domenica 27 settembre 2009

Domenica 4 ottobre 2009 - XXVII Domenica del Tempo Ordinario


PRIMA LETTURA
Dal libro della Genesi (Gen 2,18-24)
Il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: «Questa volta è osso dalle mie ossa,carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta». Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne.

SECONDA LETTURA
Dalla lettera agli Ebrei (Eb 2, 9-11)
Fratelli, quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti. Conveniva infatti che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza. Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 10, 2-16)
In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio». Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.

COMMENTO ALLE LETTURE
Come tutte le altre volte in cui è coinvolto in un dibattito, Gesù supera i termini angusti in cui gli uomini pongono il problema e va alla radice. Due opinioni si scontravano, a riguardo del ripudio, nel giudaismo. Secondo una, era lecito ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo, ad arbitrio dunque del marito; secondo l'altra, invece occorreva un motivo grave, contemplato dalla Legge. La legge di Mosè circa il ripudio è vista da Cristo come una disposizione non voluta, ma tollerata da Dio (al pari della poligamia e di altri disordini), a causa della durezza di cuore e dell'immaturità umana. Gesù non critica Mosè per la concessione fatta; riconosce che in questa materia il legislatore umano non può fare a meno di tener conto della realtà di fatto. Ripropone però a tutti l'ideale originario dell'unione indissolubile tra l'uomo e la donna ("una sola carne") che, almeno per i suoi discepoli, dovrà essere ormai l'unica forma possibile di matrimonio. Per Gesù l'intenzione profonda a cui il matrimonio deve rifarsi è l'Alleanza, o se preferiamo la «fedeltà senza tentennamenti». È la medesima fedeltà che Gesù sta vivendo nella sua scelta messianica e che lo porterà sulla Croce: una fedeltà definitiva e senza pentimenti, un'alleanza senza compromessi. Unendosi alla sua donna, l'uomo deve portare tutto se stesso, giocandosi completamente e definitivamente. Ecco perché e a quali condizioni il matrimonio diventa veramente una «sequela», cioè un luogo in cui l'amore del Cristo, la sua fedeltà, il suo servizio, in una parola il «cammino» che egli ha percorso, tornano a trasparire. Questo ideale di fedeltà coniugale non è stato mai facile, oggi però la cultura permissiva ed edonistica in cui viviamo lo ha reso immensamente più difficile. La crisi allarmante che attraversa l'istituto del matrimonio nella nostra società è sotto gli occhi di tutti. Il matrimonio risente in ciò della mentalità corrente dell'"usa e getta". Se un apparecchio o uno strumento subisce qualche danno o una piccola ammaccatura, non si pensa a ripararlo, si pensa solo a sostituirlo. Applicata al matrimonio, questa mentalità risulta micidiale. La cosa importante da capire è che in un processo fatto spesso di strappi e di ricuciture, di crisi e di superamenti, il matrimonio, non si sciupa, ma si affina e migliora. Se con la buona volontà si riesce a superare queste crisi, ci si rende conto di quanto lo slancio, l'entusiasmo dei primi giorni fosse poca cosa, rispetto all'amore stabile e la comunione maturati negli anni. Se prima moglie e marito si amavano per la soddisfazione che ciò procurava loro, oggi forse si amano un po' di più di un amore di tenerezza, libero da egoismo e capace di compassione; si amano per le cose che hanno realizzato e sofferto insieme. Ma nel Vangelo di questa domenica c'è anche un secondo esempio: Gesù, a differenza dei suoi discepoli, accoglie i bambini. L'episodio tradisce infatti uno scontro: «I discepoli li sgridarono... Gesù vedendo ciò, si indignò...». Con grande meraviglia dei discepoli, Gesù accoglie i bambini: perde tempo con loro. La serietà del suo cammino verso Gerusalemme non distrae Gesù dai piccoli. Egli non ha cose più importanti da fare.

