lunedì 12 aprile 2010

Domenica 25 aprile 2010 – IV Domenica di Pasqua

PRIMA LETTURA
Dagli Atti degli Apostoli (At 13, 14. 43-52)
In quei giorni, Paolo e Barnaba, attraversando Perge, arrivarono ad Antiochia di Pisidia ed entrati nella sinagoga nel giorno di sabato, si sedettero. Molti Giudei e proseliti credenti in Dio seguirono Paolo e Barnaba ed essi, intrattenendosi con loro, li esortavano a perseverare nella grazia di Dio. Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola di Dio. Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono pieni di gelosia e contraddicevano le affermazioni di Paolo, bestemmiando. Allora Paolo e Barnaba con franchezza dichiararono: «Era necessario che fosse annunziata a voi per primi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha ordinato il Signore: Io ti ho posto come luce per le genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra». Nell’udir ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola di Dio e abbracciarono la fede tutti quelli che erano destinati alla vita eterna. La parola di Dio si diffondeva per tutta la regione. Ma i Giudei sobillarono le donne pie di alto rango e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li scacciarono dal loro territorio. Allora essi, scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Icònio, mentre i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.

SECONDA LETTURA
Dal Libro dell’Apocalisse di San Giovanni Apostolo (Ap 7,9. 14-17)
Io, Giovanni, vidi una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai» . E lui: «Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta, perché l’Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi».

VANGELO
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 10, 27-30)
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

COMMENTO ALLE LETTURE
Le poche righe del Vangelo di Giovanni proposte dalla liturgia domenicale non toccano direttamente il tema della risurrezione, anche se siamo nel tempo pasquale, ma vanno, per così dire, ancora più indietro, al mistero trinitario («Io e il Padre siamo una cosa sola»). Fra Gesù pastore e i suoi discepoli corre una profonda comunione: le pecore ascoltano la voce del pastore e il pastore conosce le sue pecore. Conoscere e ascoltare sono verbi che indicano un dialogo profondo, una comunione nell'esistenza, non soltanto nelle idee. La comunione fra Gesù e i suoi discepoli coinvolge l'uomo intero: idee, amore, comportamento.

Oltre a quanto detto, il passo di Giovanni sottolinea con forza l'idea dell'appartenenza: Gesù può dire le «mie» pecore e «il Padre me le ha date». Gesù è il Signore delle pecore, a lui appartengono e a nessun altro. Ed è da Gesù che le pecore ricevono la vita: «Io do loro la vita eterna». Ed è affermato infine, polemicamente, un dato consolante: nessuno può strappare a Gesù le sue pecore. È questo il motivo della sicurezza, sulla quale si fonda tutta la speranza del discepolo e della Chiesa.
Dopo aver commentato il brano in modo sintetico e nella sua globalità, penso utile almeno due precisazioni particolari.

La prima: due sono le note che caratterizzano, come dice Gesù, le sue pecore: ascoltare e seguire. Con una precisazione: ascoltare la sua voce e percorrere la strada che Egli stesso percorre. Dunque la comunità cristiana se vuole essere sale e luce anche in un mondo che cambia, come oggi si è soliti dire, non deve affannarsi in ricerche inutili e progetti diversi: la voce di Gesù è già risuonata e la direzione del suo cammino è già tracciata. Alla comunità cristiana è richiesta anzitutto la fedeltà della memoria, non anzitutto la genialità dell'invenzione.

E la seconda precisazione: Gesù dice di donare la vita. Affermazione già ripetuta qualche riga prima del nostro passo: «Offro la mia vita per poi riprenderla. Nessuno me la toglie, la offro da me stesso... Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio». Gesù, stando a queste parole, dona la sua vita in piena libertà e, al tempo stesso, per un comando del Padre.
Strana nozione di libertà. Strana per il mondo, ma non per il discepolo. Gesù ha più volte detto che la sua libertà non sta nel prendere le distanze dal Padre, ma nel fare in tutto al sua volontà.
Libertà e obbedienza al Padre (che è sempre l'obbedienza al dono di sé) coincidono.

Lo spazio vero della libertà è l'amore.

Fonte: LaChiesa.It

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