». Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino».
Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

COMMENTO ALLE LETTURE

In questo brano evangelico Giuseppe ha un ruolo centrale. Per tre volte riceve una indicazione di cammino, ed egli la segue. Egli si caratterizza per la sua docilità e la sua obbedienza.

Anche nel mistero dell'incarnazione era entrato non di propria iniziativa. Anzi, inizialmente aveva voluto ritrarsi, ripudiando in segreto la sua promessa sposa. Troppo alto era il mistero. Solo quando Dio gli aveva fatto capire la propria volontà, aveva deciso di entrare insieme a Maria in quella incredibile vicenda.
È un uomo aperto all'inaudito, all'impensabile, al nuovo; aperto alla Parola, quale si manifesta momento per momento; per questo ricorda molto Abramo. Matteo lo caratterizza per la sua obbedienza pronta, senza discussioni, senza clamore. Non parla, agisce.

Non "comunica", si mette in cammino. Dopo questo fatto, non ne sentiremo più parlare. Giuseppe ha ormai svolto la sua missione nel piano di Dio, prenderà il suo ultimo cammino, forse preceduto - anche questo - da un sogno. I sogni punteggiano il cammino di Giuseppe. Nei suoi sogni la sua interiorità resta sveglia e attenta. Questi sogni non esprimono solo la sua personalità, quello che sente, etc...; ma lo mettono in contatto, tramite la parte più profonda di se stesso, con Dio, di cui l'angelo è tramite. E Giuseppe segue queste indicazioni di cammino, senza "se" e senza "ma": si lascia condurre.

Che cosa possiamo imparare da san Giuseppe?

Per prima cosa l'attenzione alla propria interiorità profonda, laddove Dio parla. Bisogna imparare a scendervi, e a distinguere in essa la voce di Dio. Solo incontrando me stesso non in superficie, ma ad un livello più vero, posso incontrare Dio. Impariamo poi la docilità, la scioltezza nell'assecondare le indicazioni di Dio. Devo cercare Dio attraverso i fatti della mia esistenza, i suoi alti e anche i suoi bassi. Lasciarmi portare, non pretendere che essi corrispondano alle mie pianificazioni, credere che in essi Dio agisce, essere duttile, flessibile, nella fiducia che Dio cammina con me.

San Giuseppe preghi per noi, e ci ottenga questi doni preziosi.

Da un’omelia di Don Marco Pratesi

domenica 12 dicembre 2010

Domenica 19 Dicembre 2010 - IV Domenica di Avvento

PRIMA LETTURA

Dal Libro del Profeta Isaia (Is 7, 10-14)

In quei giorni, il Signore parlò ad Acaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto». Ma Àcaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». Allora Isaìa disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele».

SECONDA LETTURA

Dalla Lettera di San Paolo Apostolo ai Romani (Rm 1, 1-7)

Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore; per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome, e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo –, a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo!

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 1,18-24)

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.
Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

COMMENTO ALLE LETTURE

Nella domenica immediatamente prima del Natale, Matteo racconta – con la sobrietà che lo caratterizza – come avvenne la nascita di Gesù.

Ma non dice soltanto questo.

Almeno altre due cose sono importanti.

La prima: il lettore noterà, immagino con sorpresa, che qui e nell'intera narrazione dell'infanzia di Matteo, Maria e Giuseppe non dicono una parola. Strano e bellissimo. Maria è presente in tutte le scene dell'infanzia ma non dice una parola e non compie un gesto, come in ombra. Non occupa mai il posto centrale. La sua posizione è accanto al figlio, condividendone la situazione e il destino, il rifiuto e l'accoglienza. La nota essenziale del discepolato evangelico, soprattutto quella di Maria, è di essere alla sequela, ma sempre all'ombra del figlio. Giuseppe agisce e di lui l'evangelista racconta la delicatezza di non diffamare Maria, ma anche Giuseppe, non dice una parola. È l'obbediente, non il protagonista. La sua grandezza sta tutta, e soltanto, nell'obbedienza al Signore e nell'essere al servizio del bambino e di sua madre.

Una seconda cosa, che ancor più ci interessa, è che Gesù è chiamato Emmanuele, cioè Dio con noi. Probabilmente questo è il senso del nome misterioso che Dio rivelò a Mosè nella visione del roveto. Tale, almeno, è l'interpretazione che ne dà il profeta Isaia: «Allora il mio popolo conoscerà il mio nome. Comprenderà che io dicevo: Eccomi qua».