(Da un’omelia di Don Bruno Maggioni e Padre Raniero Cantalamessa)

domenica 20 settembre 2009

Domenica 27 settembre 2009 – XXVI Domenica del Tempo Ordinario


PRIMA LETTURA
Dal libro dei Numeri (Nm 11, 25-29)
In quei giorni, il Signore scese nella nube e gli parlò: prese lo spirito che era su di lui e lo infuse sui settanta anziani: quando lo spirito si fu posato su di essi, quelli profetizzarono, ma non lo fecero più in seguito. Intanto, due uomini, uno chiamato Eldad e l’altro Medad, erano rimasti nell’accampamento e lo spirito si posò su di essi; erano fra gli iscritti ma non erano usciti per andare alla tenda; si misero a profetizzare nell’accampamento. Un giovane corse a riferire la cosa a Mosè e disse: «Eldad e Medad profetizzano nell’accampamento». Allora Giosuè, figlio di Nun, che dalla sua giovinezza era al servizio di Mosè, disse: «Mosè, signor mio, impediscili!». Ma Mosè gli rispose: «Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo spirito!» .

SECONDA LETTURA
Dalla lettera di San Giacomo Apostolo (Gc 5, 1-6)
Ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano! Le vostre ricchezze sono imputridite, le vostre vesti sono state divorate dalle tarme; il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si leverà a testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti. Avete gozzovigliato sulla terra e vi siete saziati di piaceri, vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non può opporre resistenza.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 9,38-43.45.47-48)
In quel tempo, Giovanni rispose a Gesù dicendo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri». Ma Gesù disse: «Non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi è per noi. Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare. Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna. Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue» .
COMMENTO ALLE LETTURE
La lettura evangelica di questa domenica - la collocazione in casa, in un colloquio privato - è un espediente letterario dell'evangelista per indicare che queste parole di Gesù sono particolarmente indirizzate alla sua comunità: potremmo parlare di un «abbozzo di regola comunitaria».
«Maestro, abbiamo un tale, che non era dei nostri, che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito». Dietro questa rimostranza di Giovanni traspare quell'egoismo di gruppo (non infrequente, purtroppo), che spesso si maschera di fede ma che in realtà è una delle sue più profonde smentite. Ci sono i discepoli che mal sopportano che lo Spirito soffi dove vuole: ne sono gelosi e si sentono traditi nella loro funzione di testimoni e rappresentanti del Cristo. Vorrebbero che la potenza di Dio passasse solo attraverso le loro mani. Ragionano suppergiù in questi termini: non dovrebbe la potenza di Cristo essere solo nelle nostre mani, così che appaia con chiarezza che noi, noi soli ne siamo i portatori? Gli autentici amici di Dio godono della liberalità dello Spirito e riconoscono le sue manifestazioni, dovunque avvengano: riconoscono il bene dovunque venga fatto, e ne godono.
La sentenza con la quale Gesù conclude questo insegnamento è sorprendente e profondamente ottimista (e, mi sembra, poco citata): «Chi non è contro di noi, è con noi». È il contrario esatto di un'altra sentenza molto più nota (Mt 12,30): «Chi non è con me, è contro di me». Ma non c'è contraddizione fra le due affermazioni, perché si applicano a differenti situazioni. La sentenza di Matteo si rivolge ai discepoli indecisi e amanti dei compromessi, e li richiama al dovere di scelte chiare e nette. Di fronte a Cristo, o alla verità, o al bene dell'uomo, non si può restare neutrali: o di qua o di là. La sentenza di Marco si rivolge invece a discepoli tentati di integralismo.
Un'altra parola di Gesù riguarda lo scandalo verso i piccoli e lo scandalo verso se stessi. Probabilmente Gesù pensava ai maestri della legge del suo tempo che con il peso della loro autorità e con il fascino del loro prestigio dissuadevano i semplici, la gente del popolo, dal seguirlo: erano di inciampo alla fede. Ma si può essere di ostacolo alla fede dei semplici in molti altri modi: con discussioni che turbano, con riforme intempestive, con una pastorale che li trascura.E poi c'è il fatto che l'uomo è spesso scandalo a se stesso, pieno com'è di esitazioni, di compromessi, di facili scuse e di interessi che imprigionano.
Di fronte a questo scandalo il discepolo è invitato a un taglio.
(Fonte: LaChiesa.It - Omelia di Don Bruno Maggioni)

