domenica 24 gennaio 2010

Domenica 31 gennaio 2010 - IV Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA
Dal Libro del Profeta Geremia (Ger 1, 4-5. 17-19)
Nei giorni del re Gioisia, mi fu rivolta la parola del Signore: «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni». Tu, poi, cingiti i fianchi, alzati e dì loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti alla loro vista, altrimenti ti farò temere davanti a loro. Ed ecco oggi io faccio di te come una fortezza, come un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti muoveranno guerra ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti».

SECONDA LETTURA
Dalla Prima Lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi (1 Cor 12,31-13,13)
Fratelli, aspirate ai carismi più grandi! E io vi mostrerò una via migliore di tutte. Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità.
Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!
VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca (L 4, 21-30)
In quel tempo, Gesù prese a salire nella sinagoga: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi». Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose: «Di certo voi mi citerete il proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fàllo anche qui, nella tua patria!». Poi aggiunse: «Nessun profeta è bene accetto in patria. Vi dico anche: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò.

COMMENTO ALLE LETTURE
Luca apre il suo racconto del ministero pubblico di Gesù registrando un rifiuto.
Intelligentemente, però, non si limita a porre subito il lettore di fronte al nodo cruciale della vita di Gesù, ma si premura di offrirgli nel contempo due indicazioni che avviano a una sua corretta interpretazione.
La prima: «Nessun profeta è ben accolto in patria». Il rifiuto che ora Gesù incontra a Nazareth, e che più tardi incontrerà nel suo popolo, non deve essere visto come un fatto isolato: è già accaduto prima e continuerà ad accadere dopo. Né un fatto isolato né puramente un fatto del passato, ma un fatto contemporaneo a ogni generazione. La constatazione storica che il popolo ebraico ha rifiutato il suo Messia dopo averlo a lungo atteso suscita in molti imbarazzo e scandalo. Ma non è il caso, sembra dire il Vangelo: è la sorte normale dei profeti, alla quale il Cristo stesso – il più grande di tutti i profeti – non ha voluto sottrarsi. La Croce non è da imputare alla particolare malvagità di quella generazione o di quei giudei, ma piuttosto a quella comune durezza di cuore, che si incontra dappertutto: proprio quella cecità, o indifferenza, di cui noi siamo spesso i primi rappresentanti.
E la seconda indicazione: «Gesù, però, passando in mezzo a loro, se ne andò». Gesù non fugge, ma si allontana con sovrana libertà («passando in mezzo a loro»). È come un simbolo, quasi un anticipo della futura risurrezione. Non è l'opposizione degli uomini la carta vincente. L'opposizione degli abitanti di Nazareth non è riuscita ad arrestare la storia di Gesù, come non riusciranno – più tardi – i suoi crocifissori. I profeti uccisi sono più vivi che mai, e il Messia crocifisso è risorto. Dopo la meraviglia iniziale («Tutti erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca»), un netto rifiuto. Come si spiega questo brusco passaggio dall'ammirazione al rifiuto? Per Luca la ragione è detta nelle parole dei nazaretani: «Quanto abbiamo udito che accade a Cafarnao, fallo anche qui nella tua patria». Gesù delude il suo paese, perché ha compiuto i miracoli altrove. I suoi compaesani avrebbero voluto che Egli facesse i miracoli lì, nella sua patria.
Ma Gesù è universale e la sua patria è il mondo. Non permette che il divino presente in lui diventi un fatto locale, una storia di parte, e non intende rendersi disponibile per il vantaggio di alcuni.




Fonte: LaChiesa.It- da un’omelia di Don B. Maggioni

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