Il nome di Dio è Eccomi qua.

Un nome semplice e consolante. Dio è uscito dalla sua lontananza e dalla sua invisibilità, facendosi visibile e concreto, raggiungibile. Venuto fra noi in forma umana, il Figlio di Dio vuole che si continui a cercarlo fra gli uomini e che lo si accolga come un uomo. Da quando il Figlio di Dio si è fatto uomo, non è più possibile un'altra ricerca di Dio, perché Dio non soltanto si è fatto uomo, ma è rimasto fra gli uomini.

A questo punto sorge la domanda: se Dio è con noi ed è rimasto fra noi, quali le condizioni per essere suoi discepoli e annunciatori? Può servire a questo scopo la lettura di Paolo che chiama se stesso: «Schiavo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, separato per annunciare il vangelo di Dio».

Schiavo suggerisce l'appartenenza e l'impegno totale ed esclusivo. Paolo ha un solo padrone, non tanti; ha un solo incarico, non molti. Apostolo è chi non ha un incarico personale da svolgere, né una parola propria da dire, ma un incarico ricevuto e una parola sentita. Separato per il vangelo significa separato dalla logica del mondo, ma non lontano dagli uomini né fuori dal mondo. Separato per essere più vicino, sempre disponibile ad aiutare il mondo.

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni

Domenica 12 Dicembre 2010 - III Domenica di Avvento

PRIMA LETTURA

Dal Libro del Profeta Isaia (Is 35, 1-6. 8. 10)

Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo. Le è data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron. Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio. Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi». Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto. Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa. Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto.

SECONDA LETTURA

Dalla Lettera di S. Giacomo Apostolo (Gc 5, 7-10)

Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina. Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 11, 2-11)

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui»

COMMENTO ALLE LETTURE

Agli inviati del Battista che vogliono rendersi conto della sua messianità («Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?»), Gesù non risponde direttamente, ma rinvia alle sue opere: «I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si scandalizza di me».

Si tratta di miracoli che ricalcano le profezie dell'Antico Testamento, e tra questi c'è persino la risurrezione dei morti. L'ultimo segno però (ai poveri è predicata la lieta notizia) non è un miracolo, e tuttavia è un segno più decisivo, che imprime una direzione ben definita a tutti gli altri, ponendoli al servizio di una concezione messianica sulla quale molti inciamperanno: «Beato colui che non si scandalizza di me».

Che Gesù sia un inviato di Dio è provato dai miracoli, ma è la sua predilezione per i poveri – come le sue umili origini e la via della Croce – che rivela la novità teologica della sua rivelazione di Dio. Questa novità qualifica l'attesa e la speranza cristiana, come suggerito anche nelle prime due letture. Il passo di Isaia precisa che la speranza non è semplicemente l'attesa di un risveglio spirituale, bensì anche l'attesa di un popolo nuovo e di una diversa convivenza, nella quale ci sarà un posto anche per i ciechi, i sordi, i muti e gli zoppi. Nessuno è escluso dalla gioia messianica.

Bisogna riconoscere però che questa non è un'attesa sempre facile. E' per questo che la lettera di Giacomo (seconda lettura) parla della pazienza del contadino e di Giobbe. Paziente è chi, come il contadino, attende il frutto del suo lavoro fino al tempo opportuno, che non spetta a lui determinare. Paziente è chi, come Giobbe, non si lascia modificare dalle avversità, ma rimane fermo e saldo nella sua ostinata speranza.

Dopo aver indicato le opere sulle quali riflettere e in base alle quali è possibile dare un giudizio su di Lui, Gesù esprime il proprio giudizio sul Battista. Lo fa rivolgendosi alle folle. La grandezza di Giovanni non consiste solo nell'austerità della sua vita e nella fortezza del suo carattere. Sta piuttosto nell'aver accettato il compito di preparare il terreno al Messia. Giovanni è venuto per rendere testimonianza a Gesù. Giovanni è grande, tuttavia il più piccolo nel Regno di Dio è più grande di lui. Un'affermazione, non facile da interpretare, ma che certamente vuol dire una cosa: l'appartenenza al Regno di Dio è la cosa più importante di tutte. Il Regno al primo posto, non perché le molte altre cose della vita non contano, ma perché possano trovare il loro giusto valore. Il discepolo deve essere profondamente convinto che il primato del Regno di Dio non ruba spazio all'uomo, ma lo allarga.

Da un’omelia di Don Bruno Maggioni