domenica 13 settembre 2009

Domenica 20 settembre 2009 – XXV Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA
Dal libro della Sapienza (Sap 2, 12.17-20)
Dissero gli empi: «Tendiamo insidie al giusto, perché ci è di imbarazzo ed è contrario alle nostre azioni; ci rimprovera le trasgressioni della legge e ci rinfaccia le mancanze contro l’educazione da noi ricevuta. Vediamo se le sue parole sono vere; proviamo ciò che gli accadrà alla fine. Se il giusto è figlio di Dio, egli l’assisterà, e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. Mettiamolo alla prova con insulti e tormenti, per conoscere la mitezza del suo carattere e saggiare la sua rassegnazione. Condanniamolo a una morte infame, perché secondo le sue parole il soccorso gli verrà» .

SECONDA LETTURA
Dalla lettera di San Giacomo Apostolo (Gc 3,16 - 4,3)
Carissimi, dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni. La sapienza che viene dall’alto invece è anzitutto pura; poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia. Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace. Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra? Bramate e non riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 9, 30-37)
In quel tempo, Gesù e i discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà». Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni. Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?». Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato» .

COMMENTO ALLE LETTURE
Il brano di Marco è un annuncio della Passione e poi un insegnamento ai discepoli. Gesù rivela ai discepoli il suo destino, ma i discepoli non comprendono. Gesù replica invitandoli a percorrere anch'essi il suo stesso cammino. Preannuncio della Croce e insegnamento sul comportamento dei discepoli costituiscono dunque un unico discorso che potremmo intitolare: la Croce di Gesù e le sue conseguenze per il discepolo.
Farsi servo e accogliere i piccoli nel suo nome – i due comportamenti che Gesù suggerisce alla sua comunità – sono due modi concreti, due esempi di imitazione del Signore Crocifisso. «Se uno vuole essere il primo, si consideri l'ultimo di tutti e si faccia il servo di tutti»: ecco una di quelle frasi evangeliche che non cessano mai di stupirci: chiare, incisive e dure. Da quando il Figlio di Dio è entrato nella nostra storia e ha percorso la via della Croce tutti i criteri della priorità si sono capovolti: la dignità di una persona non sta nel posto che occupa, nel lavoro che svolge, nelle cose che possiede, nel successo che ottiene: la grandezza si misura unicamente sullo spirito di servizio. Per il cristiano resta fermo che il modello di ogni forma di servizio è sempre e solo Gesù Cristo.
Dopo il servizio – e come esempio di servizio – l'accoglienza: Marco utilizza il verbo «accogliere» in diverse occasioni e con diverse sfumature, tutte però in qualche modo convergenti: c'è l'accoglienza (o il rifiuto) del missionario (6,11), c'è l'accoglienza della Parola (4,20), c'è l'accoglienza del Regno (10,15), c'è l'accoglienza dei piccoli.
Accogliere significa ascoltare, rendersi disponibili, ospitare: soprattutto richiede la capacità di lasciarsi «sconvolgere» (nelle proprie abitudini e nei propri schemi) dalla Parola, o dal missionario, o dal piccolo che si accoglie, e la capacità di porsi al suo servizio. L'accoglienza è, ovviamente, generale, verso tutti: se non fosse così, saremmo in contraddizione con quanto Gesù ci ha detto sul servizio («servo di tutti»).
Tuttavia qui si parla dei «bambini», che nel Vangelo – come si sa – sono il simbolo dei trascurati, di quelli che non contano e che nessuno accoglie. La preferenza è per loro. Gesù li ha cercati, ha avuto per loro tempo, parole e amore: non ha mai ritenuto di avere qualcosa di più importante, o urgente, da fare.
È l'accoglienza dei «piccoli» la verifica dell'autenticità del nostro servizio e della nostra ospitalità.
(Fonte: LaChiesa.it - Omelia di Don Bruno Maggioni)

