domenica 7 marzo 2010

Domenica 14 marzo 2010 - IV Domenica di Quaresima

PRIMA LETTURA
Dal Libro di Giosuè (Gs 5, 9.10-12)
In quei giorni, il Signore disse a Giosuè: «Oggi ho allontanato da voi l’infamia d’Egitto». Gli Israeliti si accamparono dunque in Gàlgala e celebrarono la pasqua al quattordici del mese, alla sera, nella steppa di Gerico. Il giorno dopo la pasqua mangiarono i prodotti della regione, azzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno. La manna cessò il giorno dopo, come essi ebbero mangiato i prodotti della terra e non ci fu più manna per gli Israeliti; in quell’anno mangiarono i frutti della terra di Canaan.
SECONDA LETTURA
Dalla Seconda Lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi (2 Cor 5, 17-21)
Fratelli, se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. E’ stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 15, 1-3.11-32)
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». Allora egli disse loro questa parabola: Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: E’ tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» .

COMMENTO ALLE LETTURE
Il tema centrale della parabola è l'amore del padre. A lui non interessa che il figlio gli abbia dissipato il patrimonio. Ciò che lo addolora è che il figlio sia lontano e quando ritorna non bada neppure alle sue parole («Trattami come uno dei tuoi servi»): l'importante è che il figlio abbia capito e sia tornato. Ecco il motivo della sua gioia: «Questo mio figlio era morto ed è tornano in vita, era perduto ed è stato ritrovato». Questo è il volto del vero Dio, un volto molto diverso da come scribi e farisei supponevano, e come giusti e benpensanti alle volte continuano a supporre. Se prendiamo in considerazione la figura del figlio minore, allora ci accorgiamo che il suo peccato non è semplicemente consistito nel fatto che abbia chiesto la sua parte di eredità e l'abbia poi dissipata, lontano da casa, in una vita libertina. Questo comportamento non è che la conseguenza di una convinzione che gli si era radicata nell'animo, e cioè la convinzione che la casa fosse una prigione, la presenza del padre ingombrante e mortificante, e l'allontanamento da casa una libertà. Questo è il vero peccato del figlio minore. Il suo ritorno a casa trova il suo culmine non nel proposito di lavorare come un salariato per riparare il danno (anzi questo mostra che il figlio non ha capito ancora né la profondità dell'amore del padre né la profondità del suo peccato), ma semplicemente nell'aver capito che in casa si sta meglio. Questo infatti è quello che voleva il padre. Null'altro. La conversione è un ritorno. Non è un prezzo da pagare – non sta lì il nocciolo della questione – ma una mentalità da cambiare. A questo punto dobbiamo rileggere una terza volta la parabola dal punto di vista del figlio maggiore. Anziché condividere la gioia del padre, ne prova invidia. Come gli scribi e i farisei che mormorano contro Gesù, anch'egli pensa che il peccato sia consistito nel dilapidare le sostanze, non invece nel fatto di essersi allontanato da casa. E si capisce che anch'egli ragiona come il figlio minore. Infatti è rimasto in casa, ma convinto che lo stare in casa sia faticoso, sia un sacrificio, convinto anch'egli che fuori si sta meglio. È un figlio fedele, ma con l'animo del servo, incapace nel profondo di condividere la gioia del padre, perché non vede nel fratello che si è allontanato un povero da salvare, ma semmai un fortunato da punire.Non si sente figlio,grato e gioioso di essere in casa,già premiato per il fatto di essere in casa.

Fonte: LaChiesa.It - omelia di don B.Maggioni

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