lunedì 7 settembre 2009

Domenica 13 settembre 2009 – XXIV Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA
Dal libro del Profeta Isaia (Is 50, 5-9)
Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi.
Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso. E’ vicino chi mi rende giustizia; chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci. Chi mi ac-cusa? Si avvicini a me. Ecco, il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole?

SECONDA LETTURA
Dalla lettera di San Giacomo Apostolo (Gc 2, 14-18)
Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, che giova?
Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa. Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 8, 27-35)
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: «Chi dice la gente che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti».Ma egli replicò: «E voi chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno. E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol ve-nire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà» .


COMMENTO ALLE LETTURE

Il brano evangelico di questa domenica è al centro dell'intero racconto di Marco ed è importante per più di un motivo. Gesù stesso pone esplicitamente l'interrogativo (Mc 8,27) che secondo l'evangelista ogni lettore è a questo punto obbligato a porsi: «Chi dicono che io sia?». La risposta della gente non afferra la novità di Gesù e lo allinea con gli altri profeti.
La risposta di Pietro è precisa e riconosce con chiarezza la messianicità di Ge-sù. Un punto di arrivo, dunque, E tuttavia c'è un altro passo da compiere. Dire che Gesù è Messia è esatto ma incompleto: c'è sempre il pericolo di pensare la sua messianicità secondo il pensiero degli uomini. È la via della Croce che completa il discorso, chiarificandolo. Quando Pietro gli dice: «Tu sei il Cri-sto», Gesù sente il bisogno di precisare: «Sono il Figlio dell'uomo che de-ve molto soffrire».
Nella prima parte del nostra passo Pietro assolve un compito positivo: è il por-taparola dei discepoli ed esprime a nome del gruppo la sua fede in Gesù. Nella seconda parte assume un ruolo negativo: tenta di allontanare Gesù dalla via della Croce. Il discepolo è pronto a riconoscere la messianicità di Gesù ma non ne condivide la direzione.
Non è in gioco la messianicità, ma piuttosto la sua modalità concreta, la sua prassi, oserei dire la sua pastorale. Ed è questo il punto, lo spartiacque tra fede e non fede, mentalità cristiana e mentalità mondana: «Ragioni secondo gli uomini». Il tentativo di Pietro di distoglierlo dalla Croce è rimproverato da Gesù in due modi: come un'espressione dell'opposizione del mondo al disegno di Dio e, più profondamente, come un'espressione della tentazione di Satana. La sottile tentazione di Satana è il tentativo di distogliere dalla via tracciata da Dio (la via della Croce) per sostituirla con una via elaborata dalla saggezza degli uomini.
Cristo ha smascherato questa sottile tentazione e la sua vita è stata un conti-nuo sì a Dio e un no al tentatore. Gesù ha vinto Satana. Tuttavia Satana ha ancora una possibilità, cercare di ottenere dal discepolo ciò che non è riuscito ad ottenere da Cristo: separare il Messia dal Crocifisso, la fede in Gesù dalla pastorale della Croce.
Dopo aver precisato la sua identità e dopo aver smascherato la presenza della tentazione, Gesù si rivolge ai discepoli e alla folla e con molta chiarezza propone loro il suo stesso cammino. Non ci sono due vie, una per Gesù e una per la Chiesa, ma una sola: «Chi vuole venire dietro me rinneghi se stesso e prenda la sua croce».

(Fonte: LaChiesa.it - Omelia di Don Bruno Maggioni)